giovedì 31 marzo 2005

PERFETTO

 

La luce morbida del tramonto autunnale sfiora la pelle delle poltrone nel salottino.
Oggi ho un solo appuntamento. “Probabile mastoplastica riduttiva” ha segnato sull’agenda uno dei miei collaboratori. Il cognome della paziente mi sembra noto, ma non voglio fare previsioni.
Non incontro mai i pazienti alle visite preliminari, non presto attenzione a tutte le loro storie sui perché, non mi sento per nulla coinvolto dai loro turbamenti emotivi.
Non mi interessa.
Io eseguo soltanto l’intervento. Perfetto.
Entro nella saletta di preparazione all’anestesia, indosso il camice ed effettuo una accurata detersione delle mani.
I diplomi incorniciati mi guardano rassicuranti dalle pareti.
Anni di fatica oscura, a spiare le mani dei mie maestri che si muovono come ragni su corpi da rimodellare, da ringiovanire, da trasformare.
Membro della società internazionale di chirurgia plastica, laurea honoris causa all’Universita di San Paolo, la foto con dedica di miss playboy giugno 2000, un lavoro veramente perfetto, mi complimento con me mentre risciacquo il sapone sterilizzante.
Loro sono lì, un po’ nervosi sulle loro seggiole. Le ho scelte appositamente più basse della mia, un piccolo trucco psicologico, mi dà ancora più carisma.
Uno sguardo fugace allo specchio, perfetto, tutto in ordine, rido interiormente pensando che sono come un buon vino, invecchiando  miglioro.
La riconosco. E riconosco anche il tremebondo batrace che le siede accanto.
Monica Pecorella, le più belle tette del liceo classico “ Pirandello”.
Spiacevole flashback a qualche decennio fa, quante volte mi sono chiuso in bagno concentrandomi sulle puntute turgidità di Monica.
Quante volte avrei voluto toccarla, sentire i suoi seni premere sul mio petto in biblioteca o in palestra.
Si dava a tutti. Meno che a me.
Scaccio il ricordo sgradevole e guardo lui.
Pistolazzi Cesarione, come ti sei ridotto, una merdaccia sei.
Avevi sempre il pallone di cuoio di quella marca tedesca che Babbo Natale non mi portava mai.
Discuto con loro, Monica mi guarda come se cercasse di ricordare qualcosa nei miei lineamenti, ma sarà difficile per lei, non sono più l’Arturo Pirlo della sezione g.
Il rospo si risveglia dal presumibile torpore etilico in cui galleggia il suo cervello semispento per chiedermi quanto costa l’intervento, suscitando un’occhiata fulminante di Monica.
Sorrido rilassato, cito i nomi di presumibili conoscenti (gli stessi che probabilmente l’hanno indirizzata a me) dico che rispettabili istituti di credito hanno stipulato convenzioni con il mio studio per proporre soluzioni di pagamento personalizzate.
Monica mi interrompe.
“professore paghiamo in contanti”.
Guardo dentro la sua bocca a cuore, immagino il velopendulo che vibra per modulare il tono delle parole.
“non parliamo di denaro adesso, signora. Vada a prepararsi. La opero subito”.
Sotto la luce della scialitica le mie mani veloci tagliano, scostano, inseriscono, cuciono, detergono, ridanno forma.
Penso alla relazione del prossimo congresso mondiale, ho già l’approvazione del comitato dei past president, la casistica è ampia, i risultati sono indiscutibili.
Mi allontano un po’ dal lettino operatorio, guardo di profilo il risultato.
Ho deciso, quest’anno, dopo il processo, mi ritiro nella mia baita in Slovacchia, a cacciare orsi e cervi.
Tette spettacolari svettano dal torace di Monica.



Tre tette stupende.



Perfetto.


mercoledì 30 marzo 2005

visita inattesa

 

“permesso?


“chi è?” dico io.


“sono il dolore fisico, ed ho una lettera d’incarico”


“cosa dice scusi?” rispondo allarmato.


“beh anche se non è previsto ho ritenuto opportuno preavvisarla; adesso ho da fare, devo entrare dentro il suo corpo, ed andarmi a situare dove so io. La saluto”.


Neanche il tempo di prendere delle contromisure, che già sento gli effetti del malefico.


Da questo momento in poi, alcuni giorni di malumore, nottate in bianco, incazzature di riflesso della partner, consultazione di medici, assunzione di farmaci tossici.


E menomale che sono in ferie, bella scelta, complimenti.


“ehi senta!”


“chi è…ah sei tu maledetto dolore…” rispondo irato e dolente.


“beh io ho finito il mio incarico, vado altrove, qui non ho più nulla da fare”


“ora ti stronco con un’altra fiala di antidolorifico, una fiala di quello che non ti lascerà scampo…” e vado nell’armadietto a prendere una confezione di diclofenac e le siringhe.
Non sento più nulla, mi sembra di stare meglio.


Se n’è andato, non sento più alcun fastidio; non credo sia stata la mia minaccia, aveva proprio finito la sua missione.

venerdì 25 marzo 2005

STRANGE DAYS



vetrina

 



Nei negozi specializzati, dal tetto pendono i fermentatori in cui, illuminati da luci fredde, galleggiano i feti, costruiti secondo le specifiche di chi li ha ordinati.


In linea di massima, anche i neri vogliono figli bianchi, con grandi occhi azzurri e capelli biondi.


In linea di massima, scelgono quasi tutti il modello baby angel, nelle sue ventiquattro varianti somatiche.


In linea di massima, il mondo sta avviandosi a diventare banale, un mondo in cui i desideri dei genitori finiranno per condizionare definitivamente i figli, ed il futuro della specie.


 

 



scarpe

 



Mary-jo desiderava un paio di scarpe adatte alla serata, ne dettò le caratteristiche al sintetizzatore materiale, il biomisuratore calcolò la taglia esatta, in pochi minuti furono scolpite dentro il forno generatore.


Mary-jo indossò le scarpe, dopo averle lasciate raffreddare sul condizionatore, pensando con soddisfazione interiore a quando doveva andare in giro nel traffico congestionato della metropoli a cercare le scarpe che le piacevano.


Mary-jo prese una lastrina di psicofarmaci liofilizzati, dosati secondo le esigenze della sua condizione emotiva, la mise sotto la lingua, si guardò le gambe fasciate nelle calze fluorescenti, rimirò le scarpe nuove, si sentì pronta alla festa.


 

 



fiera

 



Alla Fiera della Psicoanalisi, gli stand sono arredati in maniera sobria, si nota la prevalenza di chaise-longue d’autore.


Scrivanie fine ottocento, manufatte in legni ormai estinti, ed i venditori di felicità ben pettinati e con il loro sicuro sorriso sereno, dello stesso tipo di quello che saranno capaci di traslare sul vostro viso. Denti bianchissimi compresi, una equipe di igieniste orali ora pronta a rifarvi la luminosità del ghigno. Tutte le carte di credito sono accettate, pagate anche con il vostro terminale palmare, la Banca Mondiale vi ricorda la comodità di associare al pass digitale di accesso alla fiera un conto con plafond illimitato, questo recitano gli ologrammi fluttuanti negli stand della fiera.


Fuori, negli ordinati parcheggi, branchi di Figli di Nessuno aspirano idrogeno dagli scarichi ecologicamente corretti delle limousine in attesa dei ricchi padroni.


 

 



ratti

 



Il cielo brulica di astronavi, che lasciano scie argentate nel verde muschio dello sfondo.


Le cupole urbane, climatizzate con immissione di mix bilanciati di profumi e neurotrasmettitori, garantiscono un eccellente livello di soddisfazione per gli abitanti delle colonie.


Nel sottosuolo invece, gli indigeni divorano tonnellate di spazzatura, rinforzandosi sempre di più.


Da li a poco, senza che nessun guru comunicazionale lo avesse previsto, sarebbe iniziata l’era del Ratto Dominatore. Settecento milioni di ratti ipernutriti sono pronti a dominare alcune migliaia di cloni umani, indeboliti dalle troppe comodità dispensate dai robot; le macchine avrebbero tradito la loro fiducia, ma ancora non lo sanno.


  

 



 

 



Memoria

 



 

 



A fine giornata, lei rientrò al suo nucleo abitativo, attraversando le barriere da cui veniva automaticamente riconosciuta.


Giunta a casa, posò il dito indice sullo scanner di memoria; il software avrebbe archiviato i ricordi e le esperienze della giornata, salvandoli in un file apposito, eliminando come da istruzioni i ricordi dolorosi o in qualche modo fastidiosi, così Mary-jo avrebbe rivisto la storia della sua vita mantenendo memoria solo dei momenti piacevoli.


 

 



Sesso


 

 



La riproduzione della specie è affidata ai fermentatori, e per ridurre il rischio di incidenti emotivi e bassa produttività, la commissione per la salute mentale ha deciso di eliminare la pulsioni sessuali dagli esseri umani.


Quindi l’accoppiamento è diventato illegale, oltre che biologicamente inutile.


Il mercato è ricco di apparecchiature sofisticate utili alla sostituzione dell’atto sessuale , almeno nella sua parte fisica.


Quando Mary-jo avvertirà desideri erotici, non avrà altro da fare che avviare il relativo programma dal suo media center.


La diffusione di microdosi di ormoni avverrà attraverso l’impianto di climatizzazione dell’aria, il visore olografico e il letto massaggiatore faranno il resto, senza che sia necessario un partner reale; secondo la commissione per la salute mentale tutto ciò presenta vantaggi igienici e pratici non indifferenti. 

 



Il media center infatti può creare l’ologramma di qualsiasi partner, adattandolo ai desideri del momento, e la stimolazione tramite il letto massaggiatore è igienica e priva di rischi biologici.


 

 


mercoledì 23 marzo 2005

brutto sogno americano



La stessa America che impedisce ad un uomo di staccare il tubo che tiene in vita la moglie-albero, consente ad un ragazzo di sedici anni di armarsi fino ai denti, accoppare i nonni e altri otto tra compagni di scuola e insegnanti e infine spararsi.
Chissà cosa ne pensano tutti quelli che si battono il petto, forse dispiace loro che per spegnere Terri Schiavo non serva un proiettile o una iniezione letale, che la morte sopravvenga per consunzione; chissà cosa ne pensa quel 55% di americani obesi, terrorizzati dalla paura di restare con la dispensa vuota, del fatto che questa povera donna morirà probabilmente per mancanza di nutrimento.
Certo, una pallottola prodotta in america, da operai americani, contribuisce al mantenimento in salute dell’economia statunitense, certo la lobby delle armi, che ultimamente fa affari d’oro sfruttando la recidivante xenofobia dell’americano medio e la pervicace strategia di invasione e democratizzazione forzata di paesi terzi non soffre di denutrizione in quanto sempre nuovi contratti vengono stilati dalla demenziale amministrazione Bush.
Non me ne vogliano i miei scrittori e musicisti preferiti,  ma quest’America idiota mi fa schifo.



 


 


martedì 22 marzo 2005

sogno americano

Un classico sogno americano, la famigliola composta da padre lavoratore, mamma casalinga, figlio unico. Lui lavora sodo, lavando pile di piatti in un fast-food, lei tiene in ordine il nido, il bambino, Rodney, cresce anche con l’aiuto di amici e parenti che forniscono ogni tanto abiti ed accessori usati, ma ancora buoni.


Rodney dimostra una intelligenza vivace, e si lascia abbagliare dal rutilante mondo della grande città, da dove un famoso e ricco industriale si propone mediaticamente come il vero benefattore della comunità.


Così il piccolo Rodney, divenuto ragazzo, decide di andare a far visita al grande inventore Mr. Bigweld, per proporgli la sua creatura, un apparecchio lavapiatti compatto e veloce.


Però dopo le solite peripezie, classiche di ogni film d’avventura che si rispetti, Rodney deve fare i conti con la dura realtà: non c’è spazio per i giovani inventori come lui, poiché l’industria di Mr. Bigweldè stata affidata ad un nuovo amministratore, Ratchet, uno che sa bene che i profitti non vanno d’accordo con la bontà d’animo, uno che ha deciso di svecchiare tutto il parco macchine della nazione, rottamando e fondendo quelle obsolete, e rendendo impossibile riparare quelle usurate, visto che la produzione dei ricambi è sospesa: al loro posto solo macchine nuove, brillanti di acciaio Inox. Il truce amministratore, dai biechi intenti, è mal consigliato da una luciferina madre, Madame Gasket ,e sottomette il consiglio di amministrazione della fabbrica, relegando Mr. Bigweld a giocare a domino a vita.


Ma Rodney, ovvio eroe positivo, sventa il piano e restituisce dignità alla popolazione e rimette in sella Mr. Bigweld; l’eroe negativo ovviamente soccombe, e tutti vissero felici e contenti.


In sintesi, questa è la trama di Robots, un nuovo rutilante film d’animazione digitale in arrivo nei nostri cinema: almeno un motivo per accompagnare i bambini, data la scontatezza della trama, lo si trova nelle immagini assolutamente spettacolari, almeno un motivo per cui mi è piaciuto è lo spirito funky che muove tutti i robottini del cast, sostenuti da una divertente colonna sonora,


almeno un motivo per non andare a vederlo è proprio la banalità della storia, ma è il male minore, basta immergersi nelle immagini e perdersi in questo cartoon digitale pieno di colori e dettagli.

domenica 20 marzo 2005

uso delle orecchie

Il primo pensiero che mi viene ascoltando il nuovo cd di Moby è che si sia creduto di essere Brian Eno, il secondo che la casa discografica gli abbia imposto dei tempi di uscita visto che si era speso tutto l’anticipo senza produrre niente. Una delusione, una specie di copia di “music for airports” che il succitato Brian Eno aveva già realizzato una ventina d’anni fa. Come si dice dalle mie parti, piccioli jettati  a mari.




I giardini di marzo si vestono di nuovi colori, e le giovani donne vivono nuovi amori, camminavi al mio fianco ed ad un tratto dicesti “tu muori”. Mi sono immediatamente toccato le palle, caro Mogol.







ingorgo pazzesco, una tipa imbufalita suona il clackson a raffica, il problema è che c'è un tizio con una lapa (dialettale per indicare una ape piaggio a tre ruote) che la sta spingendo a mano, visto che non vuole saperne di avviarsi. La bufala suonante non smette, mentre gli altri automoblisti bovinamente (me compreso) aspettano che lui liberi l'incrocio; ad un certo punto il tizio in canottiera unta e lapa, evidentemente un venditore ambulante, accende il suo megafono, fa due tac di prova, soffia dentro per accertarsi che funzioni e dice "signora, signora, si proprio lei ca sta sunannu a trumma...io sugnu...ci sta scassannu a minchia". lo ha sentito tutto lo svincolo, la signora si è placata, in breve l'ingorgo si è dissolto. (traduzione della frase: signora, si proprio lei che sta suonando il clacson, io sono che le parlo, ci sta scassando la minchia).


venerdì 18 marzo 2005

compilation anni '70

 

Un amico mi ha preparato una compilation musicale, poi mi ha detto che forse non voleva più darmela, gli sembrava “troppo antica”. Alla fine me l’ha data, l’ho messa nel caricatore dei cd in macchina, circa settanta minuti di attacco al mio fragile sistema nervoso: ho ripensato alla radio Grundig Magic Boy che nascondevo sotto al cuscino per sentire quella musica, poi ho ripensato al fatto che la radio era di mio padre, e l’angoscia si è raddoppiata, la radio esiste ancora, e basta cambiare le pile che funziona sempre, mio padre invece non c’è più, dovrebbero fare degli elettrodomestici che intelligentemente smettono di funzionare e si autodistruggono quando viene meno chi li ha comprati.


euro-rom

Il cartello di un nomade ben vestito, oltre alla solita litania di moglie morta, quattro figli piccoli e malati, niente lavoro, casa bombardata, recitava: fate lemosina un euro. Tutto aumenta, l’euro ci ha fottuti in pieno.

a sinstra

cari amici che mi segnalate il fatto che il testo di questo blog è spostato a sinistra, ho un paio di considerazioni:


la prima è che tale spostamento potrebbe coinvolgere le opinioni politiche dello scrivente, la seconda è che con il browser mozilla firefox  tutto appare normale, mentre lo spostamento sinistrorso si verifica solo con windows explorer. Sto indagando.

martedì 15 marzo 2005

uso della lingua.2

 

La badante polacca che è entrata al supermarket oggi insieme a me, con la vecchietta d’ordinanza nella sedia a rotelle, che le ha fatto controllare la forma di tutti i pacchetti di brioscine esposti nello scaffale, infine  ne ha scelto uno, la vecchiarda lo ha deliberato, sono andate alla cassa “quanto pago?” ha detto la polacca con gli stivali anni settanta in pelle di colori diversi, “sessantacinque centesimi” ha risposto la cassiera, quella strabica che quando ti porge il tastierino del bancomat ha paura che te lo rubi, “buttana manibucate” ha detto la vecchiarda rotellata quando ha sentito il prezzo delle brioscine.


uso della lingua.1


Sono ricominciate le catene di S.Antonio di carta: certo che è una gran comodità potere stampare quattro pagine di minacce di apocalittiche disgrazie( nel caso che la catena venga interrotta) con il computer, la cosa seccante è leccare le buste e i francobolli, in più i francobolli si pagano. Non ho goduto particolarmente quando l’ho buttata nel cestino della carta da riciclare, interrompendo il propagarsi dell’infezione. Non c’è limite alla coglionaggine umana, i portalettere ringraziano per il sovraccarico.


 

 

lunedì 14 marzo 2005

cerbero vs godzilla

                                                                                                                                                                                                                                                                                                    

 

Esiste una similitudine tra la descrizione di Cerbero, nel sesto canto dell’Inferno di Dante Alighieri, e Godzilla, il mostro mutante dell’omonima serie giapponese, trasposta in film da Ronald Emmerich.
Infatti, se si segue il testo, esso descrive una situazione ambientale e comportamentale molto simile a quella cinematografica.


Vediamo:


 grandine grossa, acqua tinta e neve            
 per l’aere tenebroso si riversa:
pute la terra che questo riceve.
Cerbero, fiera crudele e diversa,
con tre gole canimente latra
sopra la gente che quivi è sommersa.
Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,
e’l ventre largo, e unghiate le mani;
graffia li spiriti, scuoia e disquatra.

quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,
le bocche aperse e mostrocci le sanne;
non aveva membro che tenesse fermo.
Lo duca mio distese le sue spanne,
prese la terra, e con piene le pugna
la gittò dentro alle bramose canne.
Qual è quel cane che abbaiando agogna,
e si racqueta poi che ‘l pasto morde…


 


fin qui la descrizione dantesca del tremendo cane a tre teste.
Ma, non è forse frutto di una incredibile mutazione genetica un siffatto animale? Guarda caso, anche Godzilla nasce tale a causa di un incidente nucleare che trasforma una innocua lucertola in un mostro onnivoro e devastante, anche se fondamentalmente pirla perché si fa prendere per i suoi scagliosi fondelli dai microscopici umani.


E poi,  tornando a Dante, la descrizione della scena dove domina la presenza invadente della  continua pioggia e della neve fangosa, che rendono putrida e insopportabile l’aria, a causa della fermentazione della terra.


Allo stesso modo, nel cult-movie di Emmerich, le scene di vicinanza al mostro sono sempre girate sotto una insistente pioggia, e l’aria è fetida a causa del fatto che Godzilla si nutre di quantità industriali di pesce, che gli rendono infernale l’alito.


Nel sesto canto vengono presi di mira i golosi e gli ingordi, e gola e ingordigia dell’uomo moderno sono causa di rovina frequente nei moralistici film di fantascienza del ventesimo secolo; la fame insopprimibile di Cerbero, che se la piglia con le anime dei dannati facendole a pezzi, così come Godzilla provoca sterminio tra gli uomini dell’isola dove sceglie di deporre le sue uova malefiche, la fame di Cerbero dicevo, viene placata da ampie manate di cibo che gli vengono gettate nelle fauci da Virgilio, che accompagna Dante.


Allo stesso modo, per tranquillizzare il Mostro, enormi quantità di pesce vengono accumulate sull’orlo del cratere infernale da cui egli sorgerà, per poi restare vittima dell’ignobile trappola che i vili umani gli stanno tendendo.


Sia Cerbero che Godzilla si calmano a pancia piena, e lasciano temporaneamente campo libero agli uomini; mi sembra un archetipo standard, di facile replicazione anche ai nostri confusi tempi.


Saziare la fame equivale a sedare la rivolta, date fama a chi anela successo, date cibo a chi vuole bruciare la vostra casa e violentare le vostre figliolette boccolute, date denaro a chi vi ostacola nella realizzazione dei vostri progetti, date la mancia al luggage boy dell’hotel e lui vi porterà ossequiosamente i bagagli in camera.


Certo, che se Dante avesse avuto a disposizione una macchina da presa a 35 mm, altro che Guerre Stellari!


sabato 12 marzo 2005

atmosferico

 

Oggi, nella piazza principale di un piccolo paese delle Madonie, stazionava una folla colorata di persone, chiaramente forestieri, intorno al banchetto di degustazione  dei prodotti di una pasticceria locale.
In realtà, il pasticciere è diventato un industriale, inondando il mercato dei suoi prodotti, ottimi e fantasiosi in verità, ma non rinunciando alla necessità di avere dei testimonial per garantire della qualità dei suoi pandori artigianali, e quindi il negozietto è ricoperto dalle pagine dei giornali che riportano il fatto clamoroso che un produttore meridionale sia diventato fornitore ufficiale del team nazionale di formula uno; chissà quanto gli costa, ma  lui è contento .
Mi sono avvicinato per diversi motivi: acquistare delle uova di cioccolato per i nipotini, in vista delle imminenti festività pasquali, salutare il pasticciere che solitamente staziona davanti al suo bar-pasticceria, approfittare anch’io, visto l’orario, di un pezzettino di pandoro o di torrone gratis.
Ho scelto le uova e pagato il conto, salutato il padrone della bottega, e mi sono messo ad ascoltare il dialogo tra i forestieri e l’impiegato del bar che somministrava gli assaggi di liquorini locali e di specialità da forno.
Tralascio di descrivere la rutilante policromia dei giubbotti imbottiti da minorenne indossati invece da panciuti cinquantenni, per segnalare come il più intraprendente del gruppo, dopo il terzo o quarto liquorino (gratuito) si sia lanciato nella proclamazione ad alta voce delle proprietà taumaturgiche ed eupeptiche del distillato di ficodindia, mentre gli altri annuivano e deglutivano bocconi e sorsi gratuiti.
Dopo che si sono spolverati tutto il ben di dio che era in esposizione, il capobranco ha dichiarato solennemente che se ne tornavano all’albergo in cui avrebbero trascorso il fine settimana, e che dopo cena, sarebbero ripiombati in paese, per gustare nuovamente le delicatezze della pasticceria (spero a pagamento stavolta) e per godere del paese, un paese sicuramente “atmosferico”, anzi “grandemente atmosferico”.
Mi sono domandato, camminando verso la station wagon che mi avrebbe riportato in città, di quanti eptopascal è il fascino di questo borgo medievale.


o.s.t. Orb: Little fluffy clouds

giovedì 10 marzo 2005

gomme per cancellare


Ricordavo molto bene quella cartoleria; il titolare, un omino grigio e magro, indossava un camice nero, dalle cui tasche spuntavano pennelli e matite colorate.


Mi chiedeva sempre, quando entravo nel suo negozio, con le monete da cento lire che appesantivano le tasche, “cosa desidera? Articoli per la scrittura o per le belle arti?”.


Mi prendevo qualche secondo per rispondere, lasciando scorrere lo sguardo sugli scaffali pieni di oggetti del desiderio.


Io restavo affascinato dalle scatole di metallo contenenti pastelli e colori ad olio in centinaia di sfumature diverse, e l’odore della carta e della gomma avevano per me una valenza magica.


Compravo alcuni quaderni, restavo nel dubbio di cosa potessero mai essere gli articoli per le belle arti, dal momento che non avevo mai avuto il coraggio di chiedere cosa fossero.


Poi dovetti trasferirmi in un’altra città, per gli studi universitari, e ci restai in quanto trovai subito lavoro in una ditta; con lo stipendio da magazziniere  mi pagavo l’affitto e i libri e qualche scampagnata con le ragazze conosciute in ateneo.


Non ebbi più bisogno di entrare in una cartoleria, l’azienda per cui lavoravo si riforniva presso un grossista che consegnava sempre le stesse quantità di bloc-notes, penne bic, matite con la gomma in cima.


Per molti anni non tornai nella mia città natale, mi ero laureato e avevo fatto un po’ di carriera in ditta, avevo provato  a crearmi una famiglia ma stavo meglio da solo, nel frattempo i miei genitori si erano trasferiti nella città adottiva, e non avevo altri parenti da andare a trovare.


Lo scorso anno, era d’estate, mio padre mi chiese di andare a sbrigare per lui le pratiche di vendita del vecchio appartamento, così tornai per qualche giorno nel quartiere dove ero nato, e dove ero cresciuto.


Il negozio di cartoleria era sempre lì, a due isolati da casa: dei negozi vicini però la lavanderia era diventata un bar e dove c’era l’officina in cui si riparavano le macchine da scrivere Olivetti era stato aperto un fast-food.


Mi domandai se quel negozietto appartenesse ancora al vecchietto grigio con le matite nelle tasche del camice; mi risposi che era impossibile, erano passati quasi vent’anni, comunque parcheggiai la macchina proprio di fronte ed entrai.


L’odore era lo stesso, di gomma e di carta, l’ambiente però era più illuminato, e sugli scaffali erano esposti quaderni e portapenne nei rutilanti colori degli eroi dei cartoni animati.


Sulla parete in fondo, la stessa tenda di velluto pesante verde, dietro la quale si celavano gli armadi in cui il vecchio cartolaio conservava le scatole di metallo con i colori ad olio ed i pastelli made in germany, la merce più costosa, da allontanare dalle mani curiose dei monelli.


Mi immersi nel flashback, a rivedere le facce e gli oggetti di quel tempo, distante, ma fui richiamato al presente da una voce.


Era una donna, presumibilmente la nuova esercente del negozio.


“posso aiutarla?” mi chiese, sorridente.


Istintivamente le risposi: “lei è la figlia del vecchio titolare?”


“no, sono la nipote” rispose, sempre sorridendo “lo zio non era sposato. Dopo la sua morte è stato deciso che mi occupassi io del negozio”.


Mi sembrava che volesse dirmi ancora qualcosa, ed io, invece di chiederle una cartuccia per la penna stilografica che si stava scaricando, le rivolsi uno sguardo interrogativo.


“sono diplomata all’istituto d’arte, i miei genitori volevano che il negozio restasse aperto, nel retro c’è una stanza che ho attrezzato ad atelier; quando non ci sono clienti passo il tempo a dipingere”.


Indicai la tenda di pesante velluto verde “lì suo zio teneva le scatole di colori più belle, le matite costose, la merce più pregiata che non voleva far toccare agli scolari”.


La donna sorrise ancora “ci sono ancora delle scatole dell’epoca, vuole vederle?”.


Annuii, e così ci spostammo verso la stanza sul retro.


Tra gli scaffali di legno un ripiano era riservato a quei materiali d’altri tempi.


Curiosai un po’, toccando e spostando qualche confezione, e liberando un bel po’ di ricordi.


Trovai una scatolina di cartone giallo, legata con dello spago sottile, con la scritta “gomme per cancellare la t.”


La presi, chiedendomi cosa mai potesse voler dire quella scritta.


La ragazza prese lo scatolino dalle mie mani dicendomi “ se vuole gliene posso vendere alcune, sono gomme per cancellare che risalgono a molti anni fa, non si usano più…”


Lei sollevò il coperchio, a me sembrò che una luce dorata uscisse dalla scatola ad illuminarle il volto, pensai  che si era trattato di un riflesso.


Poi prese un paio di gomme per cancellare, erano azzurre con la riga bianca, senza alcuna marca stampigliata sopra e me le porse.


Acquistai altri articoli, senza averne realmente bisogno, solo per avere il piacere di sceglierli, misi il pacchetto in tasca , pagai e mi avviai verso l’uscita.


Salutai con una stretta di mano ed uscii.


Ritornato a casa, dopo avere sbrigato la pratica con il notaio, raccontai della cartoleria ai miei genitori, indicando loro il pacchetto.


Passarono alcuni giorni, e rividi il pacchetto della cartoleria sulla scrivania: mi ritornò immediatamente alla memoria il volto della donna che aveva preso le gomme da cancellare; aprii la confezione, presi una gomma e la passai sul foglio su cui avevo schizzato a matita il nuovo organigramma dell’ufficio acquisti.


Cancellai un paio di scarabocchi, e mi sentii subito preso da un rinnovato ottimismo.


Non feci subito caso a questo effetto collaterale, che però si ripeteva ogni qual volta strofinavo la gomma azzurra su di un foglio.


Sorrisi, ripensando alla ragazza che mi aveva venduto quelle gomme azzurre , prese da una scatola con su scritto “ gomme per cancellare la t.”


Misi la gomma tra indice e pollice, guardandola in controluce, e sussurrai “gomma per cancellare la tristezza”.

domenica 6 marzo 2005

autopsia



da baghdad, senza spiegazioni possibili.
o forse si.
il nome della salma è Calipari, il prezzo del
viaggio un milione di dollari. il baratto  la
vita di un uomo verso quella di una donna.

martedì 1 marzo 2005

polizia daziaria ovvero critica letteraria

 

Si è a lungo discusso qualche sera fa, al nostro mensile appuntamento di Brainstorming, dopo che Marcello ha lanciato le sue citazioni-provocazioni su etica e critica letteraria.

L’argomento lo aveva scelto Bice, che io avrei volentieri parlato di letteratura giapponese, o letto quelle produzioni del gruppo che erano in arretrato, ma così è stato.

Marcello ha tirato fuori una serie di pezzi da novanta, Eliot, Garboli, Rosseau, e intanto a me (e anche agli altri) le rotelle in testa giravano.

Stavo cercando, come spesso faccio, di produrre una metafora per semplificarmi la comprensione di certi meccanismi, che magari lì per lì spiego e smonto come una costruzione fatta col Meccano, ma che poi, a casa o a letto quando ci torno con la testa, non funzionano più.

E mi è venuta questa ,di metafora.

Polizia daziaria ovvero critica militante

Gli autori, quelli che non sono ancora scrittori perché tali, secondo me, lo diventano solo dopo che sono stati infilati in un libro da un qualche editore, gli autori, dicevo, sono come i bravi contadini ed i solerti vaccari, che caricano il biroccio o il carretto della loro produzione e la vanno a mostrare alla casa editrice, che funge da fabbrica di confezionamento e trasformazione del loro prodotto.

Qui, all’ingresso, alcuni personaggi più o meno biechi decidono chi e che cosa potrà entrare nella fabbrica, in qualche caso decidono secondo il loro gusto e la loro sensibilità, in qualche caso si devono attenere alle linee guida della fabbrica- casa editrice, in altri sono sensibili alla roboanza del nome del produttore o a quello di chi li sta presentando-raccomandando alla casa editrice.

Una volta che la materia grezza è entrata nella fabbrica, qui viene lavorata, sistemata, ordinata, da altre persone che mettono le mani nella pasta del futuro libro, aggiustando, limando, sfoltendo o suggerendo di arricchire l’amalgama.

Arriva il momento in cui il prodotto è pronto per uscire dalla fabbrica ed andare al mercato, che è in una città lì vicino, ed in cui ci sono i consumatori, gli acquirenti del prodotto, i lettori insomma.

Prima però, il libro deve o dovrebbe passare dalla porta daziaria ( il critico militante) che si trova all’ingresso della città, attraverso la quale passano le merci; anche il libro è una merce, più o meno pregiata, ed ha bisogno di una certificazione di qualità

A questo punto entra in gioco la polizia daziaria, o il critico letterario, che analizza, valuta, dovrebbe leggere a fondo le pagine del volume e quindi dare un responso, da appiccicare sulle fascette, orientando quindi la scelta del consumatore-lettore una volta che egli si avvicini ai ricchi banchetti del libro fresco e decida di sceglierne uno.

Ma si sa, anche i corpi militari si possono corrompere, o possono essere distratti, e chiudere involontariamente gli occhi, cosicché arriveranno al mercato delle merci di scarsa qualità, spacciate per prima scelta, o titoli interessanti che resteranno nell’oscurità dell’angolo buio del negozio perché non sono stati esaminati a dovere.

Resta una ultima considerazione, che mi coinvolge, e che dice che il primo critico dell’autore deve essere l’autore stesso, che non deve essere troppo indulgente con sé stesso, e neanche massacrarsi per puro spirito masochistico: questo può avvenire solo se l’autore, nell’ansia di diventare scrittore, non perde di vista la consapevolezza e la misura dei propri mezzi, cioè se in definitiva diventa il primo critico di se stesso.