martedì 27 dicembre 2005

lettiera per gatti - 1



Le ruspe spianavano la sabbia che un autocarro aveva appena scaricato sul piazzale, dove fino a pochi giorni prima c’era il parcheggio interno dell’Ospedale Civico.
Un piccolo trattore provvedeva, muovendosi come uno scarabeo stercorario, a distribuire uniformemente la ghiaia , e subito dopo intervenivano alcuni operai che, armati di rastrelli, rendevano uniformemente ondulata la superficie sabbiosa.
“Stendetela bene da quella parte” dissi, indicando alla squadra la zona del parcheggio che doveva essere sistemata.
Sull’altro parcheggio, quello che si trovava dietro l’edificio della radiologia, un altro gruppo di addetti, in tuta verde e mascherina, finiva di recuperare ciò che era stato prodotto durante la notte; lo avrebbero ammassato nell’essiccatore, e dopo qualche giorno, trasferito alla centrale termica.
Da quando erano cominciati quegli strani fenomeni, e da quando avevo intuito come volgere a nostro favore, a vantaggio dell’azienda ospedaliera cioè, gli imbarazzanti residui che venivano abbandonati dagli ospiti notturni dei parcheggi, la spesa per il combustibile dei generatori termici era diminuita del 70%.
All’inizio avevamo ritenuto che i malesseri e le domande di dimissione dei guardiani notturni-arrivavano stravolti al pronto soccorso, bianchi come lenzuoli, balbettando frasi incomprensibili-fossero dovute ad allucinazioni collettive, a vertenze sindacali sommerse, alla droga tagliata male che gli spacciatori locali facevano viaggiare in abbondanza nei corridoi dei reparti.
Dopo alcune settimane di strani avvistamenti, e dato che la notizia, incontrollata, cominciava a girare anche sui giornali e sulle televisioni locali, il consiglio di amministrazione decise di installare un sistema di vigilanza dotato di telecamere speciali, con visori notturni, e di illuminare alcuni dei luoghi in cui erano avvenuti gli spiacevoli incontri.
Visionammo i nastri registrati ogni mattina, ma per qualche incomprensibile motivo non rimase traccia di movimenti animali all’interno dell’ospedale, solo tracce del loro passaggio, ma in quantità ridotte, come se fossero state lasciate di fretta, con la paura di essere visti.
Intanto, ad uno ad uno, sparirono i cigni del laghetto, e le floride colonie di cani e gatti che si abboffavano del contenuto dei cassonetti, nei pressi dell’area rifiuti, si erano ridotte a pochi sparuti elementi; dopo poco anche i grandi sacchi in attesa di essere bruciati cominciarono a scomparire.
Al loro posto comparvero in abbondanza mucchi di sterco, di notevoli dimensioni, abbandonati negli angoli più bui dei parcheggi.
Cominciai allora a dare peso alle allucinate dichiarazioni dei guardiani notturni.
Durante le ore di buio, dai sotterranei abbandonati, dove neanche di giorno avrei avuto il coraggio di scendere, uscivano degli animali, non i soliti topi o scarafaggi, ma degli enormi carnivori, tigri dai denti a sciabola, sentenziò il veterinario dopo avere visionato le ombre registrate dalle telecamere della sorveglianza, e dopo avere confrontato le orme lasciate sul cemento fresco.
Inviai una circolare in cui invitavo il personale che faceva la notte nei reparti a non uscire se non in caso di assoluta necessità, e a chiudere porte e finestre a partire dalle ventidue.
Ciò che volevo assolutamente evitare era che qualche paziente o infermiere venisse sorpreso da solo dai grandi felini che, ormai era noto, perlustravano l’ospedale in branchi numerosi.
Un paziente ricoverato in chirurgia, che faceva il domestico a casa del primario, mi sentì discutere con i medici del reparto di queste strane apparizioni notturne; era originario dell’India settentrionale, e mi volle informare che le feci di questi animali, opportunamente raccolte ed essiccate, erano usate al suo paese come combustibile per usi domestici.
Ma come convincere le tigri a fare i loro bisogni in un unico punto, in modo da evitare che la raccolta del materiale organico fosse troppo dispersiva.
Un pomeriggio, tornando a casa, mia figlia mi chiamò al cellulare: “papà, passa dal supermarket, ho dimenticato di comprare la lettiera per i gatti. Visto che più tardi tu e mamma passate da me, me ne porteresti due sacchi?”.
I felini sono istintivamente portati a fare i loro bisogni sempre nello stesso posto-pensai-e la lettiera esercita un richiamo irresistibile.
Contattai le imprese che si erano aggiudicate i lavori di manutenzione dei parcheggi e spiegai loro che le aree dovevano essere riconvertite, non più asfalto, ma uno strato sabbioso, ripassato a mano coi rastrelli, “come fate a casa vostra quando preparate la cassetta del gatto” dissi per essere più chiaro.
La strategia funzionò, le apparizioni notturne, sempre inafferrabili e praticamente invisibili continuarono, eliminai le guardie giurate del turno notturno, fu denunciata la scomparsa dei ladruncoli che bazzicavano nottetempo l’ospedale, cominciarono a sparire anche scooter e piccole utilitarie, che venivano ritrovate masticate, quasi come aperte da apriscatole giganti ai margini dei parcheggi. La produzione di sterco felino mi consentì di rendere indipendente la centrale termica dell’ospedale dalla rete elettrica, in quanto la caldaia veniva alimentata dal combustibile naturale.
A fine anno ottenni il premio di rendimento, per avere raggiunto il budget previsto nell’azienda ospedaliera, ne investii una buona parte per acquistare un fuoristrada blindato ed una carabina. Potrebbe capitare di fare tardi in ufficio e vorrei evitare di conoscerli, questi fornitori dai denti a sciabola.



il 2005 è stato, per me, un anno horribilis, questo racconto, che era già passato su questo blog, vorrebbe avere valore catartico, e propositivo.

buon 2006, anzi migliore, per tutti. Antonio.

martedì 20 dicembre 2005

il volo notturno del comandante Condor



Il pilota aveva testa pelata e sguardo rapace di condor. Si affacciò dal nido di pilotaggio verso la carlinga, dove i passeggeri implumi, inetti al volo, attendevano legati ai sediolini che finalmente venisse annunciato il decollo, per migrare trasportati verso le terre del sud, più ospitali in inverno.
“recupereremo il tempo perduto, per tutti gli dei del cielo, o io non sono degno di essere chiamato comandante”, e mentre gracchiava queste parole la testa ad uovo luccicava di neon e di spie rosse riflesse.
Finalmente arrivò il permesso a lasciare la misera terra, i motori muggirono di forza e tempesta, la pista fu abbandonata e iniziò un volo ringhioso e verticale, poi l’aereo si infilò tra le nuvole che piangevano nebbia.
L’uomo condor, artigliato ai comandi, governava le ali di metallo, l’aereo scivolava nella fica umida e nera della notte, graffiandola con le scie dei gas combusti, che sembrava cometa nella vigilia.
I passeggeri stavano appollaiati alle poltroncine come i pulcini sull’orlo del baratro del primo volo, indecisi se affidarsi completamente all’aria o rimpiangere il peso e la fatica dello strisciare radenti il suolo, poche le luci accese, scarse e ovattate le voci.
L’aereo, metallico fallo alato, concluse il suo volo con una picchiata sulle coste dell’isola, atterrò furioso e prepotente sulla pista spazzata dal vento e dalla salsedine, arrestò infine la sua corsa rabbiosa e vibrante al limite della scogliera.
Il comandante Condor si affacciò di nuovo alla cabina di pilotaggio, guardò ancora i passeggeri che stavano per essere espulsi dalla confortevole placenta della cabina come spermatozoi in un fiotto d’orgasmo, scarruffò le piume e le mostrine della divisa.

“perdio, l’abbiamo fatta gridare quella troia della notte” disse agli assistenti di volo, e si risedette al posto di comando, manovrando come uno sciamano per riprodurre un volo, un altro tuffo a cazzo ritto nella vulva del cielo, per violarla ancora.

domenica 18 dicembre 2005

vuoi sapere mio nome?



Vuoi sapere mio nome? Io Katerina, di Romania. Al mio paese tutte ragazze belle come me.
Ti piace mie cosce? Ti piace mie tette? Non sono mie, sono tue perché tu paga e io fare toccare.
Perchè tu non vai dove ho detto io, ho detto venticinque euro pochi soldi io fare pompino che tu dire Katerina brava, e poi un’altra volta tornare da me.
Tu volere parlare? Tu pagare me non volere scopare io brava, vabene Katerina ora parlo con te.
Vabene ferma macchina qui accendi luce posso guardare tua faccia, sicuro tu non volere scopare, Katerina brava belle scopate dicono tutti clienti.
Al mio paese Romania sempre guardare televisione e vedere Italia bella, italiani ricchi, donne italiane belle come puttane ma non devono fare puttane per avere belli vestiti.
Katerina no sposata, no uomo marito a Romania, vabene, un bambino mio vuoi sapere nome lui chiamato Gerry.
Si Gerry come bravo Gerry Scotte, a me piace uomo come lui, grande bello ride sempre sicura lui non dare calci nel culo a donna di Romania.
E mia cugina Anna detto me venire in Italia, mia cugina Anna tornata Romania con aeroplano e valige piene belli vestiti.
Mia cugina Anna detto me Katerina tu volere come me belli vestiti allora tu venire in Italia con me e poi trovare lavoro facile cameriera ristorante lavare vecchi portare cane cacare oppure infermiera o lavoro negozio io bello sorriso belle gambe e sorriso vabene come pubblicità di dentifrici io potere lavorare negozio, padrone fare affari e dare tanti soldi e belli vestiti io comprare.
Invece poi amico detto Katerina tu bella, tu fare tanti soldi se tu puttana, io aiuto te, amico no magnaccio, lui dice che ama me, vabene io non so.
Devo levare vestito ora? Ora tu volere scopare? Aspetta esci tuo cazzo io mette profilattico , venticinque euro con profilattico, vabene se tu non volere tu dare me cinquanta euro vabene senza profilattico.
Tu volere che io scende dalla macchina? Tu volere guardare me davanti luci di macchina? E’ un gioco? Tu volere giocare con Katerina? Vabene, Katerina scende da macchina.
Tu non scappare via, vabene, mio vestito nella macchina, tu italiano bravo vabene.
Ti piace così? Katerina bello culo, belle tette dicono tutti clienti poi tornare. Uno mi dice vabene mai vista donna come te .
Cosa fa tu? Spegni luce forte io non vedo che succede.
Aspetta, no, vabene spegne macchina, tu non lasciare me qui sola Katerina brava, mio vestito nuovo dentro tua macchina.
Katerina ora sente dolore, Katerina perde suo sangue, Katerina paura di morire qui strada senza luce, Katerina senza vestito nuovo.

lunedì 12 dicembre 2005

stop, rewind, stop, play



Play.

Lei scese dalla macchina, lui non fece nulla per fermarla. Lui non fece nulla.
La guardò allontanarsi nella piazza, pensò “forse dovevo fare qualcosa in più”, premette il tasto dell’autoradio, le note di take the long way home dei supertramp si diffusero nell’abitacolo, l’armonica a bocca sembrava che lo rimproverasse.
Lui mise in moto e andò via, con la sensazione indigesta di non avere fatto qualcosa di importante.


Rewind

Lei stava per scendere dalla macchina, lui disse “aspetta”.
Lui prese la penna, scrisse alcune frasi sulla pagina bianca del libro, glielo porse, “leggile dopo” le disse.
Lei scese, si allontanò nella piazza, lui pensò “forse dovevo fare qualcosa in più”, premette il tasto dell’autoradio, le note di take the long way home dei supertramp si diffusero nell’abitacolo, l’armonica a bocca sembrava che lo rimproverasse.
Lui mise in moto e andò via, con la sensazione scomoda di non avere fatto qualcosa di importante.


Rewind 2

Lei aveva già aperto lo sportello, lui disse “aspetta”, lei sorrise.
Lui si girò verso di lei sul sedile, prese il libro e scrisse alcune frasi positive sulla pagina bianca, glielo porse. “un bacio” disse lei, e lasciò che la traiettoria delle labbra di lui intercettassero la sua guancia.
Lei scese, si allontanò nella piazza, lui pensò “forse dovevo fare qualcosa in più”, premette il tasto dell’autoradio, le note di take the long way home dei supertramp si diffusero nell’abitacolo, l’armonica a bocca sembrava che lo rimproverasse.
Lui mise in moto e andò via, con la sensazione astratta di non avere fatto qualcosa di importante.


Rewind 3

Lei stava per aprire lo sportello, lui disse “aspetta aspetta”, lei si girò verso di lui e lo guardò negli occhi.
Lui abbassò lo sguardo, prese il libro dalle mani di lei, scrisse una dedica personale, le disse “leggila adesso”, e sorrise.
Lei lesse le frasi, alzò lo sguardo lievemente sorpreso, lui disse “bacio”, lei fu sorpresa dal fatto che la traiettoria delle labbra di lui avessero intercettato le sue.
Lui fu altrettanto sorpreso di ricevere uno schiaffo, raccolse gli occhiali che erano caduti sulla leva del cambio, disse “aspetta”.
Lei scese, si allontanò velocemente nella piazza, lui pensò “forse ho fatto una cazzata”, premette il tasto dell’autoradio, le note di take the long way home dei supertramp si diffusero nell’abitacolo, l’armonica a bocca sembrava che lo sfottesse.
Lui mise in moto e andò via, con la sensazione ruvida di avere fatto una cazzata.


Stop, rewind, stop, play.

(soundtrack, naturalmente, supertramp)

sabato 3 dicembre 2005

schricchiolò la neve sotto le suole sulla via emilia



“T’aspettiamo fuori, m’hanno detto”.
Allora più di uno è, ho pensato.
Che dalle mie parti, se ti aspettano fuori, è una cosa brutta.
Poi , fuori, nebbia e freddo porco, e loro sono usciti dalla macchina.
Una aveva la coppola storta, l’altro fumava.
Che dalle mie parti, se uno ha la coppola storta, è una cosa più brutta di quella che se ti aspettano fuori.
“Sali in macchina”. Così, senza spiegazioni, e mi hanno fatto sedere davanti.
Lui, quello che guidava, sbagliava strada, e pensavo che lo faceva apposta per farmi confondere.
Che dalle mie parti, se ti fanno salire in una macchina e ti portano in giro e non cercano di farti confondere è una cosa brutta, peggio di quella che se hanno la coppola storta.
Poi finalmente ci siamo fermati.
“scendiamo”, ha detto la coppola storta.
Abbiamo camminato facendo scricchiolare la neve sotto le suole di gomma para, infilandoci sotto portici bassi e gelidi.
“questo è il tribunale, ci vengo spesso” ha detto ad un certo punto quello che fumava.
Che dalle mie parti, se uno va spesso al tribunale non è detto che sia avvocato, e se invece è cliente dell’avvocato allora è una cosa più brutta di quelli che ti portano in giro con la macchina per farti confondere.
Ad un certo punto, mentre quella con la coppola storta diceva entriamo qui no entriamo lì no andiamo avanti in un altro posto, ad un certo punto siamo entrati in un locale dai tetti bassi, dove delle donne in grembiule passavano lo straccio sul pavimento rossiccio, guardando a terra.
“andiamo di dietro” ha detto quella con la coppola storta.
Che dalle mie parti, se ti portano nel retrobottega e i camerieri del locale guardano a terra per non guardarti in faccia allora è una cosa più brutta di quelli che sono clienti dell’avvocato e vanno spesso in tribunale.
Ci siamo seduti, lui ha ordinato un caffè lasso, che non ho capito che voleva dire, invece aveva detto che il caffè lo voleva basso, e non ho capito ancora, poi ha fatto segno con le dita che era una tazza con poco caffè e ho detto “il caffè lo vuoi stretto”. In effetti il caffè è basso, nel senso di livello nella tazza.
E siccome c’era un freddo porco anche dentro il locale, ho fatto una cosa molto british ed ho ordinato un the.
Lei, quella che la coppola storta se l’era levata, ha ordinato un the persino, e mi ha detto “te li mangi i biscottini”, così senza punto interrogativo.
Che dalle mie parti, se ti dicono di mangiarti una cosa che te la devi mangiare per forza, allora è una cosa più brutta di quando ti portano nel retrobottega di un locale dove nessuno ti vede.
Poi sono arrivati i biscottini, e il the caldo, e il caffè basso-corto, e lui è uscito di nuovo a fumare.
Lei ha preso il suo telefono dalla borsa e ha fatto un numero, poi mi ha detto “parla con lei”.
E io non sapevo che dire, e ho strotolato il mio portabanalità da viaggio, che siccome è da viaggio ne contiene poche di banalità, e a un certo punto non sapevo che dire ancora, perché quella dall’altra parte rideva e non mi aiutava.
Che dalle mie parti, se qualcuno ti ride al telefono, è una cosa più brutta di quando ti dicono mangia per forza.
Poi ho guardato l’orologio e ho visto che dovevo ripartire, e ho detto “adesso riaccompagnatemi”.
E mi hanno riaccompagnato senza protestare, che io volevo scappare dal freddo e tornare dalle mie parti.
Prima di andare lei ha provato ancora a propormi di mangiare, che da quelle parti si cena presto la sera, ma io ho pensato che non sono né hansel né gretel e che non volevo cenare.
Mi hanno lasciato sulla strada, che la neve non si era sciolta, ed io ho detto tornerò, che non era una minaccia ma una promessa, allora quella della coppola storta si è ringalluzzita e ha tentato di nuovo di invitarmi a cena.
Mi sono calato il cappello sulla zucca gelata, e incamminandomi ho pensato tornerò.

giovedì 1 dicembre 2005

crash - contatto fisico


Stavamo rientrando a casa dal cinema, ierisera, quando un pitbull senza collare e senza guinzaglio, nero con una stella bianca sulla testa, ha preso a seguirci.
Mia moglie si è spaventata, io ho guardato il cane negli occhi, ed ho letto paura. Paura sua, tanto che ha continuato ad avvicinarsi con la coda bassa, quasi strascinando le zampe.
Poi siamo arrivati al cancelletto che dà accesso al condominio, abbiamo aperto e richiuso in fretta, ed il cane è venuto a mettere il muso tra le sbarre. Negli occhi si leggeva “aprimi per favore”.
Pochi secondi dopo, una vecchia Fiat si è arrestata con stridio di pneumatici poco oltre il cancello, e ne è sceso un uomo corpulento.
L’uomo ha guardato il cane, il cane ha guardato l’uomo, l’uomo ha detto “vieni bello andiamo a casa”, il cane si è lanciato di corsa in mezzo alla strada ed è scomparso nel buio di un parcheggio.
Ho pensato che avevo appena commesso una cattiva azione, e che sarei stato premiato per questo.
Anche se sembra strano, il film che avevo visto ierisera conteneva un messaggio di questo tenore.
La pellicola in questione è Crash, ambientata a Los Angeles, ma la location conta poco, perché poteva benissimo essere stato girato a Palermo o a Capetown.
Dico subito che il film mi è piaciuto tantissimo, che lo avrei rivisto seduta stante, e che è piaciuto a tutte le persone che, come me, avevano scelto questo titolo tra i tre, tutti attraenti, che la multisala proponeva.
Dico anche che non c’è una vera e propria trama, infatti il meccanismo narratorio interseca tra di loro le esistenze e le azioni di una dozzina di personaggi, tutti più o meno legati tra di loro, fino ad arrivare ad una conclusione in cui tutti questi nodi intrecciati si sciolgono, tra l’amarezza e la gioia.
I protagonisti si presentano come buoni? Alla fine scopriremo che sono diventati cattivi. Il poliziotto stronzo che ha palpeggiato brutalmente la moglie del regista di colore durante un controllo notturno metterà poche ore dopo la propria vita a rischio per tirare fuori la stessa donna da un’auto che, capovoltasi in seguito ad un incidente stradale, si sta incendiando.
topica la frase del poliziotto cattivo a quello che sembra ancora buono: tu pensi di sapere chi sei, ma non hai capito niente
E fa pensare, e molto, ed anche i personaggi sono persone che pensano, e che fanno scontrare le loro idee e i loro corpi, e spesso anche le loro automobili.
Non ci sono punti di riferimento, il politico di turno dalla moglie isterica, corrotto e contorto, compirà degli atti che lo riabiliteranno e la moglie scoprirà che l’unica persona in grado di darle aiuto quando ne avrà bisogno è la cameriera messicana che fino a poche ore prima ha umiliato ed odiato.
Non posso qui raccontarvi tutte le microstorie che si intrecciano nel corso del film, soprattutto perché alcune sono talmente poetiche o spiazzanti che è difficile renderle bene in queste poche righe.
Un film bello, sconcertante, interessante, che offre un disorientante percorso narrativo, sembra quasi di essere in uno stato di intossicazione acuta da alcool mentre lo si vede, un film che fa pensare, dalla colonna sonora (di mark isham) avvolgente e coinvolgente, dal montaggio insolito, dai colori strani, dalle luminosità contrastate. Lo consiglio a chi mi legge, anche per potere continuare a pensare che il cinema, in fondo, è una magia narrativa meravigliosa.


mercoledì 23 novembre 2005

gli scrittori sono magri



“gli scrittori sono magri, questo è il motivo per cui non pubblicano i nostri romanzi”.
Ho guardato Nunzio in faccia, è vero lui ha il doppio mento e la pancetta debordante, poi ho provato ad immaginare me nella foto di controcopertina, sopra alle note scritte da un famoso critico famoso, e mi sono ricordato che sono senza capelli.
“e gli scrittori hanno lunghe chiome fluenti” ho aggiunto io, rincarando la dose di veleno esalata da Nunzio.
Stavamo provando a immaginare la prossima lettera in cui l’editore avrebbe informato il caro amico che le sue cose sono sì variamente interessanti, ma purtroppo, caro amico, la nostra casa editrice non ha spazio per la narrativa italiana, tranne poi pubblicare i balbettii dei divi ,della grande fratella o le barzellette vane del teleimbonitore.
“allora cosa proponi?” mi ha chiesto subito dopo.
“potresti cominciare a fare una bella dieta” ho ringhiato “ e magari mettere la foto di Bran Pitz al posto della tua quando invierai il plico con manoscritto e sinossi d’ordinanza al prossimo editore”.
Nunzio ha riflettuto un attimo, appoggiandosi le mani sul ventre, e poi “certo, lo farò di certo, e ti regalerò anche una parrucca con l’anticipo che riceverò sul romanzo”.
Abbiamo continuato per un pezzo, durante la presentazione di una rivista che ci aveva prima promesso la pubblicazione dei capitoli iniziali dei nostri romanzi, ancora inediti, tranne scoprire dopo, parlandone con la direttora, e osservandone i denti sporchi di rossetto scoprirsi durante le sibilanti, che la pubblicazione era rinviata al prossimo numero “sapete ragazzi, abbiamo ricevuto veramente un mucchio di racconti di giovani esordienti, che assolutamente vale la pena pubblicare…”
Poi abbiamo dovuto anche acquistare una copia della rivista “serve a sostenerci” ha soffiato viperina la direttora, e scoprire sfogliandola che i racconti che valevano la pena passavano per il pene di certi giovanetti che al corso di scrittura si erano sicuramente ripassati la vecchia topa della direttora.
“gli scrittori sono giovani e magri” ha ribadito allora Nunzio, dopo avere sborsato i sette euri e cinquanta della rivista “e noi non abbiamo chances”.
“usciamo a fumare” ho detto allora.
Fuori, gli ambulanti cinesi stavano smontando i loro baracchini, con un pigolio di fondo che mi ricordava un pollaio industriale, abbiamo acceso le sigarette e camminato fino all’angolo dell’edificio, poi abbiamo svoltato in una piazzetta dove un colonnato in tufo giallo ornava la facciata laterale.
Sotto al colonnato un baccanale di spazzature assortite, ed un tizio con uno spago in mano, attaccato a qualcosa.
Nunzio gli ha chiesto cosa stesse facendo lì con lo spago in mano, ma il tizio non ha risposto, ha scosso un po’ il laccetto e da dietro una colonna è uscito un gatto bianco legato alla cima, solo che l’animale era semiparalitico, e camminava a scatti, come un cartone animato difettoso; il tizio lo ha preso in braccio, ha ficcato la lenza in tasca e se ne è andato.
Ho detto a Nunzio “rientriamo a vedere che dicono?”, lui però ha alzato le spalle “andiamocene invece”.
Aveva la faccia triste, volevo proporgli un cinema, o una birra, invece gli ho detto “vedrai che entro l’anno riceverai una risposta favorevole, un editore di importanza nazionale, ne sono sicuro” anche se ero certo di dire una bugia.
Ce ne siamo bevute cinque o sei di birre, in un pub dove un giovane pittore giovane esponeva le sue opere, una sfilata di santi nudi, visti dal lato del loro culo triste di santo, e poi l’ho caricato nella Panda e l’ho accompagnato a casa.
“coraggio Nunzio, vedrai che entro l’anno…”
“vaffanculo” ha risposto, e si è trascinato fino al portoncino decorato da cazzi bombolettati con spray verde fluo.
Sono tornato a casa, ho telefonato a Rosy:
“l’utente desiderato non è al momento raggiungibile “ ha detto una troia dalla voce di plastica, ho preso la busta che avevo trovato nella buca delle lettere, una busta il cui mittente era un noto editore, la ho aperta con un piccolo bisturi, letto le frasi di circostanza, appallottolata e tirata nel lavello.
“caro amico”, diceva la lettera “gli scrittori che noi pubblichiamo sono magri, hanno i capelli, sono giovani e maledetti”.
“merda” ho pensato “non sono più né giovane né maledetto”.
Mi sono addormentato mentre la compressa di antiulcera calmava le vampe nel mio stomaco.

venerdì 18 novembre 2005

ospedaliera



Stavo aspettando dietro la porta di un luminare della cardiologia locale. In effetti non è che sia così tanto luminare, ma ci stimiamo con reciproca comprensione e simpatia, anche oggi quando mi ha visto e gli ho fatto cenno di far sparire la sigaretta che gli fa male lui mi ha detto "sono le mogli che fanno male all'uomo, non le sigarette" ed ha tirato una voluttuosa boccata.
Il fatto però è successo prima: un gruppo assortito di popolani spingeva una carrozzina in cui giaceva, apparentemente moribonda, una vecchina minuta, probabilmente per un consulto da un professore.
Mentre i familiari parlavano, e parlavano di eredità, ero seduto vicino e li ho sentiti, una coppia giovane si è avvicinata furtiva all'orecchio delle vecchina, e lei le ha sussurrato: "zia, zia, me la lasci la casa prima che muori?". A queste parole la zia si è risvegliata dalla sua catatonia ed ha gridato "buttana buttana a tia ca tinni fuisti nenti ti lassu" . Traduco per i non palermitani: oh ragazza di malaffare, a te che hai fatto la fuitina (procedura che evita il matrimonio ufficiale, decisamente costoso) non lascio niente. Inevitabilmente è scoppiata una mezza rissa tra i parenti, ma la vecchina si è nuovamente ritirata nel suo mondo privato. Allora è vero quello che dicono, cioè che bisogna parlare agli anziani per mantenerli vivi.

la seconda notte di nozze



La seconda notte di nozze è uno di quei film che apparentemente non hanno trama, hanno una storia debole, ma divertono lo spettatore.
Sono una serie di scene abbastanza brevi  in cui la particolare abilità degli attori chiamati da Pupi Avati a interpretare personaggi strani nella normalità fa si che tutto sembri straordinario.
La trama si dipana in una Italia appena uscita dalla seconda guerra mondiale, in cui tutto è precario o manca .
Katia Ricciarelli impersona perfettamente una vedova bolognese , Liliana, tendenzialmente zoccola, che è ospitata insieme al figlio Nino, Neri Marcorè, dalla olimpica faccia tosta,
in una chiesa che accoglie un certo numero di sfollati e di gente che dopo la guerra ha perso tutto.
Lei per procurarsi da mangiare soggiace alle lubriche voglie di un cameriere di ristorante, che la rifocilla in cambio di prestazioni sessuali.
Il figlio è un buono a nulla, con una particolare inclinazione al furto ed alla truffa, e con la capacità di tenersi un lavoro, per quanto precario, per non più di tre giorni, giusto il tempo che i datori scoprano di che stoffa è il giovanotto.
In una allucinata Puglia vive invece il cognato della vedova, Giordano, interpretato da Antonio Albanese, che viene gestito dalle vecchie zie nella grande casa patriarcale, ormai deserta, e che si occupa di disinnescare mine e fare brillare ordigni inesplosi che riemergono copiosamente tra aratri e reti da pesca.
Giordano è stato rinchiuso in manicomio alcune volte, e svolge il mestiere di artificiere perché ritiene che la propria vita sia priva di valore in quanto malato di mente, e questo crede anche la gente che lo circonda.
Accade che la vedova, sull’orlo della disperazione, scriva una lettera al cognato in Puglia, cosa che fa per cercare di risvegliare in lui una certa passione morbosa coltivata durante le vacanze pugliesi con la di lei famiglia. Durante una di queste vacanze la ragazza si fece ingravidare dal fratello di Giordano, e costretta a maritarselo, con l’aggravio dell’ostracismo perenne della famiglia di lui,
Giordano riceve la missiva e risponde a Liliana, invitandola a venire in Puglia: il nipote Nino ruba una macchina e inizia un periglioso viaggio attraverso l’Italia appena liberata per andare insieme alla madre a conoscere lo zio e riempirsi pancia e tasche. Ma avevo detto che il film è senza trama, e invece ve la sto raccontando? Allora smetto, che vi tolgo il piacere: inutile sprecare aggettivi (che io sono uno che ci spara, agli aggettivi), andatevelo a vedere, che ne vale la pena. Un film indovinato, dosato bene in tutto e che rende tutti i soldi del biglietto che costa.
Ah il titolo si riferisce al fatto che Liliana è vedova ed ha avuto la sua prima notte.

lunedì 14 novembre 2005

requiem per i giocattoli



Su un quotidiano, oggi ho letto un articolo che era una specie di requiem per i giochi che hanno accompagnato l’infanzia di quelli che-come me- sono nati negli anni ’60, in un periodo in cui l’Italia e l’Europa uscivano dalla depressione post-bellica, e dopo la ricostruzione qualcuno trovava anche il tempo di pensare ai giochi dei bambini, che non fossero le classiche trottole o palloni o bambole.
L’autore del pezzo dice che autopiste elettriche e trenini sono praticamente scomparsi dagli armadi dei giochi dei bambini del 2000, ma perché? Perché, provo a ipotizzare, i nostri nonni erano ferrovieri e muratori e meccanici, quindi portati ad interessarsi a giochi che riproducevano il loro mondo in piccolo, perché negli appartamenti ( o a casa della zia zitella) c’era spesso la stanza vuota dove montare in tutta la sua regale estensione la pista Policar a 4 corsie ( mi vengono in mente anche Dromocar e Scaletrix, chi ricorda altre marche di autopiste?) o stendere il foglio di compensato su cui avvitare i binari del trenino (Marklin per i ricchi, Rivarossi per i sofisticati, Lima per i proletari) e sognare trasporti merci e passeggeri su e giù per una Italia di cartone e balsa.
E le raccolte di modellini? Bambini e adolescenti manipolavano carrozzerie di metallo con portiere apribili e sterzo funzionante, immedesimandosi nei libidinosi desideri degli adulti; questo aveva un senso quando cambiare l’auto era un evento epocale, che coinvolgeva tutta la famiglia, anche per via dei sacrifici economici che bisognava affrontare per passare dalla seicento alla millecento, e poi alla centoventiquattro special. I ragazzini contemporanei non si appassionano più di tanto all’automodello reale, in scala, casomai pretenderà dal genitore o dal nonno una spider replica in scala con motore a scoppio, una micromoto che fa i settanta all’ora, il miniquad per scorrazzare in spiaggia. Ma quando?
Quando, raramente, la domenica il mal di schiena di papi e le paturnie mestruali di mami consentiranno ai regali cuccioli di casa di essere trasportati, con i loro aggeggi meccanici, in qualche giardino pubblico o nel parcheggio vuoto dell’ipermercato e lì dare sfogo alle libidini corsaiole in miniatura.
Perché anche tra i genitori moderni i videogames portatili e le consolle per videogiochi riscuotono tanto successo? Perché il pupo resta in silenzio, si sente solo il rumore frenetico delle dita che muovono i tasti del joystick, ipnotizzato davanti alla tv, giocando per ore senza spaccare le palle al pater familias che nel frattempo può dedicarsi alla chat, al giardinaggio, al telefono, perché non c’è bisogno che esca di casa, il pargolo, e non sta in giro a triturare i marroni della mamma, e dopo è in stato comatoso, deglutisce la cena liofilizzata e fila a letto.
Le costruzioni: migliaia di mattoncini da rimettere a posto sono un duro test per i fragili sistemi nervosi delle mamme moderne, e capita sempre che il pezzetto da uno vada disperso, e venga ritrovato perché è finito sotto le scarpe di qualcuno, ed ha scavato un canyon nel parquet.
Il gioco deve essere inodore, non sporcare, non richiedere la collaborazione degli adulti, non invadere gli spazi di necessario edonismo di padri e madri, possibilmente poco rumoroso e costoso, in modo da lenire i sensi di colpa.
Addio, castello dei fantasmi di Lego, addio, collezione dei modellini delle autobotti dei pompieri in scala 1/43, ritengo che non verrete riesumati dai miei nipoti; io vi conservo in uno scatolone nel sottotetto della casa di campagna, almeno mia nuora o i miei nipoti avranno un buon motivo per imprecare contro di me quando decideranno che quelle scatole sono di troppo e vanno eliminate.

giovedì 10 novembre 2005

mediamorfosi



Il circolo virtuoso si chiude: la scrittura digitale trova ospitalità estesa, transitando prima per i byte di sacripante!, finendo quindi sulle pagine di carta di Margini. Contemporaneamente avviene il passaggio inverso, cosicché due delle storie che compaiono sul numero 2 di Margini, sono germogliate in uno apposito spazio innestato, come farebbe un giardiniere paziente, nel corpo virtuale di sacripante!. Questa è mediamorfosi.

mercoledì 9 novembre 2005

mercoledì 2 novembre 2005

domenica 30 ottobre 2005

concorso letterario nel pomeriggio



Ho parcheggiato la moto mentre arrivavano Bice e Antonio L. Ci siamo scambiati i saluti e qualche battuta, lo facciamo sempre, poi abbiamo raggiunto il viale d’accesso a Villa Niscemi cosparso di sabbia di tufo che faceva scricchiolare il  passo.


Due tipe ci hanno chiesto dove fosse la sala in cui si sarebbe svolta la manifestazione, cui eravamo diretti anche noi.
“il vigile urbano al cancello ci ha detto entrando a destra” ha detto una delle tipe.
“ma a destra c’è il laghetto delle oche” ha risposto Bice.
appunto” stavo per dire io, svelando così la mia stima nei confronti delle tipe, ma Bice mi ha prevenuto con una delle sue fulminanti occhiate.
Poi, nel cortile di Villa Niscemi si sono materializzati dei commandos nuziali scesi da BMW nere lucide,   composti da coppia sposo-sposa in abiti neri disegnati dallo stesso couturier che veste Darth Vader in Guerre Stellari, le damigelle in completini neri sadomaso, altre parenti strette, che continuamente palpeggiavano le plissettature della tuta spaziale nera della sposa, pareva che avevano appena razziato   un pornoshop: ma si sa, de gustibus!
Devo dire, ad onor del vero, che anche tra i convenuti per la premiazione del concorso letterario spiccavano delle mise audaci, del genere vitellina da concorso o mi sono messo la giacca che non me la metto mai e questa che mi sono messo puzza di sudore che non la porto mai in lavanderia tanto non me la metto mai.
Io giudico le persone seguendo un algoritmo che vede tra i passaggi cruciali quello dell’impatto olfattivo, che se è negativo porta direttamente fuori dallo schema, cassando ogni possibilità di futuro recupero.
Intanto la faccenda non cominciava, si aspettava il rappresentante dell’autorità comunale, impersonato da un ex picchiatore nero dal corto collo; è arrivato ben oltre la mezz’ora di tolleranza, ma c’è chi ha fatto di peggio. La presidente della giuria si è andata a collocare al posto d’onore un’ora dopo l’orario ufficiale: ma è ovvio, le persone importanti si fanno aspettare.
Il picchiatore è stato chiamato dalla organizzatrice del concorso a fare il suo discorsetto: non lo aveva preparato, ma se l’è cavata abbastanza bene, frullando un assortimento di banalità assortite, e dichiarandosi felice di essere ad un concorso di poesia. In effetti il concorso era di narrativa, ma lui è un uomo d’azione, e probabilmente le ossa di un poeta o di un narratore fanno lo stesso rumore quando si spezzano.
Io volevo prendere le mie copie del volumetto antologico, anche per vedere l’effetto che fa a vedere il proprio nome su dentro un libro, ma l’abbronzata dama preposta alla vendita delle antologie ha detto che bisognava aspettare la conclusione.
Poi sgranando gli occhi strapazzati dall’eyeliner mi ha detto “le copie si pagano, non sono gratis, eh!”.
Probabilmente era stata avvisata da qualcuno del fatto che i palermitani sono bravissimi a scroccare ciò che altrove si paga, e che molti di loro hanno conseguito laurea e master in scippo e sottrazione indebita di volumi antologici, e si premuniva : meglio dire chi sacciu e non chi sapia.
Elio è andato a comprarsi le sigarette, a me è arrivato l’sms di Massimo, il mio figlio minore che se ne era andato a spassarsela al bowling, “papà ho finito vieni a prendermi”.
Cosicché ho rifatto il viale croccante al contrario, ho montato la moto mentre arrivavano altre berline nere con squadriglie nuziali da guerra, e sono andato a recuperare il figlio.
Così facendo mi sono perso la mia passerella di partecipante arrivato in finale ma non tra i migliori, e la medaglia d’ordinanza me l’hanno data dopo, quasi di soppiatto e quasi rimproverandomi per essermi fatto beccare assente all’appello.
Avrei potuto dire “mi scappava” ma non sono credibile quando invento le scuse.
Poi sono riuscito ugualmente a corrompere la rigida funzionaria e a farmi consegnare le copie che avevo prenotato, improvvisando una acrobazia monetaria con Elio, e sollevando la rigida dalla somministrazione del resto in moneta, che la procedura le aveva provocato una fibrillazione ventricolare, uno scotomo, un fischio all’orecchio ed una contrazione tonico clonica al polpaccio destro: succede sempre, che ti mettono alla cassa “tu prendi i soldi e non farti fregare” e poi non ti danno le monete per il resto.
A casa ho scoperto che non capisco niente. Io e Massimo ce ne eravamo andati prima della proclamazione dei vincitori, si faceva tardi e invece gli organizzatori continuavano a fare suonare un trio jazz come se l’evento fosse la musica e non la scrittura.
Ho sfogliato il volumetto, ed ho scoperto che il racconto vincitore me lo aveva mandato una collega del laboratorio di scrittura, per leggerlo. Io lo avevo bocciato senza appello, non mi era piaciuto il modo in cui era scritto, carente di congiunzioni e con le parole attaccate da trattini, invece è arrivato primo.
Appare evidente che di scrittura non ne capisco niente, presenterò le mie scuse all’autrice e mi darò all’itticoltura.

sabato 29 ottobre 2005

siamo i Franz Ferdinand



Londra, esterno sera, i treni nella tube viaggiano con ventinove secondi di ritardo, con grave disappunto del signor Smith, che ha preso con sè l’ombrello uscendo da casa, anche se stamattina il sole spaccava le vecchie pietre del Big Ben.
Una Ford Cortina Gt del ’67 si ferma davanti ad un sontuoso cancello, ne scendono quattro giovani, facce normali da bravi ragazzi.
“E’ qui?”
“si state calmi, ora premo il pulsante del citofono”
“ma non c’è scritto niente”
“le persone famose non mettono il nome sopra il bottone: cosa volevi che ci scrivesse? Qui abitano i Pink Floyd?”
“non stiamo cercando i Pink Floyd”
“Roger Waters ha suonato con loro, ha composto la maggior parte della loro musica”
“ah, ora ho capito”.
Il cancello si apre, trascinato dagli stantuffi del meccanismo elettroidraulico, un uomo in vestaglia di seta si affaccia in cima alla scalinata che conduce all’ingresso principale.
“chi siete, cosa volete?”
“siamo i Franz Ferdinand”
“mi spiace, non ho ordinato cucina austriaca a domicilio, e se siete piazzisti non compro niente”
“siamo un gruppo rock, abbiamo bisogno del suo aiuto per il nostro secondo album”.
“non siete drogati o rapinatori allora?”
“no, no signor Waters, per favore ci ascolti”.
“cari figlioli, io sono passato alla musica classica, ne avrò per qualche anno, sto componendo un’opera e non posso darvi nessun aiuto”
Roger Waters si gira verso la porta, e sta per rientrare.
“la cucina, la cucina , quella dove avete preparato la colazione psichedelica di Alan!” urla disperato uno del gruppo.
L’uomo in vestaglia si ferma, guarda i ragazzi con attenzione.
“passate dalla porta sul retro, lì si va direttamente in cucina, ma non fate casino, e quando finite pulite tutto”.
I Franz Ferdinand si accomodano nella cucina psichedelica, tutto è colorato in tinte fluo, gli armadietti riportano motivi optical che fanno girare gli occhi.
Sono un po’ indecisi, non sanno quale armadietto aprire.
“quali sono gli ingredienti? Cosa vi serve?” dice Roger Waters.
“allora, un po’ di estasi”
“siete drogati, ora chiamo la polizia”
“no, no, XTC, white album!” strepita uno del gruppo.
“armadio basso, dove ci sono le cose per dipingere”
“e ora vorremmo Oasis”
“ci troviamo in Inghilterra, figliolo, non in Egitto”
“signor Waters, gli Oasis dei fratelli Gallagher!”
“ah, ho capito, guardate dove tengo l’aceto e gli acidi per pulire”.
La preparazione prosegue per qualche tempo, vengono convocati e riesumati anche i Rolling Stones, brandelli di Cure, qualche grammo di U2, scampoli di Talking Heads.
Dopo alcune ore di preparazione, mentre la governante di Roger Waters ha preparato frittelle per tutti, il disco è pronto.

Questa storia me l’ha raccontata lo spirito musicale che è uscito dalla copertina non appena ho aperto il cd “you could have it so much better” dei Franz Ferdinand, ascoltare per credere!!!  I pink non c'entrano niente, ma mi serviva il riferimento della colazione psichedelica...

venerdì 21 ottobre 2005

una questione di corna?



“La tigre e la neve” di Roberto Benigni.

Tutto un problema di corna. Un bizzarro professore di poesia tradisce la moglie per una giovane collega inglese, causando l’allontanamento da casa della moglie, che viene a scoprire quanto successo tra i due.
Lui comunque tenta di ricongiungersi con lei con acrobazie materiali e verbali, ma senza successo.
La moglie, giornalista, si reca in Iraq per completare la biografia di un poeta, amico del marito; durante l’ultima intervista però resta coinvolta in un attentato, prende una botta in testa ed entra in coma.
Il professore viene avvisato telefonicamente dall’amico iracheno, trova il modo,rocambolesco e truffaldino, di arrivare in Iraq con un volo della Croce Rossa per tentare di salvare la vita della moglie.
Sorvolando sulle avventure stile Totò le Mokò che il professore di poesia è costretto suo malgrado a vivere, ci si avvicina ad un epilogo.
Il poeta iracheno, sconvolto dalla guerra e dall’impotenza della forza intellettuale e dell’arte a bloccarla, si suicida appendendosi all’albero di ciliegio del patio della sua casa di Baghdad, la moglie del professore, grazie alle amorevoli cure di lui riesce ad uscire dal coma, e lascia l’Iraq senza il marito, che nel frattempo è rimasto coinvolto in una retata americana ed imprigionato come sospetto terrorista.
Quando finalmente riesce a farsi rilasciare, torna in Italia anche lui, ma all’aeroporto viene arrestato poiché inseguito da un mandato di cattura nazionale, derivante dal non essersi presentato ad un’udienza, nonostante il suo avvocato lo avesse avvertito.
Viene rilasciato, e mentre tenta di raggiungere la moglie e le figlie a casa, incappa in un blocco stradale causato da un incendio allo zoo di Roma: gli animali sono tutti scappati mentre la primavera riempie l’aria di batuffoli di polline, e sembra che stia nevicando.
La moglie di lui, mentre tenta di rincasare, si imbatte in una tigre, e questa immagine riporta lo spettatore ad una affermazione di lei, fatta all’inizio del film, quando gli dice che ritornerà insieme a lui solo quando vedrà una tigre nella neve, parafrasando così il titolo di un libro di poesie.
Finalmente il professore riesce a rientrare a casa, la moglie non sa che è stato lui a guarirla a Baghdad, lo capisce solo quando vede che la sua collana con ciondolo pende dal collo di lui; a questo punto qualsiasi spettatore ottimista immagina, anche se non lo vede, un amorevole lieto fine.
Quella che ho sommariamente raccontato è la trama del nuovo film di Roberto Benigni, “la tigre e la neve”.
Chi si aspettava un’opera epica, dalla poetica mistica, con una raffica di denunce forti contro la guerra e la follia dell’uomo resterà deluso. Il film descrive, in maniera per certi versi esilarante, le conseguenze di un tradimento; nella storia sono iperboliche, e proprio questo aumenta il risultato tragicomico.
Roberto Benigni si inventa delle gag in cui sembra proprio Totò, la moglie interpretata dalla reale moglie, Nicoletta Braschi, è sufficientemente antipatica per il ruolo che le compete, Jean Reno, solitamente coinvolto in storie al limite della realtà, assomiglia ad un poeta iracheno ma non lo è.
Compare nel film anche un cameo di Tom Waits, del quale però non si comprende la motivazione.
Per finire, io lo consiglio per sorridere e non pensare troppo, per farsi convinti che la poesia non può salvare il mondo dalla pazzia, e che un film per essere gradevole non debba per forza contenere messaggi di denuncia.
Tutto un problema di corna, e guai a catena.

l'uomo può volare



Au revoir M. Folon. Aujourd'hui vous savez que l'homme peut voler
 

martedì 18 ottobre 2005

gazzosa per tutti



“La vedi quella fontanella? Ci venivamo a dissetare dopo che finivamo le partite al chianu. Altro che cocacola o quelle bottiglie colorate che costano due euro e dopo che l’hai bevuta ti viene la sete più forte di prima.
E a lavarci le ginocchia sbucciate, non si poteva tornare a casa ngrasciati di sterro e sangue, che poi le madri si mettevano ad abbanniare nei cortili, e per qualche giorno ci tenevano alla catena.
Lo vedi quel mucchio di lamiere? Quelle erano tutte baracche e ieri le hanno buttate giù e domani vengono le ruspe a sbarazzare tutto. Ci sarà di nuovo un chianu dove i ragazzini del rione potranno andare a giocare a pallone come facevo io. Te ne sei accorto che i picciriddi non giocano più a pallone nelle strade?”
Mi dice queste cose mentre passeggiamo sulle basole instabili di una stretta strada del centro storico, dove alcuni palazzi sono lindi di restauro e facciata rinfrescata, altri trasmettono angoscia e paura di crollo, con i loro balconi spalancati che sembrano occhiaie di teschio.
Saranno a casa a fare i compiti, o a giocare ai videogiochi o a guardare la televisione, rispondo io.
“Lo sai, sono consigliere di quartiere, qui ci sono nato, anche se non ho studiato lo so cosa vogliono i picciutteddi, che se li lasci chiusi a casa si fulminano il cervello con la plaistation.”
Massimo si ferma, guarda di nuovo la bidonville demolita, sicuramente torna al ricordo del chianu. E delle partite contrarie, che si cominciava alle due, dopo avere svuotato il piatto di pasta e fagioli, e si finiva solo quando scurava.
“ci giocavamo cento lire a partita, le squadre erano sempre più o meno le stesse, se venivi a vedere non capivi niente, tutti appresso al pallone nel pruvulazzo, e c’era il figlio del salumiere che a casa aveva la televisione e la madre ci cuciva i numeri dei giocatori sulla maglietta bianca, qualche volta di nascosto portava il pallone di cuoio e diceva enzi quando c’era fallo di mano, e conne per il calcio d’angolo, che l’ho scoperto solo da grande che significavano quelle parole.”
Ma chi ti ha dato ascolto? Per fare questi lavori, chiedo a Massimo.
“Lo sai che qui vengono gli onorevoli a pigliarsi i voti, e mi cercano, Massimo di qui e Massimo di là; ma io ci trovo i voti solo a quelli che mi stanno simpatici, lo decido io chi acchiana nel rione, che a fare promesse sono tutti bravi e poi mancianu e su scordanu. Invece questo onorevole, si quello che mi ha detto Massimù portati per il consiglio di quartiere, questo onorevole ti dicevo, quello che ha fatto la delibera per mandare la ruspa domani, a lui gli ho fatto comprare una casa qui, l’abbiamo ristrutturata, ci sono gli affreschi nel tetto, che per riempire gli occhi non c’è bisogno di quadri alle pareti, pure io che le scuole non le ho finite lo capisco che sono cose belle, bellissime, e siccome l’anno prossimo mi sposo, l’ho comprata pure io una casa con i tetti dipinti.
Angeli, cavalieri, fimmine bellissime, che quando ci andrò a stare con mia moglie ci sentiremo come quei baroni che ci abitavano prima, e se mi affaccio dal terrazzino si vede lo Spasimo.”
Massimo si ferma e apre il guscio del cellulare.
“Te la faccio vedere, tanto ormai siamo amici io e tu, guarda, questa è lei, e questa è mia nipote, guarda che bambola, la figlia di mia sorella, quella che se n’è fuiuta. Mia madre la tiene chiusa la ragazza, che è troppo bella, e sarebbe peccato che se ne fuisce come mia sorella. Mio cognato? Quello era uno schifo, ora è al colleggio, ma quando esce qui non gli conviene venire, che lo faccio scomparire.”
Guardo nel microscopico display del telefonino, le foto che lui mi fa vedere con tanto orgoglio, foto di ragazze giovani che si spera non sfioriranno presto come le madri e le nonne. Alla parola scomparire lo guardo negli occhi, forse troppo severamente, e lui si mette a ridere.
“Scomparire è un modo di dire, che pensi, un bravo ragazzo sono, mio cognato, anzi il mio ex-cognato, che ci portai le carte all’avvocato per farla separare a mia sorella, lui è uno schifo d’uomo, e qui non ci torna più”.
Il Genio di Palermo in cima alla fontana guarda sconsolato un imponente edificio avvolto dalle impalcature, in attesa di restauro dopo un incendio doloso di dieci anni fa.
“lo sai che facciamo? Ci pigliamo un caffé, poi nella macchina ho un supertele, ce ne andiamo al chianu, chiamiamo ai miei nipoti e facciamo una porta romana.”
Va bene, dico io, chi perde paga la gazzosa per tutti.


Piccolo glossario di termini palermitani:

chianu: spiazzo, piazza sterrata
ngrasciati: sporchi (da grascia, grasso)
abbanniare: gridare sguaiatamente ( il banditore abbannia gli editti del sindaco, il venditore ambulante abbannia la sua merce)
picciriddi: bambini
picciutteddi: ragazzi in età puberale
scurare: tramontare del sole
pruvulazzo: polverone
enzi: distorto dall’inglese hands, mani
conne: distorto dall’inglese corner, calcio d’angolo
acchiana: viene eletto, da acchianare, salire
mancianu e su scordanu: mangiano e se ne dimenticano, metaforico.
fuiuta: colei che fa la fuitina, cioè viene rapita dallo spasimante per organizzare subito dopo un matrimonio riparatore
colleggio: a Palermo si intende il carcere borbonico dell’Ucciardone, detto anche albergo, tuttora attivo.
 

sabato 15 ottobre 2005

ricordino


Si usa fare un richiamo anche per la vaccinazione, per cui ricordo ai lettori di questa finestra, soprattutto ai più distratti, che è online il numero 5 di sacripante! e che in questo numero si trova anche un mio racconto dal titolo  "un tipo marginale" ( www.sacripante.it/005/ideefisse/15.asp )

giovedì 13 ottobre 2005

avvisi ai naviganti nel golfo di palermo

 


golfo di palermo

















 


















Avviso numero 1: i volumi delle edizioni   untitl.ed  si trovano a Palermo solo presso la libreria “modusvivendi”; chiedeteli al mio amico Fabrizio, che troverà anche il modo di rifilarvi qualcosaltro, magari un volume di Paolo Nori.  


 


Avviso numero 2: il mio amico (eh che parolone!) Antonio Lo Cicero si è messo in testa che doveva farsi un libro tutto da solo; lo ha fatto e si sta vendendo. Se passate da Fabrizio, oltre alla terna di untitl.ed, e al libro di Paolo Nori, vi farà scivolare  tra le mani anche questo, (si chiama “a che fare col sud”) che a vederlo pare inoffensivo come libretto, ma contiene tre storie palermitane, di cui la terza mi è proprio piaciuta.  


 


Avviso numero 3: ricominciano i laboratori di scrittura e gli incontri di lettura de “gli amici di Oblomov” (chi era costui?), frequentando i quali correrete il rischio di incontrare me, Antonio Lo Cicero e Fabrizio, oltre a molti altri coltivatori di narrative assortite.


Quest’anno sono articolati così:


-         per/corso per principianti (per cominciare a raccontare)


-         per/corso intermedio (per chi già scrive e vorrebbe farlo meglio)


-         per/corso per chi scrive da tempo ( e vuole tenere aperto uno spazio di confronto e discussione)


-         Biblomov (liberi incontri di lettura, a tema o a personaggio)


-         Servizio di editing.  


 


Avviso numero 4: toponomastica adattativa. Un tale si trova in via Brunetto Latini, che è una strada trafficata vicino al Tribunale di Palermo, ed al cellulare cerca di spiegare all’altro dove si trova e come si chiama

la strada.  Siccome sulla targa della toponomastica è riportato B. Latini, il tizio urla al compare “mi trovo in via blatini, blatini, no sarà sicuramente sbagliato, devi venire in via platini, si si platinì, vicino al tribunale. Vi giuro che è vero, l’ho ascoltato oggi dal finestrino abbassato della Passat.


 


 


 


 

martedì 11 ottobre 2005

Senza titolo 5


questi sono diversi tipi di margini;  e hanno qualcosa in comune con la scrittura, perchè dagli alberi si fa la carta e perchè la scrittura può essere dentata e mordere, seghettata e ferire, ondulata ed ammaliare.


nel caso servisse, un repertorio di scritture marginali lo trovate al numero 5 di sacripante! ( www.sacripante.it ) da oggi online.

sabato 8 ottobre 2005

cornuti alla via oreto


 


Neanche faccio trecentometri in via Oreto che le macchine si impastano, il traffico è bloccato, sale il fumo dalla strada stretta, alcuni stronzi si attaccano al clacson ma che cazzo ci suoni, non lo vedi che siamo tutti fermi? gli dico uscendo la mano dal finestrino; la buttana con il muso pittato nella centoventisette allato alla mia mi guarda con un occhio solo, ché l’altro è pieno di fumo, si sta sucanno una sigaretta, creitinotestadiminchia , dice senza levarsi la marlboro dalla bocca, e poi si gira.


Allora mi attacco al clacson pure io cornuti, cornuti, fateci passare grido con la testa fuori dal tettuccio di tela della cinquecento.


E’ tutto fermo,   la macchina è invasa dal nerofumo dell’autobus numero 102 che sgassa davanti a me, e dall’odore appiccicoso di fritto del panellaro, che se ne fotte del traffico e continua a buttare panelle e crocchè nell’olio bollente.


Non ne posso più di restare nell’abitacolo, che pare una camera a gas, e allora scendo, tanto anche altri che erano nelle macchine sono scesi; uno si legge il giornale, uno litiga con la moglie, bella grassa e sudata, uno che conosco mi dice amunì totò, andiamo a vedere che succede lassotto…le senti le voci?.


Le sento le voci, si sente gridare e rumore di lanna sbattuta, e sirene che vengono dalla direzione opposta; man mano che ci avviciniamo la gente è tutta affacciata nei balconi e davanti alle putìe, talìano nella direzione del bordello ma non si vede ancora niente.


Piero cammina ammuttanno quelli che ci capitano vicini, lui ha una panza da operaio, di quelli che alla fine della giornata di manovale vanno alla taverna e si bevono la giornata tutta a birra e vino schifiato, solo che Piero non è operaio, si fotte la pensione delle zie paralitiche che ha a casa, e se la beve, tanto le zie devono crepare, che le cura a fare, dice.


Altri si sono rassegnati, hanno spento il motore della macchina ed sono scesi pure loro, ma non si allontanano, macari qualcuno vede lo sportello aperto e si ammucca l’autoradio, la via oreto è piena di scassapagghiari, appena ti volti te la fanno.


Ora il rumore di lanna sbattuta è forte, e si sentono le voci che gridano “lavoro, lavoro, lavoro”, andateci a lavorare penso io,


e si vedono cassonetti abbuccati e tutta la munnizza sparpagghiata per terra, e qualche cornuto col giornale e l’accendino in mano che sta cercando di bruciarli, i cassonetti.


Venti venticinque persone, alcuni sono seduti per terra, altri sui cofani delle macchine e fanno finta di non accorgersene che quelli dentro suonano il clacson come i pazzi, e i cassonetti messi di traverso, già da uno esce fumo, gli sbirri in tenuta antisommossa sembrano una mandria di bufali che scalcia e arretra, uno che forse è un pezzo grosso parla nel telefonino tenendosi la mano davanti alla bocca, e fa avanti e indietro tra la linea dei celerini e la diga di plastica verde improvvisata dagli scioperanti.


Non si passa, non si sposta nessuno, i commercianti hanno abbassato le saracinesche, si scantano che a momenti succede il vivamaria, alcune casalinghe arricampano le lenzuola stese, ora che il fumo fituso della munnizza e della plastica sale, e gridano pure loro ma c’è troppo bordello e non si capisce niente.


Lo sbirro in borghese smette di parlare al cellulare, se lo infila in tasca, si volta e dice qualcosa ad un celerino con manganello e megafono nelle mani, quello cala la testa e comincia a gridare nel megafono, i dimostranti sgomberino pacificamente la pubblica via, altrimenti le forze dell’ordine saranno costrette ad usare la forza, e Piero dice Totò amuninni ora a qualcuno ci rompono le corna, vola una bottiglia che fuma, manco il tempo di capire che succede che uno sbirro piglia fuoco, e due compagni lo aiutano mentre quello cade a terra, coprendolo con gli schermi di plexiglas, manco il tempo di capire se lo sbirro s’abbruciò che parte la carica dei celerini, un catafottersi di legnate e di sprangate, manco il tempo di pensare scappo che mentre sto scappando appresso a Piero che si era defilato prima ,sento una legnata in testa e diventa tutto buio, e forse faccio in tempo a gridare ancora in mezzo al gran casino, tutti cornuti siete.


 

martedì 4 ottobre 2005

salire e scendere dal Monte Pellegrino



.


 


 


 


Ultimamente ho deciso di perdere peso, di dimagrire insomma. Molto spesso, negli ultimi mesi, ho preso questa decisione; prima però si è messa di mezzo la Pasqua, e lo stillicidio di feste e festini che la seguono, poi è arrivata l’estate.


L’estate, con i suoi riti e le sue cerimonie accelerate.


Sarà che sto invecchiando, ma con gli amici con i quali ci si vede solo in spiaggia,   perché durante l’anno loro vivono lontani o per qualche motivo sono troppo impegnati, insomma va a finire che ogni scusa è buona per organizzare un pranzo o una cena : il mese di agosto è stato un rallye enogastronomico dal quale sono uscito pesantemente segnato.


Quindi, tornato in città, ho nuovamente deciso di dimagrire. Mi sono un po’ messo a dieta, solo un poco però, senza privazioni da campo di sterminio, ed ho rimesso a posto la bicicletta da corsa, che necessitava di qualche intervento di manutenzione: in palestra non mi sono iscritto, i miei istruttori preferiti sono emigrati in un nuovo centro ipermoderno ma tragicamente lontano da casa mia, ed io che per anni sono andato in palestra a piedi, adesso faccio fatica a pensare di dover prendere la macchina o la moto, ma questa è un’altra storia.


Ho cominciato ad uscire il pomeriggio, tanto fa ancora buio abbastanza tardi, alla fine del lavoro (ho un orario molto flessibile, sono un dipendente esterno, e questo ha i suoi vantaggi), facendo prima dei giri in pianura, poi cimentandomi con la montagna che sovrasta Palermo.


Che in fondo è orograficamente una montagna  solo per poche decine di metri, altrimenti sarebbe un colle, ma la strada che si inerpica, circa dieci chilometri, è decisamente ripida.


La pista che porta alla cima del Monte Pellegrino, dove si trova anche il santuario della Patrona della città,

la famosissima Santuzza ,  Santa Rosalia, si presta ad usi diversi a seconda della stagione, dell’orario, delle intenzioni di chi la percorre.


Può essere scalata a piedi, magari scalzi, per sciogliere il voto fatto alla Santuzza, fermandosi ogni tanto per sbucciare qualche ficodindia strappato alle enormi piante che costeggiano tutta la carreggiata, oppure in automobile, per verificarne la tenuta di strada e lo scatto in montagna, o in moto, o in bicicletta per testare la propria efficienza motoria, come faccio io.


Comunque è una strada che non collega due punti della città: si sale per andare al santuario, o per godere della vista, o per altro.


C’è da dire che lungo i quasi dieci chilometri di percorso si trovano numerose piazzole e traverse cieche che sono adeguatamente sfruttate dalle coppiette in cerca di intimità.


La solita commistione tipicamente meridionale tra sacro e profana carnalità dirà qualcuno, e credo che abbia ragione.


Mi succede, mentre sto arrancando sui pedali spingendo un rapporto duro, duro per me che sono in soprappeso ovviamente, dicevo che mi succede di guardare, per i pochi secondi in cui le incrocio, le coppie dentro gli abitacoli delle auto che salgono o scendono, e di sorprendermi a pensare quanto siano disomogenee, lui così vecchio e lei cosi giovane; è probabile che si tratti di padre e figlia che sono andati a pregare, ma il mio spirito guardone gli affibbia l’etichetta di amanti che hanno appena finito di copulare.


Oppure di pensare che in quella cabriolet accostata al guard-rail, dove lui sta scrutando l’infinito con occhi semichiusi, lei sia ripiegata, intenta ad eseguire una amorevole fellatio.


Comunque la cosa migliore da guardare, per evitare di controllare sempre il trip computer della bici e scoprire che nell’ultimo minuto ho percorso solo cento metri, è il panorama.


Dopo pochi tornanti la città si offre tutta, con la sua forma a clessidra, da un lato il porto, il Cassaro e tutti i quartieri che si affacciano sul golfo di Palermo, dall’altro, dopo la strozzatura della Favorita e la piana dei Colli, l’ampolla sabbiosa di Mondello, chiusa dalla mole severa di Capo Gallo e dell’Addaura dall’altra parte.


Ci sono sempre attraccate alle banchine navi enormi con fantasiosi fumaioli colorati, che eruttano sulla terraferma turisti da crociera con gli occhi ancora incispati dal sonno, gonfi di cibo e bevande che obbligatoriamente vengono consumate durante la navigazione, ché se non mangi viene il Capitano e ti scruta come se fossi un sovversivo, o un terrorista: il principale divertimento di questo tipo di viaggio è mangiare a tutte le ore, a ciclo continuo, come in un allevamento industriale.


Quando si vede la spiaggia di Mondello, col suo golfo che sfuma le diverse tonalità dell’azzurro prima e del blu dopo, significa che sono arrivato in cima, che la faticaccia è finita e che posso controllare il cronometro per scoprire se ho impiegato meno tempo della volta precedente, e complimentarmi da solo.


Stappo la bottiglia di integratore salino che mi sono portato appresso, aspetto che le pulsazioni riprendano un ritmo regolare, e mi accosto al muretto per guardare giù.


Contemplando il litorale dorato mi viene il desiderio di fare un tuffo, e contemporaneamente penso a mio padre, la cui assenza quest’anno in spiaggia è stata evidente: la spiaggia di Santa Maria non è la stessa senza di lui, “eh si vede che manca papà” mi dicevano i conoscenti dopo che qualcuno li aveva informati che lui se n’era andato in silenzio in una stellata e crudele notte di febbraio.


“già, si vede che manca, te lo ricordi, siamo stati i primi a piantare un ombrellone su questo arenile”.


Sto divagando, mentre in discesa dovrò stare attento a frenare con decisione, la pendenza è forte e si raggiungono velocità impensabili per un mezzo a trazione umana.


Mentre la strada si riavvicina alla pianura si attraversano anche un paio di gallerie non illuminate, scavate nella roccia viva che, quando i costumi sessuali erano più rigidi, e portarsi la fidanzata a casa per certe pratiche era severamente proibito, erano piene di utilitarie parcheggiate a destra e sinistra con i vetri ricoperti dai giornali, e la puzza di sperma rancido e il cigolio delle sospensioni delle macchinette che si muovevano al ritmo dei lombi dei passeggeri non lasciavano nulla all’immaginazione.


Ricordo che una volta, mentre attraversavamo questi luoghi viscidi in auto con i miei genitori, ebbi a chiedere a mia madre, di ritorno da una funzione religiosa al santuario, (ero piccolo, uno stupido scolaro di scuola elementare) “mamma perché queste macchine sono qui al buio con i vetri coperti?”, e lei con un guizzo di fantasia istantaneamente rispose “sono operai che sono stanchi del lavoro, non possono tornare a casa e vengono qui a dormire al buio”. Per molti anni la spiegazione  fu sufficiente, adesso appartarsi dentro questi tunnel bui  e umidi non si usa più, sia per il pericolo di essere assaliti da malintenzionati, sia perché ci sono posti più comodi.


Prima di ritornare al livello del mare, dentro il viale che corre nel parco della Favorita, e riaffrontare un chilometro di salita leggera, si passa davanti ad un filotto di ville abusive in stile Hollywood dei poveri; alcune non sono state completate, forse per il tempestivo ed improbabile intervento dei Vigili Urbani, forse per l’esaurimento delle finanze, spesso illecite, di chi le stava costruendo, e sembrano scheletri di balene adagiate sul calcare grigio della montagna.


Oggi un pallone evaso dal cancello di una di queste ville mi ha tagliato la strada, ed ha preso velocità lungo la discesa, subito dopo un bambino abbigliato come un piccolo calciatore è sbucato da un cancello, e vedendo il super santos che accelerava verso l’ignoto si è messo le mani nei capelli: ho mollato i freni e raggiunto la sfera rotolante, facendola fermare poi contro la ruota anteriore, opportunamente sterzata. Nel frattempo è arrivato il ragazzino, il cui sguardo si è riempito di gratitudine, ha ripreso la palla  di gomma rossa ed è scappato via: mi sono sentito autore di una ottima buona azione .


Poi mi sono ricordato che se volevo, facevo ancora in tempo per vedere la partita di calcio in televisione ed ho ripreso a scendere per tornare a casa, smoviolando pensieri vari( a papà non piaceva il calcio       e mi faceva rabbia non potere vedere le poche partite che negli anni sessanta-settanta venivano trasmesse alla televisione, ma anche se non mi facevi tifare davanti al vecchio Brionvega mi manchi lo stesso papà) .


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

venerdì 30 settembre 2005

nuovo palinsesto


Nuovo palinsesto di canale verità

 




 



Ore 6,30 Honda verde: in giro per tangenziali e autostrade a caccia di cantieri non segnalati, bivacchi di prostitute e i più divertenti incidenti stradali mortali.


Ore 7,00 Telegiornale: conduce in studio Pinocchio


Ore 8,00 Cocaina di mattina: telecamera nascosta nei bagni degli uffici a caccia della pista migliore.


Ore 8,30 tv dei ragazzi -    il piccolo chimico del terrore


-         esercizi di sabotaggio scolastico


-         scegli la tua vittima, prove strategiche di bullismo


-         top ten spacciatori


-         asta online di microtrasmittenti per copiare al meglio

 



ore 9,30  telefilm: il commissario Sex. Il pornocane impegnato a fare ciò che fa meglio, indagini in doggy style.

 



Ore 10,30  telefilm: l’ispettore Dick, un superdotato a caccia di grandi casini .


Ore 11,00   grande piazza dei Mercati: il vostro insider trader preferito vi guida nella jungla del mercato borsistico, segnalandovi le migliori pessime azioni, i più puzzolenti titoli spazzatura, come perdere i propri risparmi e quelli dei parenti nel minor tempo possibile, in studio Calisto Tanzi.


Ore 12,00  la prova del boia: in collegamento satellitare con le città sedi di forche, ghigliottine, sedie elettriche e plotoni di esecuzione, le più divertenti esecuzioni capitali raccontate in diretta da Alessandro Baricco, Susanna Tamaro e Simona Ventura, tra il pubblico in studio roulette russa e il simpatico concorso trova la siringa avvelenata.


Ore 13,00 telegiornale veterinario: conduce in studio Emilio Fido.


Ore 14,00  teleshopping: belle pistole, stupefacenti stupefacenti, lavatrici per coscienze sporche.


Ore 14,30  facciamoci i cazzi vostri: telecamere nelle case degli italiani, cazzi e scazzi raccontati da Maria de Filippi, con la troupe dei ballerini castrati.


Ore 16,30 Art Attack: come rubare al Louvre, come devastare le fontane di Roma, come far cadere la torre di Pisa in dieci semplici mosse, trova la facciata rinfrescata da graffitare.


Ore 17,30 disastri aerei sul mare di Sicilia, trasmissione di viaggi estremi e divertimento assicurato, sponsorizzato dalla dalla Sai.


Ore 18,15  sport, oggi lancio del feto nel cassonetto, corse clandestine di cavalli drogati al raccordo anulare, caccia e pesca di frodo nelle più belle riserve naturali nazionali e internazionali.


Ore 19,00 reality showw: venga a prendere un caffè da noi: Giuliano Ferrara prepara un irresistibile caffè per i suoi ospiti in studio: scommetti in diretta chi berrà quello col topicida.


Ore 20,00  telegiornale della Sara: conduce   Sara.


Ore 21,00  chi gliel’ha visto? Galleria fotografica con interviste ai possessori dei falli più originali del mondo, con misurazioni e prestazioni a concorso, lo presenta Merolone.


Ore 22,00 scienza e coscienza: la Piovra 43, calamaro fritto, seppie alla livornese.


Ore 23,00  torta a torta: tira la tua in faccia a Bruno Vespa e ai suoi simpatici ospiti involontari.


Ore 24,00  i programmi della notte, canali tematici, sonniferi e incubi a cura di Marzullo, selezione di porno vintage a cura di Cicciolina, documentari anatomici del dott. Mengele a cura di Bruno e Angela.



 



Buona visione!