giovedì 30 marzo 2006

nato il 29 febbraio




La sveglia ha suonato, e poi si è accesa la radio, con il notiziario di oggi, 29 febbraio.
Oggi si vota, si torna alle urne per decidere se confermare o sostituire il premier.
Mi sono alzato, ho scrutato la mia faccia allo specchio prima di radermi, è sempre la stessa faccia, sono io, Matteo Rossi.
Dopo, vicino al frigorifero, ho detto latte , la giusta dose di liquido bianco è stata somministrata nel bicchiere di plastica, mentre una voce sintetizzata informava che si trattava di latte del presidente, parzialmente scremato, temperatura di 7 gradi ed altre stronzate cui non ho prestato attenzione.
Oggi si vota, potrei farlo comodamente da casa, dal box interattivo sopra la televisione, che non possiamo più spegnere da quanto è stata approvata la legge che ne impone l’accensione continuata, ma ho voglia di uscire.
Passerò prima a prendere i dolci in pasticceria , poi andrò al seggio.
E’ il 29 febbraio, il mio compleanno.
Sul teleschermo ghigna il grande faccione del premier , seguito dal solito spot pubblicitario subliminale.
Mi vesto, indosso jeans , maglione, scarponcini di camoscio, prendo il piumino ed esco.
Accendo il cellulare, ed il jingle di benvenuto mi ricorda come grazie al presidente imprenditore i costi di utilizzo della rete cellulare siano tra i più bassi d’Europa.
Lungo la strada, giganteschi cartelloni pubblicitari sbraitano gli slogan che hanno condito la campagna elettorale, quasi a senso unico per il presidente cittadino, solo raramente qualche spazio lasciato libero ospita le facce smunte dei rappresentanti dell’opposizione.
Arrivo al seggio, prima di entrare vengo controllato da un agente provvisto di metal detector, poi una hostess mi offre un caffè della ditta del presidente imprenditore, mi ricorda che quest’anno le tasse, è certo, diminuiranno dello 0,3 %, mi attacca sulla giacca un adesivo con uno slogan.
I funzionari elettorali hanno la stessa divisa, sponsorizzata dal presidente stilista, registrano i miei dati, mi porgono la scheda e la penna scanner per la votazione.
Entro nel seggio, apro la scheda: a destra, il faccione a colori, sorridente del presidente degli italiani, a sinistra i piccoli simboli degli altri candidati.
Passo la penna scanner sul simbolo di un partito; viene emesso un beep e si accende la lucetta rossa in cima. Ho votato, posso uscire.
Il responsabile del seggio, con sussiego, mi restituisce il documento, lo rimetto in tasca, mentre esco dall’edificio si avvicinano due ragazze, hanno scritto exit poll sui cappellini, vorrebbero domandarmi per chi ho espresso la mia preferenza, ma non è ancora obbligatorio per legge rispondere ai sondaggisti, così mi allontano.
E’ il 29 febbraio, il mio compleanno, mentre cammino con il vassoio dei dolci in mano, passo vicino ad un poster con il volto del presidente costruttore, che annuncia la conclusione dei lavori per il ponte sullo stretto.
E’ il mio compleanno, mi fermo, prendo la mira e gli sputo in faccia.
Un ronzio, è una delle telecamere della sicurezza stradale, si gira e mi scruta con il suo occhio profondo.
Mi allontano velocemente, verso casa, forse riuscirò a mangiare i dolci prima che vengano a prendermi.

sabato 25 marzo 2006

Senza titolo 6


E’ primavera,


si sbottonano le camicette


fioriscono in bellavista tette


e timide pancette.


Simpatiche signore e signorine


non esattamente magroline.


Serenamente non palestrate,


sottoposte a terapie invernali


di zuccheri e cioccolate.


E’ primavera,


si accorciano le gonne


delle accaldate donne.


Cosciotti prosciuttati


sovradimensionati


schizzano a cubetti


da calze a rete e stivaletti.


Ti si è rotto lo specchio?


Hai problemi di vista?


O la commessa


cinica e vigliacca


ti ha dato speranza


sull’effetto antipanza


di jeans corazzati


superelasticizzati?


Penso e mi guardo


tranquillizzato,


senza paura,


ormai rassegnato


i nove centimetri in più


sulla cintura.



 




 




 



 

mercoledì 22 marzo 2006

un gran mal di testa II


lui si accorse che il mal di testa gli era passato, guardò la cucina attraverso il vetro verde della bottiglia.


vide la faccia di lei, colore verde bottiglia.


si chiese ad alta voce "ma non ti avevo vista morta?"


lei rispose "era una messinscena per vedere se avresti sofferto per me".


lui pensò che come al solito non aveva capito niente.


lei disse "mi sono accorta che non hai sofferto per me, hai persino preso le pillole"


e continuò "hai preso le pillole non per suicidarti, ma per farti passare l'emicrania"


lui pensò che doveva uscire in qualche modo dalla storia.


lui disse "devo uscire da questa storia, e voglio aiutare anche te"


lui spaccò la bottiglia sul tavolo di marmo, ne impugnò il collo.


a lei passò la voglia di farsi aiutare.


 

martedì 21 marzo 2006

un gran mal di testa


lei disse : questa storia è una pazzia.


lui rispose: è vero, è una vera pazzia.


lei disse: non capisco come ho fatto a finire in questa storia.


lui rispose: neanch'io lo capisco, in linea di massima capisco poche cose.


lei disse: non possiamo andare avanti così, bisogna fare qualcosa.


lui rispose: si, sono d'accordo, ma non so cosa.


lei andò al ponte sul fiume , e si buttò da quaranta metri.


lui ebbe una improvvisa emicrania, e si fece molte domande.


lei era sicuramente morta, a guardarla dall'alto.


lui prese una manciata di compresse.


fortunatamente gli passò il mal di testa.

lunedì 20 marzo 2006

c'era una volta

C’era una volta il jazz-rock. Poi la definizione venne sostituita da quella meno evocativa di fusion.

Se oggi qualcuno mi ha incontrato lungo i miei pellegrinaggi lungo le strade ed autostrade della Sicilia occidentale si sarà sicuramente accorto che il mio specchietto retrovisore tremava.

E che io con un occhio guardavo la strada, con l’altro leggevo il libretto interno al cd e, complice la Prima Vera Giornata di Sole dopo mesi di pioggia e freddo, tenevo il finestrino semiabbassato.

Con una mano guidavo e con l’altra tambureggiavo sul tetto, perché era impossibile farne a meno.

Necessario flash-back a sabato mattina: solito transito al negozio di dischi, per ascoltare le eventuali novità, per acquistare un regalo per la pagella del figlio piccolo ( a lui ho preso il nuovo di Ben Harper), per comprarne qualcuno pure per me.

Come spesso accade, un cd è stato inserito d’imperio dallo spacciatore musicale, con la solita frase “questo lo devi comprare”.

Come sempre, il sospetto mi ha sfiorato, ma sono curioso, e in più comincio a fidarmi degli sconosciuti, quindi l’ho comprato.

E oggi lo specchietto retrovisore tremò.

La prima cosa che mi ha sorpreso è la dinamica ampia della registrazione: non il solito cd inciso nell’ovatta, con tutti i toni attenuati. Bassi pieni ed acuti tintinnanti, bello tosto.

I primi 4 brani lasciano senza fiato, uno più vibrante dell’altro, e non è fusion, insisto, ma quello che una volta si chiamava jazz-rock. Bassi , percussioni, chitarre, voci, archi, fiati.Poi una pausa, breve, giusto per rimettere i timpani a posto, e si riprende fino alla traccia 12.Il cd è questo. Mi piace.


 e quello che mi piace sono anche le facce dei musicisti nella controcopertina, niente trucchi contro il tempo che avanza, le facce sono quelle di ex-ragazzi di 50 anni, che sanno ancora suonare con energia.

(toto-falling in between)

 

 

mercoledì 15 marzo 2006

phil, brian e robert


prendi questo, ha detto il mio solito spacciatore di musica. la carne è debole, ed ho accettato che il cd finisse nella pila delle cose da ascoltare. che almeno di buono c'è questo, che mi fa provare la roba, prima di spacciarmela. E posso controllare se alla prima sniffata mi pare del rumore giusto. Va bene lo ascolto, visto che lui insisteva. Phil Manzanera? Ma chi, quello dei Roxy Music? ho detto io. Devo aver fatto una faccia un pò schizzinosa quando ho detto Roxy Music, perchè il pusher si è affrettato a dire: Eno, Wyatt e Manzanera, ma coi Roxy non c'entra niente. Ho ascoltato le prime quattro tracce: vabbè lo compro. Poi in macchina e a casa me lo sono riascoltato, a basso volume, ad alto volume, nell'impianto buono e nel mini. molto poco a che fare con le avventure esotiche dei Roxy M. Le prime tracce sono allegramente rock, bello luminoso, con le chitarre di Phil al posto giusto, good vibrations, e credo di avere fatto incazzare quello del piano di sotto quando mi sono sparato "technicolor ufo" ad un volume indecente. le tracce 4  e 5 (50 minutos tarde e desaparecido) risentono invece di una decisa influenza latina, non proprio afrocubana, probabilmente Phil si è ricordato di avere un padre centramericano nonostante sia cresciuto in U.K.  il cd è condito da un decente libretto, con i testi delle tracce e sulla copertina l'ultimo pezzo, dalle chiare influenze di Eno-pensiero è preceduto dalla scritta "audio warning enter at your own peril". l'ultimo brano del cd si chiama enotonik bible black. Non poteva che firmarlo sua audiosantità Brian Eno.


 


 

sabato 11 marzo 2006

dna di orso e tori amos

 

 

Che ieri ho avuto a che fare con un tizio che mi ha detto che preferisce le email ai contatti umani. Allora gli ho detto che probabilmente ha del dna di orso dentro le cellule.

Lui mi ha risposto che ci deve pensare, ma che magari non è una idea sbagliata.

E su google c’è l’immagine del dna di orso, e anche di orso preistorico: me le devo stampare e gliele porto la prossima volta che lo vado a trovare,

Poi ho attraversato la Sicilia dal tirreno al mediterraneo e viceversa, passando per statali e provinciali. Certi campi verdi che pareva la Svizzera.

Mi sono finito di gustare un cofanetto di dodici cd di Tori Amos, che dopo che l’hai ascoltato ti senti in assoluta pace cosmica con il mondo, ed ho anche deciso di impararne due o tre a memoria, delle canzoni di Tori Amos, che magari ad un karaoke intellettuale faccio bella figura.

Come quando in occasione di qualche dopocena coi colleghi, distanti da casa e intrisi di alcoli vari, chiedo a chi sta suonando il pianoforte “la sai Suzanne?” e mi metto a cantarla in inglese, e dopo che stanno tutti quasi piangendo , probabilmente perché canto in maniera disperante, continuo con la versione italiana. L’effetto è che dopo non canta più nessuno, e si va a dormire, che l’indomani la riunione è dura.

Comunque passato dal mediterraneo al tirreno per tornare a casa il cielo si è annuvolato, e i campi si sono fatti verde smeraldo profondo, e ho incontrato più pecore e capre e mucche che uomini. Poi, all’uscita di una curva cieca, un cavallo enorme era piantato al centro della strada, che sembrava finto. Lui ha guardato con commiserazione la toyota a molla da dentro la quale io lo scrutavo, sperando che si togliesse dalla carreggiata, allora ho abbassato il finestrino e lasciato inquinare il silenzio della campagna dalle schitarrate degli artic monkeys: si è allontanato scuotendo la coda, ed è sparito tra la nebbia e il verde.

mercoledì 8 marzo 2006

palermitani


Se Palermo è una cipolla, i suoi abitanti cosa sono? Anzi cosa siamo, visto che ci sono anch’io ed a parlare per pluralia maiestatis non sono adatto.

Per esempio, noi palermitani ci commuoviamo quando viene trovata una bambina nel cassonetto da uno studente. Però poco prima una moglie e un marito a spasso avevano attribuito ad un gatto i vagiti della picciridda. E se serve, non ci facciamo troppi scrupoli a scioglierli nell’acido, i bambini.

E anche masculi, fimmine, arrusi e vecchi.

Poi invitiamo la vedova (povera vedova) del presidente Mitterand per farle benedire (benedire?) la sorgente di uno dei rigagnoli più schifosi della faccia della terra, il famoso fiume Oreto, detto anche orineto dalla puzza che fa, che sono anni che tentano di ripulirlo, ma due operai tolgono la melma con la pala meccanica e diecimila alacri cittadini ci buttano i sacchetti della spazzatura, le moto rubate, le lavatrici vecchie, i cadaveri delle prostitute, i residui della macellazione clandestina, le fogne abusive.

Belli, eh cari turisti, bellissimi i mercati all’aperto. Che spettacolo Ballarò (ci hanno fatto persino un programma tv con un quasi bravo presentatore dall’aria del cirneco), che bellezza la Vucciria (dipinta da Guttuso in un momento di evidente carenza di modelle nude), che abbondanza il Capo.

I metri cubi di residui organici vengono lasciati dai commercianti palermitani ai topi palermitani per alcune ore e poi, e non sempre, vengono rimossi con clangore di compattatori e roche urla di operatori ecologici autoctoni.

La città è bellissima, se solo non ci abitassimo i palermitani…

 

giovedì 2 marzo 2006

libretto e città

Ero in aeroporto, come al solito con un adeguato anticipo sull’orario del volo, non si sa mai, e mi sono diretto verso la edicola-libreria, con l’intenzione di acquistare una rivista patinata di automobili, di quelle che scatenano la gelosia delle mogli, perché ci sorprendono a guardare con concupiscenza la tale coupè o la station wagon supervitaminizzata.
Ho dato un’occhiata alle varie copertine, ma non mi sono deciso. Ho preso invece dal banco dei libri un testo che mi era stato recentemente consigliato (romanzo criminale) visto che nel frattempo mi ero perso pure il film al cinema. Insieme a questo ho preso anche un altro libretto, scritto da un giornalista che conosco, che non avevo ancora comprato ma senza un motivo, non l’avevo comprato e basta. E forse se non fossi entrato in quella libreria non avrei più preso, perché quando vado dal mio spacciatore di libri preferito, mi dirigo immediatamente verso il banco dei romanzi, e scelgo quelli nuovi degli autori che più mi hanno soddisfatto negli ultimi anni.
Ho preso questo libretto e l’ho pagato insieme all’altro, e siccome l’altro era sigillato da un cellophane inattaccabile, ho cominciato a leggerlo.
Prima nei pressi del gate poi nella mia poltroncina alla fila 14 del fokker 100 che mi avrebbe portato a Napoli. Piccolo flashback: signorina del check-in, mi dia un posto comodo, possibilmente vicino l’uscita di sicurezza dell’aereo, e se possibile non mi metta nessuno accanto, così posso leggere in santa pace: la signorina del check-in merita un premio, e avrete capito perché.
Insomma il libretto l’ho finito quando le ruote del carrello hanno fatto sckreek sulla pista di Capodichino.
Che li per lì mentre lo leggevo mi sono pure incazzato, perché il giornalista diceva cose vere, e che anch’io pensavo, e che verificavo giornalmente.
Però poi mi è passata, ed ho capito che molte delle azioni che in questi anni di vita palermitana ho compiuto inconsciamente invece erano mosse da una specie di motore di palermitanità che ognuno di quelli che cittadino si sente veramente ha, nascosto tra fegato e milza.
Insomma, arrivato a casa stasera, ho preso il libretto e l’ho messo sul tavolo della cucina, dicendo a moglie e figli: “voi pensate di avere capito la città? Se non leggete questo non avere capito niente.” Infatti per ora lei sta leggendo il libretto.
Ah, è quello qui sotto.