lunedì 27 giugno 2005

robert plant: mighty rearranger



“papà...ehi papà”, mio figlio mi ha toccato la spalla, stavo guidando.
“papà, ma questi sono i led Zeppelin?”.
La domanda è arrivata pochi secondi dopo che era iniziato a suonare in macchina un cd nuovo, scartato ed infilato nel caricatore.
L’effetto dell’affermazione di mio figlio è stato multiplo, e sfaccettato.
Ho pensato “questi sono gli effetti positivi di una buona educazione musicale familiare: avervi cresciuto a Beatles e Led Zeppelin per colazione, Deep Purple e Lou Reed a pranzo, David Bowie e James Taylor a merenda, Genesis e Pink Floyd a cena sta dando i suoi frutti”.
Siccome non rispondevo, Massimo mi ha di nuovo toccato la spalla.
“ehi papà, ma sono o no i Led Zeppelin? E’ uscito un disco nuovo?”.
Ho rallentato, ho preso dal sacchetto la custodia con la copertina, senza dire niente l’ho passata alla mano che veniva dal sedile posteriore.
I due fratelli si sono rimessi in ascolto, ed io ho approfittato per alzare un pò il volume dell’autoradio.
In effetti, impossibile dargli torto, le dodici tracce del nuovo cd di Robert Plant, credo l’unico LedZep ancora in attività, suonano proprio come quel disco nuovo di un gruppo che conosci bene, le cui caratteristiche sonore si sono infiltrate nel tuo dna, e che comunque ti fanno dire “è nuova, è musica diversa da quella sentita finora”.
Un piccolo aiuto dall’elettronica non guasta, e poi chitarre, bassi, batterie , tastiere e Plant che butta il cuore dentro il microfono e l’armonica.
Alcuni brani sembrano appartenere, come la traccia numero tre e la sette, al periodo di “the songs remains the same”, alcuni altri come la uno “another tribe” e la due “”shine it all around” alla fase più scientifica di “Phisical Graffiti”.
Poi ci sono anche le ballate di voce e chitarra acustica, ma tutto il materiale sonoro risulta ben organizzato, con arrangiamenti e suoni di livello eccellente.
“eh papà” ha detto ad un certo punto Massimo “peccato che a Palermo non ci verrà mai a suonare…ma tu li hai mai visti i Led Zeppelin dal vivo?”.
Non ho risposto, ho aumentato ancora il volume e mi sono rimesso a battere il tempo col piede sinistro, mentre all’imbrunire le luci di posizione delle macchine davanti a me sembravano stelle filanti avvolte nelle note lisergiche di “the enchanter”.


 

venerdì 24 giugno 2005

piccolo

quand'ero piccolo, raccontavo un sacco di bugie;  poi ho cominciato a scrivere racconti.

lunedì 20 giugno 2005

buchi neri su ustica




Erano stelle, e pianeti
e giovani comete
imbarcate a Bologna, direzione Palermo.
Racchiuse in un cosmo d’alluminio
e nervi elettrici,
forte e leggero nell’aria.


La notte era di velluto
attraversato da aghi e spilli
dalla punta arroventata.


Fuori dalla carlinga,
le stelle fisse nel firmamento
non potevano fare nulla
che restare a guardare,
mentre occhi ciechi
di cani volanti in caccia
cercavano senza trovarle
prede segrete e nascoste
sotto i piani di coda.


Poi l’abitacolo pressurizzato
si è aperto,
e le stelle e i pianeti
e le giovani comete
sono cadute
senza peso
senza rumore o dolore
sprofondate nel mare.
Oggi sono alghe
e plancton e conchiglie
sul fondo dell’abisso di Ustica.


Ancora qualche bambino
e qualche donna
piangono.
Ma nessuno li ascolta.


 

mercoledì 15 giugno 2005

lettiera per gatti



Le ruspe stavano spianando la sabbia che un autocarro aveva appena scaricato sul piazzale, dove fino a pochi giorni prima si trovava il parcheggio interno dell’Ospedale Civico.
Un piccolo trattore provvedeva, muovendosi come uno scarabeo stercorario, a distribuire uniformemente la ghiaia , e subito dopo intervenivano alcuni operai che, armati di rastrelli, rendevano uniformemente ondulata la superficie sabbiosa.
“stendetela bene da quella parte” dissi, indicando alla squadra la zona del parcheggio che doveva essere sistemata.
Sull’altro parcheggio, quello che si trovava dietro l’edificio della radiologia, un altro gruppo di lavoratori, in tuta verde e mascherina, stava finendo di recuperare ciò che era stato prodotto durante la notte; sarebbe stato ammassato nell’essiccatore, e dopo qualche giorno trasferito alla centrale termica.


Da quando erano cominciati quegli strani fenomeni, e da quando avevo intuito come volgere a nostro favore, a vantaggio dell’azienda ospedaliera cioè, gli imbarazzanti residui che venivano abbandonati dagli ospiti notturni dei parcheggi, la spesa per il combustibile dei generatori termici era diminuita del 70%.


Inizialmente avevamo ritenuto che i malesseri e le dimissioni dei guardiani notturni, che arrivavano stravolti al pronto soccorso, bianchi come lenzuoli, balbettando frasi incomprensibili, fossero dovute ad allucinazioni collettive, a vertenze sindacali sommerse, alla droga tagliata male che gli spacciatori locali facevano viaggiare in abbondanza nei corridoi dei reparti.
Dopo alcune settimane di strani avvistamenti, e dato che la notizia, incontrollata, cominciava a girare anche sui giornali e sulle televisioni locali, il consiglio di amministrazione decise di installare un sistema di vigilanza dotato di telecamere speciali, con visori notturni, e di illuminare alcuni dei luoghi in cui erano stati fatti gli spiacevoli incontri.
Visionammo i nastri registrati ogni mattina, ma per qualche incomprensibile motivo non rimase traccia di movimenti animali all’interno dell’ospedale, solo tracce del loro passaggio, ma in quantità ridotte, come se fossero state lasciate di fretta, con la paura di essere visti.
Intanto, ad uno ad uno, sparirono i cigni del laghetto, e le floride colonie di cani e gatti che si abboffavano del contenuto dei cassonetti, nei pressi dell’area rifiuti, si erano ridotte a pochi sparuti elementi; dopo poco anche i grandi sacchi in attesa di essere bruciati cominciarono a scomparire.
Quello che comparve in abbondanza furono mucchi di sterco, di notevoli dimensioni, che venivano abbandonati negli angoli più bui dei parcheggi.
Cominciai allora a dare peso alle allucinate dichiarazioni dei guardiani notturni.
Durante le ore di buio, dai sotterranei abbandonati, dove neanche di giorno avrei avuto il coraggio di scendere, uscivano degli animali, non i soliti topi o scarafaggi, ma degli enormi carnivori, tigri dai denti a sciabola, sentenziò il veterinario dopo avere visionato le ombre registrate dalle telecamere della sorveglianza, e dopo avere confrontato le orme lasciate sul cemento fresco.
Inviai una circolare in cui invitavo il personale che faceva la notte nei reparti a non uscire se non in caso di assoluta necessità, e a chiudere porte e finestre a partire dalle ventidue.
Ciò che volevo assolutamente evitare era che qualche paziente o infermiere venisse sorpreso da solo dai grandi felini che, ormai era noto, perlustravano l’ospedale in branchi numerosi.
Un paziente ricoverato in chirurgia, che faceva il domestico a casa del primario, mi sentì discutere con i medici del reparto di queste strane apparizioni notturne; era originario dell’India settentrionale, e mi volle informare che le feci di questi animali, opportunamente raccolte ed essiccate, erano usate al suo paese come combustibile per usi domestici.
Ma come convincere le tigri a fare i loro bisogni in un unico punto, in modo da evitare che la raccolta del materiale organico fosse troppo dispersiva.


Un pomeriggio, tornando a casa, mia figlia mi chiamò al cellulare: “papà, passa dal supermarket, ho dimenticato di comprare la lettiera per i gatti, visto che più tardi tu e mamma passate da me, me ne porteresti due sacchi?”.
“I felini sono istintivamente portati a fare i loro bisogni sempre nello stesso posto, e la lettiera esercita un richiamo irresistibile”, disse Renata, mia figlia.
Contattai le imprese che si erano aggiudicate i lavori di manutenzione dei parcheggi e spiegai loro che le aree dovevano essere riconvertite, non più asfalto, ma uno strato sabbioso, ripassato a mano coi rastrelli, “come fate a casa vostra quando preparate la cassetta del gatto” dissi per essere più chiaro.
La strategia funzionò, le apparizioni notturne, sempre inafferrabili e praticamente invisibili continuarono, eliminai le guardie giurate del turno notturno, cominciarono a scomparire anche scooter e piccole utilitarie, che venivano ritrovate masticate, quasi come aperte da apriscatole giganti ai margini dei parcheggi, la produzione di sterco felino mi consentì di rendere indipendente la centrale termica dell’ospedale dalla rete elettrica, in quanto la caldaia veniva alimentata dal combustibile naturale.
A fine anno ottenni il premio di rendimento, per avere raggiunto il budget previsto nell’azienda ospedaliera, ne investii una buona parte per acquistare un fuoristrada blindato ed una carabina, potrebbe capitare di fare tardi in ufficio e vorrei evitare di conoscerli, questi fornitori dai denti a sciabola.


 

lunedì 13 giugno 2005

pecore e pecorai




Mi ero seriamente preoccupato, leggendo i sondaggi e le dichiarazioni di opinion leader e capi di partito: lo schieramento di quelli che in qualche modo erano convinti che il popolo potesse aiutare a cambiare una legge difettosa e zoppa era ampio, e trasversale.
I sondaggi, i sondaggi davano il si in netto vantaggio, ma gli stessi sondaggi probabilmente non consideravano l’effetto-pecora.
E’ stato sufficiente che qualche Pierino dicesse agli italiani andate al mare, non andate a votare, in fondo che ve ne frega, questi sono problemi di morale e di etica e di scienza talmente elevati che non possono essere risolti da voi, italiani incapaci di opinione, considerati dai propri governanti come asini con la terza media.
E gli italiani, sia gli analfabeti che i pigri, gli scienziati e i progressisti, e quelli che non vanno in chiesa neanche a Pasqua, e le donne, quelle donne che hanno fatto un gran casino per l’autodeterminazione, che hanno fatto?
Non sono andati a votare.


Mi sento più tranquillo : gli italiani sono i soliti pecoroni bigotti.

martedì 7 giugno 2005

tutti i biglietti venduti



“Impossibile rinviare la guerra !” ululò sputacchiando saliva sul vetro della scrivania di cristallo il  Presidente.
“Impossibile, impossibile” gli fece eco la  voce chioccia del segretario di Stato.
“Non se ne parla proprio, ci costerebbe troppo in cause di risarcimento agli inserzionisti pubblicitari” sibilò il regista dei programmi satellitari.
La guerra all’Australia doveva essere combattuta, le reti televisive avevano l’evento in palinsesto da settimane, tutti i biglietti delle tribune di osservazione erano stati venduti, il pubblico  aveva desiderio di sangue, qualche centinaio di vittime erano già state arruolate, i bonifici alle famiglie effettuati, la grande macchina da guerra degli Stati Uniti d’Europa  doveva dimostrare la sua potenza, fare la voce grossa contro gli americani.
Una vedetta aveva verificato un problema nel campo di battaglia, ne aveva riferito al proprio comandante, il quale aveva subito informato lo stato maggiore, e da lì telefonate fino al vertice.
“ho capito, ho capito che sul posto esiste una colonia di canguri nani, lo so benissimo che sono una specie protetta da tutte le convenzioni internazionali; quello che mi chiedo è come mai tutte le esplorazioni e le ispezioni condotte finora non avevano evidenziato alcun problema”.
Il Presidente era paonazzo, l’ultimo bottone della camicia dal colletto rigido stava per schizzare via, le vene sembravano oleodotti pulsanti sulla sua fronte.
“non me ne frega niente, devi fare qualcosa” disse seraficamente viperina la First Lady, “Tony, non puoi assolutamente permettere che una specie in via di estinzione venga messa in ulteriore pericolo dai tuoi giochi di guerra”.
L’atmosfera dello studio esagonale era solida e surriscaldata, la First Lady usava un rapporto riservato come ventaglio, gli sponsor confabulavano consultando i display dei palmari, il Segretario di Stato continuava a bisbigliare nell’orecchio del presidente, mentre non staccava lo sguardo dai presenti.
Alcuni alti ufficiali entravano ed uscivano dalla sala, i rappresentanti dei servizi segreti e delle assicurazioni controllavano di continuo il contenuto dei vassoi con le caramelle, il gigantesco monitor sullo sfondo pulsava sui titoli d’apertura dei giornali dell’indomani.
“non fermerò questa operazione, che si fottano i canguri, la macchina non si può più fermare, dovrei essere morto per non dare il via domattina “ ringhiò il Presidente, battendo il pugno sul tavolo di cristallo; la ghiera dell’orologio subacqueo scalfì il piano, ed una scheggia schizzò via.
La tensione sul volto dei presenti si sciolse, il regista dei programmi satellitari disse “ tutti i biglietti sono stati venduti, domattina si comincia”, spuntarono sorrisi sui volti di alcuni dei presenti, alcuni si asciugarono il sudore, la First Lady sorrise anch’ella.
L’indomani, i maxischermi allestiti nelle piazze principali delle capitali degli Stati Uniti d’Europa mostravano il cadavere del Presidente, e la First Lady che urlava, trascinata via dagli uomini dei servizi di sicurezza “l’ho fatto per i canguri, l’ho fatto per i canguri”.


 


sabato 4 giugno 2005

la sola mano sinistra

Stamattina mi ha telefonato Lorenzo, il chirurgo: “Antonio vieni che ti operiamo”.
“quando” ho chiesto io, “alle undici” ha risposto lui.
Mi sono fatto accompagnare all’Ospedale, la giornata era di sole, con una leggera brezza marina.
“una giornata perfetta per andare a mare, invece devo andare all’ospedale”, ho detto a mia moglie che guidava la macchina lungo i viali alberati dell’Ospedale.
Lei è rimasta giù a leggere i quotidiani, “è inutile che sali, tanto in sala operatoria non ti fanno entrare”, le ho detto mentre chiudevo lo sportello della Yaris.
Sono andato sopra, ho firmato i moduli, poi nella presala mi hanno aiutato ad indossare un camice verde.
“tutto ok?” mi ha detto il chirurgo.
“si sbrighiamoci” ho risposto.
Mi sono steso sul letto operatorio, faccia in su, ho offerto il braccio destro agli assistenti, mi sono concentrato sulla forma e sui buchi della lampada scialitica, qualcuno ha rasato l’avambraccio, poi hanno passato il disinfettante, isolato il campo operatorio, fatto l’anestesia.
“taglio, senti niente?” ha detto Lorenzo.
“non sento niente, vai tranquillo”.
Nel frattempo ho capito che non sarebbe stata una cosa da cinque minuti, tipo apri-il-cofano-levi-un-pezzo-e-riparti, ed ho attaccato bottone col secondo ferrista, che era entrato nella sala per vedere se avevano bisogno di aiuto e poi si era seduto su uno sgabello metallico, sul mio lato sinistro.
“sto leggendo le marche delle lampade e dei neon attaccati al soffitto” gli ho detto per rompere il ghiaccio.
“lavoro qui da trentanove anni e nove mesi, tra poco andrò in pensione” mi ha detto lui “queste lampade le conosco bene”.
“spero che abbia un hobby, un passatempo, per quando avrà un sacco di tempo a disposizione, la gente spesso si annoia quando smette di lavorare”.
A questo punto Lorenzo, senza staccare gli occhi dal lavoretto di precisione che stava facendo sul mio polso aperto come il motore di una complicata macchina da corsa, ha detto ridacchiando che Franco, il secondo ferrista, , aveva trasportato in mare la sua esperienza in sala operatoria.
“è maestro d’ascia, uno di quelli raffinati”.
“davvero? E che barche costruisce” ho detto incuriosito.
Lui si è schernito, però poi mi ha descritto per filo e per segno la costruzione di una sardara, una di quelle imbarcazioni per la pesca alla sardina che veniva impiegata alla fine dell’800 dai pescatori locali.
“ha una vela latina, e sapendoci fare con il timone è anche una barca stabile e precisa, ne abbiamo costruito due finora, e ci portiamo a spasso i turisti gratis , in estate, con un piccolo contributo del comune”.
Poi è entrato nel dettaglio, raccontandomi di come i pescatori di sardine si spostavano per un mese intero dai porticcioli del golfo di Palermo fino al mare davanti Agrigento, seguiti da un caicco che trasportava i barili e il sale e l’olio e le altre vettovaglie, tutto il necessario per pulire e salare le sarde appena pescate.
Me la sono immaginata, la scena dei pescatori sulla sardara, con la tela stesa da prua a poppa per difendersi dal sole, ritirare le reti e trasferire le sardine sul caicco, ed il lavoro di quelli che preparavano le conserve, e l’odore aspro di mare e sudore.
“abbiamo finito, muovi le dita” ha detto Lorenzo.
Le dita si muovevano tutte, l’effetto dell’anestesia non era finito, era passata un’ora e non me ne ero neanche accorto, mi hanno messo un grosso cerotto sulla ferita suturata.
“ti raccomando, stai a riposo, altrimenti ti ricovero, non devi muovere il polso almeno per un paio di giorni, poi mercoledì torni che ti faccio la medicazione” ha detto Lorenzo prima di salutarmi e rientrare .


Infatti ho scritto questo racconto con la sola mano sinistra, ma mi sembra che sia venuto bene lo stesso, forse ci ho messo un po’ più di tempo, la mia mano sinistra sulla tastiera è lenta come una sardara .

giovedì 2 giugno 2005

trascinato nel tormentato tormentone

senza ulteriori commenti mi esibisco in rapida piroetta sull'argomento:
1. volume totale di file musicali: detesto gli mp3 e chi li scarica massicciamente tanto è gratis, magari poi neanche li ascolta: ho almeno 1600 cd che moltiplicato 10 (il contenuto medio di tracce audio) fa 16.000, più un centinaio di lp ed  un centinaio di minidisc...diciamo che 20.000 file è un numero verosimile.
2. ultimo cd che ho comperato: su amazon, dove le novità costano 14 dollari che più o meno sono undici euri, e basta aspettare quindici giorni che il pacco arriva...dicevo...ultimi cd comperati:  aimee mann-the forgotten arm; beck-guero; eels-blinking lights and other revelations; susan cowsill-just  believe it; thievery corporation-the cosmic game; bruce springsteen-devils and dust; la colonna sonora di sideways; ani di franco-knuckle down; craig armstrong-piano works. mi sa che rifaccio un ordine tra una ventina di giorni.
3. la canzone che sta suonando ora: proprio ora? kasabian-processed beats (sentite come suona).
4. le 5 canzoni che ascolto più spesso:  beh domanda complicata...non rispondo, ascolto a rotazione praticamente tutto o quasi
5.  i  5 sfortunati a cui passare il tormentone? a nessuno, non lo passo a nessuno...