martedì 27 marzo 2007

supermercazia


Un signore ha comprato ventisei euro di caramelle. Si è sentito osservato ed ha detto ad alta voce che le doveva regalare. Io ho pensato ad alta voce che secondo me era l'assistente di un dentista. La cassiera ha detto " ma dice vero o sta babbiando?" (voce del verbo babbiare, dal siculo all'italico significa più o meno scherzare). Una tizia altotaccuta ingiubbottata di pelle forse umana ha comprato cinquantaquattro euro di scatolette di cibo per gatti. La cassiera della cassa accanto ha detto "si fa la scorta per il weekend" ed un signore anziano dall'aria molto molto saggia ha risposto alla signorina "se ha lo zoo a casa forse si". Arrivato il mio turno ho pagato con i buoni pasto euro quattordici e novanta, formaggio grana, tre birre marca xuxwxixex mele e uova. Poi me ne sono andato al forno. Tornando indietro, erano tutti fuori dal supermarket. Che succede ho detto io, la rapina la rapina ha risposto il barbone che parcheggia il suo cadavere vivente davanti all'ingresso del negozio. Però i miei soldi non se li sono presi.

martedì 20 marzo 2007

poco prima del crash

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Ho pensato:


che mi sarebbero caduti  di mano i soldi appena prelevati dal bancomat;


che avrei dovuto avvisare in qualche modo che non sarei andato all'appuntamento con Salvo delle 8,15;


che non avrei potuto andare a Caltanissetta;


che avrei mandato sottosopra il viaggio a Berlino di mio figlio (il grande);


che nessuno sapeva dove erano le chiavi della Barchetta da portare dal carrozziere;


che chi ce lo diceva a mia moglie;


che sarei finito sicuramente in qualche ospedale, ma quale;


che forse sarei morto.


Mentre l'adrenalina si liberava  dal surrene e i mediatori uscivano precipitosamente dalle vescicole presinaptiche,  un arco riflesso scattava facendomi fare non so come (ma non è la prima volta) due salti indietro e prendermi  sul petto soltanto lo specchietto retrovisore sinistro dell'Agila rossa lanciata a centoventi in contromano nella corsia preferenziale, ho avuto anche il tempo di leggere negli occhi di quella che guidava che non avrebbe avuto nessuna capacità di deviare o fermarsi, ma che si preparava all'impatto, ho anche pensato che giornata di merda per morire.

sabato 17 marzo 2007

il suo volo non è solo in ritardo (e le ascelle puzzose)


Era stata una notte buia e rumorosa. Nei bronchi intasati della legittima consorte si riproducevano allegramente milioni di batteri , rendendo il suo respiro simile all'onesto lavorio di una banda di boscaioli, intenti a segare la foresta amazzonica. Per farla breve, russava col turbo. Ed io avevo messo la sveglia, anzi due sveglie per sicurezza, alle cinque del mattino. E menomale che lo sanno che detesto partire col primo volo del mattino. E ovviamente alle tre gli occhi si sono aperti, rifiutandosi di chiudersi di nuovo, anche per lo scomodo collegamento con le orecchie, che assistevano indifese al lavoro dei taglialegna ,armati di sega elettrica , nei bronchi della mia signora moglie. Arrivato in aeroporto, ho incontrato altri simpatici artigiani, questi in carne ed ossa, che rumorosamente si accingevano a trasvolare verso una fiera di edilizia e carpenteria in una città del centro nord, la stessa dove stavo andando io. Finalmente le bradipe lente del gate ci hanno fatto defluire verso il portellone del dc 9-80, abbiamo guerreggiato con i bagagli a mano che non volevano sapere di essere rinchiusi-orrore!-al buio delle cappelliere, mi sono accoccolato nel sedile cigolante vicino all'uscita di emergenza. Previggentemente sono solito chiedere con un irresistibile e mellifluo sorriso alla signora del check-in "per favore signora, un posto comodo e non mi metta nessun ciccione accanto". Devo dire che finora ha funzionato. Insomma, allacciate le cinture di sicurezza, e con il solito ritardo di quarantaminuti circa, l'aereo ha preso a rullare. Io ho chiuso gli occhi, annegando in un torpore pre-sonno, cullato dall'accelerazione e dal ronzio dei reattori, aspettando il momento in cui il metallo imbevuto di cherosene e farcito di carne e bagagli (un arrosto misto in caso di disastro) si stacca dal suolo e fionda i nostri corpi mortali verso le nuvole. Ero già abbracciato alla sorella di Morfeo (ognuno ha i suoi gusti, si sa), ma invece di decollare è iniziata una frenata violenta, e i motori hanno attaccato la retrospinta. Forse perchè ero quasi addormentato non mi è venuto l'infarto del pre-schianto). Pochi secondi dopo, gli altoparlanti hanno diffuso in cabina, dove era calato un silenzio micidiale, la voce del  pilota "è il comandante che vi parla, abbiamo abortito il decollo per un guasto ad uno strumento, rientriamo alla piazzola e vediamo se ce lo riparano". C'è sempre la prima volta, confesso che per me è stata mercoledì. Giovedì, nell'incivilissimo aeroporto della città del centro nord da cui stavo ripartendo, in cui i vigilantes sembrano tutti usciti da un film della serie terminator per quanto sono stronzi ed intolleranti, ad una signora russa (oddio signora è un eufemismo, si capiva benissimo il mestiere che faceva) sono saltati i nervi ed ha cominciato ad urlare, lanciando in  aria il contenuto del beauty case, "it's impossible, here is like Nigeria, you're cruel people!". Era successo che le avevano fatto storie con la carta di credito al momento del biglietto, un paio di sbirri l'avevano perquisita, poi al check-in le avevano detto che doveva tornare indietro per comprare un supplemento per il bagaglio in più, ovviamente le avevano fatto di nuovo le stesse storie con la carta di credito, gli stessi due sbirri di prima l'avevano ricontrollata, al varco del controllo di sicurezza, nonostante lei parlasse inglese, i terminator l'avevano ancora maltrattata e quella poveretta si era messa a gridare come una buttana. Evviva l'Italia ( o la Nigeria?). E le ascelle puzzose? Sono quelle del tizio che mi ha chiesto di spostarmi dal posto corridoio a quello finestrino per potere chiacchierare con la sua concubina; menomale che la hostess mi ha chiesto "com'è il libro che sta leggendo?", consentendomi di fare la mia porca figura sulla storia della letteratura americana di fine novecento.  Per un mese niente aerei, e niente ascelle puzzose, almeno si spera.

martedì 13 marzo 2007

the joshua tree e la donna che parlava agli occhiali


Mi sono soffermato davanti alla vetrina, non troppo ingombra a dire il vero, di un negozio di dischi, uno di quelli dove non entravo da anni. Non ci sono entrato lo stesso, non avevo nessuna pulsione particolare per farlo, però in vetrina era esposto "the joshua tree" degli U2, e sotto qualcuno aveva scritto una specie di lapide, "oggi questo cd compie vent'anni". Fermo fotogramma: vent'anni fa cosa stavo facendo? ricordo che avevo iniziato il corso di formazione che mi avrebbe portato a fare quel lavoro che-seppur con modi differenti-sto facendo pure ora, erano gli ultimi giorni di questo corso, e sarei andato al cinema a vedere "la mia africa" in compagnia di una collega; scelta sciagurata, di cui ancora mi pento. Vent'anni fa, alle messaggerie musicali di una grande città del nord, avrei comprato prima di quella serata al cinema proprio il cd che ho citato prima, e l'avrei trovato bellissimo, e con un sound nuovo e potente. Ancora oggi mi provoca sbalzi nei livelli di adrenalina quando lo sento. Mentre guardavo la vetrina e in trasparenza ci vedevo i fatti e i volti di vent'anni prima, mi sono sentito toccare la spalla. "scusi sa che ore sono?". mi sono voltato, senza guardare l'orologio, ed ho incontrato due occhi rossi, due labbra troppo rosse, due narici che tremavano. Probabilmente lui l'aveva piantata, senza dirle niente, e pensare che lei si era messa quel rossetto così acceso, chissà cosa pensava mentre se lo metteva. L'ho guardata meglio, lei girava lo sguardo in giro, come se aspettasse da un momento all'altro l'arrivo di qualcuno che non sarebbe mai arrivato, avrà avuto non più di vent'anni, ed era sull'orlo di una crisi di pianto. Le ho detto l'ora, lei ha abbassato gli occhi e se n'è andata. Cattiva la vita baby, ho pensato. Poi mi sono spostato di un paio di vetrine, ma mi sono soffermato davanti a quella del negozio di ottica: c'era una che parlava alle montature, e le indossava verbalmente; non si è accorta che la stavo spiando, ed ha anche baciato la vetrina proprio dove luccicavano un paio d'occhiali da sole firmati da un noto modivendolo. La donna che parlava agli occhiali, potrebbe essere un buon titolo per un prossimo racconto.

mercoledì 7 marzo 2007

il suo volo è in ritardo (ed il gorgo tiepido)



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L’aeroporto è uno qualunque del centro Italia, sto aspettando come al solito il mio volo in ritardo, sono solo ma in compagnia di un libro e del lettore mp3. Uno che sembra un dinosauro sta facendo sentire a tutta la sala d’aspetto che lui quei milleduecento euro non li ha fatti sparire per cattiveria ma perché la merce che ha ricevuto era cinese e che molti avrebbero avuto problemi di corna rotte.

Sto leggendo l’ultimo romanzo (più che un romanzo credo sia un racconto lungo) di Philip Roth (everyman); il buon uomo sente il fiato rancido della morte sul collo, e ne parla con disinvoltura, in effetti fino a pagina ottanta mi fa rabbrividire con il suo memento mori.

Altri rumori mi fanno alzare lo sguardo, un gruppuscolo di teppistelli, indolentemente sorvegliati da madri troppo ciccione per intervenire, sparpaglia cartacce sul linoleum della sala d’aspetto; un signore, presumibilmente straniero, li rimbrotta (non sento quello che dice perché ho aumentato il volume nelle senheiser), e per tutta risposta quelli lo sommergono di pezzetti di quotidiano; il signore presumibilmente straniero si arrende e cambia sala d’aspetto.

Sento vibrare il cellulare nella giacca (non potrei percepire la suoneria perché sono perso appresso agli Arcade Fire), guardo il display, vabbene rispondo.

Che stai facendo, il purè mi dice lei. Me la immagino con un candido grembiule e la cucchiaia di legno che mescola la poltiglia ricavata dal passapatate.

Che mi racconti, domando ancora io, che sono pentita, dice lei, hai messo il sale e il parmigiano le chiedo prima di entrare nell’argomento pentimento, si l’ho messo, metti anche un po’ di noce moscata, ora vedo se ce l’ho dice lei.

Arrivano imperturbabili manager con confezione di polistirolo contenente mozzarella; la deve imbarcare in stiva, non può portarla in cabina, dice l’inflessibile vigilante bionda che poco prima mi ha fatto quasi denudare perché al controllo avevo suonato, e non contenta mi aveva fatto palpeggiare da un aitante maschione riccioluto; peccato che non mi piacciono i maschi, o meno male, non saprei.

Però dopo il controllo, nei negozietti ex-dutyfree, le mozzarelle le vendono e si possono portare a bordo, anche se da quella parte costano quasi quanto il caviale. All’andata i vassoi di dolci erano passati tranquillamente al controllo, poi nelle cappelliere a bordo un computer era stato posato su un vassoio di cannoli e si era accesa una sanguinosa rissa nell’angusto corridoio del fokker 100; il rubizzo cannolifero voleva strozzare, strattonandola per la tracolla, la business girl che aveva fatto planare silicio e metallo su ricotta e sfoglia.

Poi è intervenuto uno con la faccia autorevole ed ha zittito l’orfano dei cannoli; peccato però, il rumore che hanno fatto quando si sono rotti era simile a quello di una frattura ossea.

Sto divagando; torno alla telefonata di prima.

Immagino il gorgo tiepido in cui si sta sciogliendo il burro, e immagino la sua faccia da pentita; però ride, e allora sarà cosa leggera, mica bisogna essere innamorati ho detto dopo, hai ragione ha risposto lei.

Poi siamo stati catapultati dentro il cilindro d’alluminio, dentro il quale nonostante gli striduli avvisi delle hostess qualcuno continuava a tenere acceso il telefonino e a sparare cazzate alla zita o alla mamma durante la manovra di avvicinamento alla pista di decollo.

Il purè era buono? Il dubbio mi è rimasto, se qualcuno lo sa, me lo faccia sapere.

venerdì 2 marzo 2007

invasione degli ultracorpi









 

 


centoquarantotto messaggi di questo tipo nella mia casella principale. Gli spammer mi stanno antipatici, quelli giapponesi ancora di più. Grrrr.