giovedì 30 ottobre 2008

urban tales and small people from mars



Immag015



















































(foto di medicineman)





Ok, ho capito Vigile Urbano. C'è lo sciopero, il corteo, gli studenti, le maestre, i professori, i celerini, i fascisti, i comunisti, quelli che non hanno da fare e quelli della digos, perfettamente mimetizzati, tanto che si riconoscono naturalmente.


Sai che faccio, Viglie Urbano? Spengo il motore, abbasso il finestrino e mi metto a leggere il giornale.

Mentre che leggo si avvicina uno, "ho fame dammi due euro". Minchia, penso, l'inflazione corre. Due euro per mangiare, "ma vaffanculo gratis" gli rispondo, e riprendo a leggere.

Suona il telefonino, numero privato. Cominciamo bene penso io, che di solito ai numeri privati non rispondo.

Però oggi rispondo. "perchè non mi ami più, perchè non replichi ai miei messaggini? tuo marito ti controlla?"

"forse hai sbagliato numero" gli dico io. "non sei Marina?". "vaffanculo a te e all'amore" e chiudo la conversazione. Oltre a essere idiota da esserti innamorato, neanche ti rendi conto che la voce che ti ha risposto non è quella flautata e pelagica di Marina, ma quella mia, che magari non sarò basso come alberto lupo, però si capisce ca sugnu masculu, almeno credo.

Riprendo la lettura, sorvolo la politica che ormai fa vomitare, passo direttamente alla succosa cronaca locale, storie di corna e di scambi di coppie fasulli e di politicozzi che mentre si facevano massaggiare dalle signorine poco vestite si dicevano tu devi assumere a quello e tu devi sistemare mio cognato.

Il corteo ancora non è finito, qualche imbecille comincia a suonare il clakson, il Vigile Urbano effettua esercizi di stretching con le braccia verso l'alto, gli studenti e le maestre e i professori e i genitori sono accaldati, si tolgono le felpe e le giacche e si osservano le ascelle sudate.

Una piccola astronave atterra sul cofano della mia macchina, si apre uno sportellino e ne escono due pseudo puffi verdi, che cercano di dirmi qualcosa. Li mando affanculo senza neanche ascoltare quello che vogliono, non è che sono xenofobo, ma mi devo leggere il giornale.




(sessanta anni fa Orson Welles terrorizzò l'America raccontando dalla radio l'invasione dei marziani, temo che oggi non farebbe la stessa impressione, anzi ne sono certo)

domenica 26 ottobre 2008

convenzione interna

room and flowers




















































































(foto di medicineman)





Fuori, piove. Lo so, anche se non mi alzo da questo divano per andare a vedere. Sento il rumore della pioggia, una specie di suono infinito, come il piatto di una batteria colpito dalla bacchetta e che non smette più di vibrare.

Dentro, dentro la camera di questo albergo, dentro questa stanza che è un provvisorio abitacolo, piccolo per una persona sola, quasi insopportabile per due, dentro questa camera c’è una specie di nebbia stratificata, tossica.

In effetti, non c’è nessuna nuvola di gas visibile, è piuttosto un fatto mentale, un’emozione, una certezza assiomatica. C’è e basta. Anche se non si può vedere. Se stringo un po’ gli occhi, vedo gli atomi che fluttuano, fotoni che brillano e si scontrano, li vedo. Basta il respiro di due persone ad intossicare l’aria. Vedo gli atomi che fluttuano, lenti e indecisi. Forse è più corretto dire che li immagino, in fondo sono solo illusioni ottiche, fenomeni derivanti dalla circolazione sanguigna dentro i bulbi oculari, che poi vengono trasformati in informazioni false ed inviati al cervello, che nonostante abbia cose molto più importanti da fare, come mantenere in moto la macchina automatica che mi tiene ancora vivo, riproduce immagini. Immagini di particelle che fluttuano, e che si scontrano e brillano, e prima o poi si poseranno ovunque, sul letto, sui mobili, su di me. Basta muovere la mano, o sbuffare un po’ d’aria fuori dai polmoni, e questi corpuscoli si mettono in moto, vorticosamente, senza nessun rumore, spostandosi da qui a lì, dal tavolo al davanzale, e poi di nuovo sui corpi che abitano la stanza numero 45.

Che poi. Che poi, anche questo numero è solo un modo pomposo di dire. Ci sono solo cinque stanze per piano, e siamo al quarto: quarantacinque, è una convenzione interna, non un dato di fatto.

Anche il rumore della pioggia, non sono certo che stia veramente cadendo giù, potrebbe essere un meccanismo automatico che tiene in movimento l’acqua di una fontana in giardino, quattro piani più sotto. Potrebbe esserci un giardino, anche se ierinotte non l’ho visto. In quasi tutti gli alberghi c’è un giardino interno, con delle panchine coperte di foglie dove non si siederà mai nessuno. Probabilmente l’architetto che ha pensato di mettere delle panchine in un giardino nascosto dentro il cortile interno di un albergo per gente di passaggio credeva che a questa gente avrebbe fatto piacere sedersi sulle panchine, sentire il rumore dello zampillo della fontana, vedere qualche uccello bagnarsi le piume, immaginare un tramonto oltre il muro.

Probabilmente questo architetto non ha valutato il fatto che in questo motel si fermano persone di passaggio, stanche e sporche delle scorie di un viaggio che non è ancora finito, o uomini d’affari soli, a cui serve un letto ed una doccia, ed anche una cena in un ristorante con i tavoli troppo vicini, e in cui il cibo è preparato senza pensare a chi lo mangerà.

O forse il progetto è unico per tutto il territorio, la compagnia ha mandato uno che doveva contrattare il prezzo del terreno, e le convenzioni con l’amministrazione locale, e poi l’impresa di costruzioni ha riprodotto un disegno che è uguale a quello delle altre città, forse dà sicurezza agli azionisti ed ai dirigenti, gli alberghi della nostra catena sono tutti uguali, niente è lasciato alla fantasia, il rischio d’impresa derivante dalla fantasiosa interpetrazione dei direttori e delle governanti è basso, tutto è standardizzato nei dettagli, come le tende color crema, che non si ingialliranno per il fumo e per l’azione dei raggi solari, riducendo i costi.

Tutto standardizzato, un buon sistema per tranquillizzare i manager che hanno troppo da fare, e che nel tempo libero lasciato dalla riduzione delle preoccupazioni potranno andare a giocare a golf, vestiti uguali.

Mi concentro sul rumore di acqua, e di nuovo sugli atomi che fluttuano nell’aria di questa stanza cunicolare. Come ierisera, prima di venire qui, c’erano altri atomi ed altre molecole, e persone che fluttuavano. Dopo un vernissage, e dopo tutti quegli aperitivi, e il fumo, e qualcuno ridendo tira fuori qualcosa da mandare giù, e la offre e tutti dopo sembriamo fluttuare, tra i colori psichedelici delle tele, enormi, appese alle pareti.

E ora le particelle in sospensione si posano sul corpo che ancora dorme.

Ogni tanto ha una piccola scossa, muove un piede nel sonno, poi sospira, poi ritmicamente questa massa respira, facendo muovere su e giù il lenzuolo.

Provo, provo a concentrarmi sulla notte, ma è come se tento di catalogare le sensazioni di adesso, tutto sfugge. Se sono svestito adesso, seduto sul divano, forse ierinotte mi sono spogliato, o forse sono stato spogliato da qualcun altro. Si forse. Forse da quella donna che ancora dorme.

E cosa è successo, mi domando. Mani che toccano, saliva che bagna, lingue che si intrecciano. Dopo, non mi ricordo bene, forse un orgasmo, ma non saprei dire quant’è durato, se è arrivato inatteso, se il fiotto caldo e muschiato si è sprigionato dentro un altro corpo, quello che ancora dorme, se mi sono addormentato subito. Devo aspettare, che le particelle si posino, che i mediatori chimici della trasmissione delle sensazioni si rigenerino, e dovrei anche sapere a chi appartiene quel corpo nel letto, che ritmicamente si alza e si abbassa mentre respira. Per ora, l’unica cosa che mi sembra di percepire con un certo livello di sicurezza è il rumore d’acqua. Potrebbe essere pioggia, dovrò alzarmi per controllare, dopo lo farò.

 

venerdì 24 ottobre 2008

vicky cristina barcelona

 



 


Pioveva, una serata adatta per andare al cinema. Ripresa di stagione, coi soliti amici. "un musical? vuoi vedere mammamia? nooo, andiamo a vedere il film di woody allen, che sicuramente ne vale la pena". Le ultime parole famose. A parte la scelta, discutibile, di raccontare con voce fuori campo una serie di scene che per comprimere i tempi non sono state messe nel film (mio cattivo pensiero), la colonna sonora infarcita di musiche prese dalle compilation economiche di cafè del mar, il film è poco. Le cose migliori sono i dialoghi in spagnolo tra una allucinata Penelope Cruz e un polifemico Javier Bardem che in questa pellicola non sbatte mai le palpebre, sembra finto. E anche la bambolina del cine che mi è tanto piaciuta in altri film, Scarlet Johansson, mi pare che in questo film non reciti affatto. L'amore a tre, ma anche a quattro, a tre meno uno, a due più due... Ora non voglio dissuadervi, ma...

martedì 21 ottobre 2008

good news








Pecorella ritira la propria candidatura a componente della Corte Costituzionale.
Aveva paura di fare la fine del capro espiatorio.

venerdì 17 ottobre 2008

belpaese 2 (di nuovo Gomorra)


 


"voglio una vita, ecco. Voglio una casa. Voglio innamorarmi, bere una birra in pubblico, andare in libreria e scegliemi un libro leggendo la quarta di copertina. Voglio passeggiare, prendere il sole, camminare sotto la pioggia, incontrare senza paura e senza spaventarla mia madre. Voglio avere intorno i miei amici e poter ridere e non dover parlare di me, sempre di me come se fossi un malato terminale e loro fossero alle prese con una visita noiosa eppure inevitabile"


Roberto Saviano


e subito sono arrivate le frasi di circostanza del Presidente della Repubblica e del Presidente del Consiglio. Purtroppo quelle frasi non hanno l'efficacia di un giubbotto antiproiettile o di una vettura blindata. Quelle frasi potranno servire per comporre i coccodrilli.  Non capisco, non capisco perchè nonostante siano stati fatti nomi e cognomi, quella della Campania viene considerata zona franca, in cui lo stato può entrare solo con frasi di circostanza. Adesso ci vogliono i fatti. Perchè un'Italia senza Roberto Saviano è una nazione svuotata, in cui si può solamente sopravvivere e subire le arroganze di chi il potere lo ha preso con la pistola e di chi lo ha preso con il voto.

martedì 14 ottobre 2008

Belpaese

Immagine











Che non è solo quello scaduto e riciclato (accattativillo, vuol dire fiducia...), che poi non sarebbe nemmeno una novità, basta guardare alle norme salva Carnevale, al senatore condannato Totòcuffaro, alla merce di scarto che dai teleschermi strombazza le virtù del Premier.
Per esempio, Belpaese è quello che va alla partita di calcio in Bulgaria e si porta da casa le bandiere con le svastiche e i cori nazisti.
Belpaese è quello che non prenderà sul serio Saviano finchè non lo manderanno in orbita con una tonnellata di dinamite ( nel belpaese è tipico fare morire la gente che ha il coraggio e lo usa, e dopo che l'hanno accoppato intitolargli un aeroporto o un premio letterario).
Belpaese è quello che va in a'merica e si bacia con il pessimo George e gli dice che passerà alla storia: certo, ai libri di storia per avere scatenato una guerra evitabile.
Belpaese è anche quello che da quando il petrolio non costa più centotrenta dollari al barile il gasolio costa ancora un euro e quaranta al litro.
E per te, sconsolato o incazzato lettore di questo blog, qual'è il fulgido esempio di Belpaese?

domenica 12 ottobre 2008

the show must go on




Uno di famiglia, dopo avere organizzato il funerale di mio padre, di mio nonno e dello zio giovane, lo posso considerare quasi uno di famiglia. Assomiglia a Clint Eastwood, quando aveva gli occhi a fessura e teneva una paglia tra le labbra, è anche parecchio più giovane di me, per cui ha buone possibilità di organizzare anche il mio. In fondo, come Clint, questo funeral manager, è un bravo cow boy de noantri.

Un pazzo neonazista, dopo aver progettato l'eliminazione fisica delle minoranze etniche, e dopo aver terrorizzato gli austriaci per bene (ne conosco qualcuno) ha deciso di autoeliminarsi schiantandosi con la berlinona di rappresentanza, che guidava dopo una notte brava, in un night-club. Evidentemente si era fatto contagiare dal mitico Silvio, ma non c'aveva il fisico.

Dopo che l'hanno arrestato, un topastro d'auto a Palermo, e gli hanno perquisito lo scooter con cui si recava al lavoro, è saltata fuori una copia della Divina Commedia. Ha dichiarato di essere stato affascinato dalla lettura televisiva di Benigni. Meglio per lui, al fresco potrà leggersi anche Purgatorio e Paradiso.

C'è una ragazza che vorrebbe morire ma non può. L'invincibile armada ecclesiastica si barrica dietro gli alti torrioni della morale: morirai solo quando il padreterno lo deciderà. Intanto il suo corpo fa prove tecniche di trapasso, povera lei, condannata alla vita.

Buona domenica, almeno spero.

domenica 5 ottobre 2008

guardo la fotografia, ma non la vedo bene


Guardo la fotografia, lì è giovane, posso dire che somiglia al secondo dei miei figli, il dna non mente.


Lo sfondo è il muro della casa di campagna del nonno, con le persiane verdi. Lui ha una cernia bruna sulle braccia, l’animale ha le fauci spalancate, e il suo cacciatore esibisce un sorriso di circostanza, quello di un giovane pescatore subacqueo che ha sorpreso e arpionato un grande pesce nella sua tana.


Se si guarda bene la foto, ci sono pure io. Ho in mano una fetta di pane spalmato di burro, col sale sopra, e nell’altra un pomodoro rosso, raccolto dal nonno. Se la guardo bene (anche se basterebbe girare la piccola foto stampata su carta agfa per leggere la data che qualcuno ha scritto dietro a matita), riesco a ricordarmi che si tratta dell’agosto del 1968. Io indosso una t-shirt bianca, ed i miei primi blue jeans, che erano di una tela dura, forte, con le cuciture di un bel giallo oro, ed i rivetti di metallo brunito. Mi ricordo la marca, e mi ricordo che li avevo visti indosso a quel fratello di mia madre, che poi me li aveva acquistati,  lo stesso che nella fotografia mostra la grande cernia bruna al fotografo.


Erano i miei primi pantaloni lunghi, in qualche modo mi facevano sentire grande, avevo finito la terza elementare, l’estate lunga mi scaldava con i suoi raggi, l’estate di un bambino fortunato, che alla fine della scuola poteva godere di tre mesi di spiaggia e campagna, della vicinanza del nonno, dei genitori, degli zii che erano giovani. Appunto come il giovane della foto, dal quale mi separano diciotto anni. Praticamente un fratello maggiore.


Sposto la memoria più in là, all’estate del 1978: ho preso la maturità classica, un esame devastante, la solita orribile esperienza. Devo prendere la patente B.


Il ragazzo con la cernia sulle braccia è cresciuto, ha messo probabilmente la testa a  posto, mi dice che passerà a prendermi per la mia prima lezione di guida, visto che lui ha una autoscuola, anche se non è vicino casa ma in un paese della provincia. Manca poco agli esami, dico io. Non ci pensare, dice lui, del resto sono sicuro che sai guidare.


Certo, qualche volta sulle trazzere di campagna papà mi aveva messo al volante della fiat millecento color carta da zucchero, con un ostico cambio al volante, ma di sapere guidare non ne ero certo.


Passa a prendermi, scendi con qualche cambio di biancheria, dice al citofono. Ho capito, andrò a stare qualche giorno da lui, così avrò il tempo di prendere confidenza con la guida dell’automobile. Arrivo giù, lui ha le chiavi in mano, me le lancia, guida tu dice lui, va bene dico io, che penso di fare una classica prima lezione di guida di cinque minuti, e invece porto la macchina, che solo per mia tranquillità psicologica ha i doppi comandi, fino all’autoscuola, e per tutta la settimana successiva percorriamo insieme centinaia di chilometri.


Il giorno degli esami metto in atto i suggerimenti dati dallo zio, quando ti siedi avrai l’esaminatore accanto, salutalo, aggiustati il sedile alla giusta distanza dai pedali, sistema lo specchietto interno prima e quello esterno dopo, lo guardi negli occhi e gli chiedi ingegnere dove dobbiamo andare. L’esaminatore si rilassò, dopo che per tutta la mattinata aveva dovuto sopportare rustici  aspiranti automobilisti, mi disse ho già notato i movimenti che ha fatto, facciamoci un giro dove vuole lei, anzi andiamocene al bar sul lungomare che lo zio mi offre un caffè, finalmente mi posso rilassare.


Presi la patente, e dopo di me i miei fratelli ed i miei figli e tutti i cugini e i parenti.


Dieci anni dopo, è il 1988, io ho deciso di incasinarmi defintivamente, chiedo allo zio di farmi da testimone alle nozze , lui mi dice sei sicuro, io dico sono sicuro, anche se non era sicuro che ero sicuro, e dico di si.


 


Stamattina pioveva, ho preso la macchina per andare nella sua casa di campagna, quando sono arrivato mi ha ricevuto mia cugina, lei vive a Berlino, ha in braccio il suo secondo cucciolo, quello che ha la faccia da tedesco. Entriamo nella casa, al muro c’è l’ingrandimento di quella fotografia, la guardo per qualche secondo, poi vado nella sua stanza.


Lo saluto, mi prende la mano e mi chiede se ho visto le sue analisi del sangue. Devo dire una bugia, non le ho viste, io so perfettamente che le analisi e tutto quello che è stato fatto per lui ed intorno a lui è completamente inutile.


Ha la bocca spalancata, come la cernia della fotografia, cerca aria, il cancro gli ha completamente invaso i polmoni. Gli porgo la mascherina della bombola dell’ossigeno, l’appoggia sul volto. Perché non c’è il dottore, dice lui. Verrà più tardi dico io. Più tardi, troppo tardi.


 


Sono tornato a casa, pioveva ancora, guidavo piano, sull’altra corsia dell’autostrada una vecchia auto stava bruciando, la polizia aveva chiuso la corsia e la gente scesa dalle altre auto in viaggio guardava attonita da sotto l’ombrello.


Guardo di nuovo la fotografia, lui, la cernia, il muro della casa, io bambino con il pomodoro in mano.


Guardo la fotografia, ma non la vedo più bene, forse perchè sta nascendo una lacrima


 

mercoledì 1 ottobre 2008

requiem




al capitalismo creativo.
a giorgino bush.
al dollaro.
e pare che anche i petrolieri siano sulla buona strada.