martedì 17 novembre 2009

figghia di buttana (V parte)



Nella mezzorata successiva venni a conoscenza del fatto che Mimma era rimasta incinta dieci anni prima, che aveva partorito a casa sua, nella via Montegrotte, che l’aveva aiutata la madre e la negra della porta accanto “stà zafara niura, si mise d’accordo con una strega per rubarmi la picciridda, ma l’acchiappai e ci stoccai le gambe” aggiunse Mimma.

Scoprii anche che Rosalia non era stata registrata all’anagrafe, non era mai stata vaccinata, non aveva preso nessuna malattia, non andava a scuola che tanto era tempo perso e che mangiava quello che capitava “io travagghio, non ho tempo, mia madre è quello che è, non dava a mangiare a me e a mia sorella poteva dare mai a mangiare a mia figlia?”.

La madre russava come un cinghiale asmatico, per svincolarmi promisi a Mimma che sarei tornato nel pomeriggio a cercare Rosalia, e le domandai a chi potevo chiedere informazioni su dove rintracciarla. “ e che ne so, a casa torna, per dormire”.

Mi appuntai mentalmente il fatto che avrei dovuto richiamare l’assistente sociale ed incaricarla di cercare la sorella di Mimma, che faceva la bidella a Partanna, era maritata con un gommista e non si vedevano da prima che nascesse Rosalia. “quella si scurdò di noi, si chiama Mezzacasa Franca, ditecelo voi che sua sorella sta morendo in un tinto letto d’ospedale”.

mercoledì 4 novembre 2009

figghia di buttana (IV parte)

La porta del basso era semiaperta, ma l’interno del locale era buio. “Scendi con me, entriamo”gli dissi, e Michele ribestemmiò qualcosaltro in bagherese, ma mise la Vespa sul cavalletto, inserì il bloccasterzo, mi seguì strascicando i piedoni.

Il fondaco era deserto, c’era un bazar di rottami accatastati, brande sfatte, un tavolo ingombro di residui alimentari, dietro una tendina qualcosa la cui funzione poteva essere assimilabile ad un cesso.

Dalla porta si affacciò Michele, “Mario, qua ci sono due che ti vogliono parlare”. Minchia, guai, pensai subito. I due che mi volevano parlare più che altro volevano sapere che schifio facevo nella casa di Mimma. Inspirai profondamente, e parlai guardando negli occhi quello corto, che mi pareva più disposto ad ascoltare, mentre il lungo tentava di tenere Michele per il braccio, e Michele tentava di scuotere via la presa del lungo.

“quindi Mimma ce l’avete ricoverata voi all’ospedale” disse il corto, che sembrava avere capito il mio racconto. Approfittai del calo di tensione per chiedere dove fosse la figlia di Mimma. “la figlia? Ah Rosalia vuole dire, Rosalia è qui in giro, ora torna sicuro, chista è a sò casa”. Il lungo perse l’interesse al braccio di Michele e se ne tornò fuori nella strada, ed io domandai al corto se lui fosse un amico, un parente “e che sono parente di una buttana, io?” rispose schifiato il corto. Uscimmo tutti sulla via, dove l’aria gravida degli scappamenti degli autobus piantati nel traffico impazzito delle due e mezza era sicuramente più respirabile di quella del catojo di Mimma.

Restammo ad aspettare un’orata sana, poi Michele mi comunicò che si era rotto i cabbasisi di stare sul marciapiedi.

“io me ne vado, tu che fai, torni con me che ti lascio al parcheggio dell’ospedale oppure resti qui a sorvegliare questa tana?”  

Siccome avevo un sacco di cose da fare, mi rimisi la scodella in testa e salii sulla sella della vespa, Michele partì staccando la frizione in quel modo che significa “passeggero indesiderato”.

L’indomani arrivai prima del solito in ospedale, strisciai il badge sotto lo sguardo liquido del portiere di notte, che dormiva con gli occhi aperti, entrai in reparto, indossai il camice e mi diressi nella stanza dove avevamo ricoverato Mimma. La madre era sempre lì, spalmata sulla sdraio, con un filone mezzo mangiato in grembo, e la testa appoggiata al muro. Mi avvicinai al letto, Mimma era sveglia, aveva la febbre di sicuro, tremava e sudava.

“a truvò a picciridda?” mi disse subito, non appena entrai nel suo campo visivo. “Signora, dobbiamo parlare cinque minuti” e mi piantai ai piedi del letto, in modo che capisse che di lì non me ne andavo se non mi avesse detto tutto.