mercoledì 31 gennaio 2007

digital drugstore.2



“ho visto in vetrina che è uscito”. Il digital pusher mette le zampe nel bancone illuminato, prende il quadrato di plastica e me lo mette in mano. E’ sigillato.


“li conosce, vero?” dice mettendosi le dita nelle bretelle.


“certo che li conosco, e ho degli ottimi ricordi”


“però devo avvisarla, dottore, stavolta non c’è la sorella”.


“assaggi la track numero due...Rollo campiona alla grande, non crede?”


“ok me li impacchetti, visto che qui non me li fa assaggiare, che me li ascolto a casa”, ed esco dalla connessione sicura a 128 bit.


Seduto alla scrivania impreco come sempre contro il cellophane che non si apre. Poi finalmente l’ostrica trasparente si schiude e lascia scorgere la sua idea di perla.


L’inizio è una specie di delirio da videogame, poi subentra un campionamento funky di lullaby. Mi sembra quasi un insulto, considerato l’alto valore specifico di ciò che è stato piratato con l’autorizzazione dei legittimi autori.


“ma è lullaby” penso io, indirizzando la riflessione al digital pusher.


Che poi non è vero che Dido non c’è. Ha anche scritto un brano, e lo canta anche, (last this day).


La traccia numero quattro è una suoneria di telefonino (ammetto l’ho campionata per il mio cellulare). Quasi due minuti di trillo alternato. Che dire della traccia cinque? Che sembra una traccia…degli Orb!


Arrivati a “last this day”si sente la voce di Dido Armstrong. Che, sarò banale, a me piace.


Però mi aspettavo qualcosa di meglio da lei, ed anche in questo brano si sentono suonerie di cellulari.


Però mi aspettavo qualcosa di meglio da Rollo Armstrong, suo fratello e leader dei Faithless.


Mi pare un colpo a vuoto, un ciddi fatto solo per pagare le bollette della luce e la Porsche nuova di Maxi Jazz.


Però se pigli per il culo i vecchi fan (io sono un fan vecchio), è possibile che non ci sia una prova d’appello.


 


Faithless: to all new arrivals.

domenica 28 gennaio 2007

digital drugstore.1


Entro, attraverso la porta ethernet nel mio digital drugstore preferito. Il passaggio è a 128 bit, dovrebbe essere abbastanza sicuro, nessuno mi vedrà. Il negozio è vuoto, la luce allo xenon mi indirizza, so dove andare.


“buonasera dottore, cosa posso servirle?” mi dice il digital pusher non appena mi vede arrivare.


“che hai di buono, fammi assaggiare qualcosa” dico io.


“uhm, vediamo…ah, si…provi questo…è appena arrivato”.


Una fetta sottile. L’assaggio, collego gli auricolari.


Dunque: rumori tamagochi, tracce di elettrodance che suona  anni ’80, moog, mellotron, sintetizzatori. Basso elettrico.


“mi faccia assaggiare ancora un po’, trovo attraente questa faccenda del basso elettrico”.


“certo dottore, le suggerisco la porzione numero cinque”.


In effetti spizzicando da tutti i settori mi rendo conto che funziona, è diverso dagli altri prodotti di questa marca. In effetti tutti i prodotti di questa marca sono sempre diversi, non annoia, e riesce anche a sorprendermi.


“va bene, me lo incarti”.


“ecco fatto, la confezione le piace? La può personalizzare come vuole, le ho incluso un kit di adesivi per realizzare la sua preferita, e dentro troverà anche un dvd.”


“si, si, per ora va di moda aggiungere il gadget per mascherare il fatto che, con l’euro, costa tutto più caro”.


“eh già, dottore, però lei qui è in porto franco, paga in miseri dollari svalutati, non è la prima volta che viene, e ci visita perché risparmia, e perché la direzione le consente di assaggiare e scegliere…”


“Hai ragione Pedro (o Jack, o Irina, o Mario), come sai tornerò ancora a visitare il vostro digital drugstore”.


Ritorno all’attualità di una scrivania con tappeto verde, computer e box in legno pregiato del k-701.


Apro il crystal box, estraggo il cd, lo faccio inghiottire dalla silenziosa bocca del lettore, pump on the volume.


(beck the information)


 

lunedì 22 gennaio 2007

strange food

Abbiamo avuto ospite al b&b uno studente coreano che si aiutava con un minicomputer per farsi capire, dato che non parlava una sola parola di italiano o di inglese...è stata veramente una cosa pazzesca. Poi è pure scomparso...e quando è stato ritrovato la sua tutor lo ha cazziato come si deve. Ci ha lasciato-senza scrivere nulla sul suo computer-traduttore-questi vasetti che dovrebbero essere cose da mangiare...


ho trovato sui vasetti (che sono grandi quanto uno di quei bicchieroni di carta dove servono solitamente tre etti di ghiaccio e poche gocce di una famosa bibita gassata) il sito del produttore , molto naif...


 


 


 


strani cibi

venerdì 19 gennaio 2007

nuovo modello


Era vicino alla finestra da un po’. “solo qualche momento” si era detto qualche minuto prima, dopo aver abbandonato il tavolo da lavoro.


Il respiro caldo aveva formato un alone sul vetro, assumendo la forma di una strana farfalla di vapore. Osservava il traffico distrattamente, preso da alcuni pensieri che giravano in loop, le macchine lasciavano un’impronta di colore sulla retina.


Una donna si avvicinò all’aiuola che si trovava al centro dell’incrocio, intorno alla quale il traffico era costretto a girare.


Aveva uno strano copricapo di pelliccia, e un mazzo di fiori colorati in mano, di diversa lunghezza.


La donna si chinò per togliere da un cilindro metallico dei fiori secchi, e li infilò in un sacchetto di plastica che aveva estratto dalla tasca, qualche petalo di crisantemo giallo si sparpagliò vicino ai piedi, poi la nuova composizione fu posizionata adeguatamente, gli steli ritti nel vaso.


“ora prenderà l’acqua dalla borsa” pensò lui, continuando a guardare dalla finestra chiusa, infatti la donna prese una bottiglietta d’acqua minerale da mezzo litro e la svuotò nella fioriera.


“chissà chi è morto lì”, disse l’uomo a voce bassa, e l’alone di fiato sul vetro si allargò, per poi ritrarsi di nuovo.


Restò ancora a guardare quella figura ferma davanti ai fiori, che probabilmente pregava, perché aveva giunto le mani.


Arrivarono degli attacchini su un furgoncino bianco, e prepararono i cilindri di carta arrotolata da stendere sul maxiposter, in cui era ancora raffigurata una donna abbronzata e poco vestita che reclamizzava uno studio di abbronzatura.


“chissà perché lo chiamano studio”, disse di nuovo lui a bassa voce.


Il pensiero distratto che girava tra i suoi neuroni come un topo da laboratorio nel percorso di prova si fermò.


Gli tornò in mente il pomeriggio del giorno prima, l’odore intenso di fica, il succo acidognolo e caldo in cui aveva prima posato le labbra e poi la lingua, sentì che stava per eccitarsi, immaginò che proprio in quel momento, in quella stessa stanza, mentre il guerriero greco nel piatto di terracotta sulla parete alle sue spalle stava trafiggendo un nemico con una lunga lancia, immaginò che proprio in quel momento, mentre dai box dell’impianto hi-fi si diffondevano le note dolciastre di purple rain, immaginò che proprio in quel momento mentre la donna al centro dell’aiuola aveva finito la sua rituale cerimonia funebre e si stava allontanando a capo chino, immaginò che proprio in quel momento, avrebbe voluto che come ieri lei fosse lì con lui, per spogliarla piano, renderla docile sotto le sue mani e assaggiarne di nuovo gli umori.


“ora basta, devo concentrarmi”, disse lui a voce un po’ più alta di prima, si allontanò dalla finestra, abbandonò l’alone di fiato caldo che iniziò a dissiparsi, lasciò che gli attacchini finissero il suo lavoro, si rimise a sedere, riprese la penna a china in mano, ricominciò a disegnare il profilo di un nuovo modello di bicchiere.


 

mercoledì 17 gennaio 2007

il tempo compresso, Roma e la prossima volta





Vabene, si fa tutto di corsa, una riunione che qualche anno fa sarebbe stata ordinatamente sciorinata su tre giorni, con un paio di pernottamenti nel solito business hotel, è stata accartocciata in un tempo compresso pneumaticamente in 30 ore, cena e dormita comprese.


E poi, parlando con i colleghi, ci siamo accorti che stiamo invecchiando, nulla di strano, se non fosse che in qualcuno e in qualcun'altra lo stress per il nostro lavoro, più usurante di quel che si creda, ha provocato patologie che magari potevano aspettare ancora una decina d’anni per manifestarsi.


“Come va, come stai?” chiede sorridente l’amministratore delegato, “bene, bene e tu?” è l’unica risposta che ha un senso dare, ci vorrebbe troppo tempo ed una serie articolata di perifrasi per giustificare un’altra risposta, e allora tutto bene, e via a salutare un altro.


E Roma? L’abbiamo vista, come sempre, dai finestrini frettolosi del taxi, le idee deboli sui  programmi fatti alla vigilia si sono quietamente rintanate nel limbo dei desideri da rimandare ad una prossima volta.


Già, lo faremo la prossima volta, la prossima volta avrò più tempo per te, certo ci sarà sicuramente una prossima volta. Certo, forse.


Ho scritto frasi sulla pagina tre del libro con la copertina verde acido che è stato tirato fuori dalla borsa, dalla valigetta, dalla tasca del giaccone. Anche in questo caso, il tempo è stato marginale, peccato, valeva sicuramente la pena di spenderne di più, soprattutto per chi è venuto apposta per quello.


 La prossima volta, sicuramente, speriamo.


In aeroporto ho trovato un posto vicino al gate, una ragazza dai capelli rossi leggeva un libro che forse nessuno avrebbe comprato se da questo libro non fosse stato girato un film che forse non valeva neanche la pena girare, ho notato che la ragazza dai capelli rossi aveva le gambe piene di lividi, magari avrà avuto un fratellino difficile, o qualcuno non aveva tempo di spiegarle le cose diversamente, e gli stinchi si sono riempiti di medaglie violacee.


Mentre aspettavo che chiamassero il volo, ho cominciato a leggere un libro di racconti scritto da uno che, come me, è nato nel 1960, ma che scrive molto meglio di me, e vive in una stazione ferroviaria abbandonata in un posto sicuramente solitario, non so se sia un vantaggio avere successo e poi rintanarsi lontano dal mondo, forse sì.

venerdì 12 gennaio 2007

home horror






Non aprire quella porta. Dietro l’uscio di ogni famiglia si nasconde, acquattato tra le tende ed il sofà, un abisso di orrore.


Buongiorno ragioniere buonasera dottoressa, poi le antine dell’ascensore si richiudono, il mostro si prepara, è pronto ad entrare in azione.


Come sta maestro? La mamma ancora sofferente? Niente problemi, stanotte il maestro aprirà il rubinetto del gas, e forza con i botti e i fuochi artificiali, che nemmeno a Fuorigrotta per capodanno, cinquanta senzatetto, tre morti e quattro dispersi, e il maestro tutto impolverato che si è salvato, che sfortuna, dovrà sopravvivere a questo scempio, ma ci riproverà, certo che ci riproverà.


Ma che bel bimbetto come dice, cinque mesi, eh che frugoletto. Ci penso io dice la mammina all’insolente che si permette di fare i complimenti al cucciolo. Appena ritorna dentro prende il bambino dal passeggino, mamma è tanto depressa amore, qui nessuno ci capisce, papà non si accorge di niente, così finalmente se ne accorgerà che ci siamo anche noi, e apre il balcone dal sesto piano e abbracciata al fagottino vola, vola, vola fin sul tetto della croma parcheggiata sotto.


Ma chi se lo poteva immaginare, ma che tragedia signora mia.


Tutto bene signora? E suo marito? Cosa dice? Non dorme perché mia figlia pattina in cortile, ma via, le dico di non fare rumore. Intanto il marito ha preso il fucile da caccia e dieci cartucce, sfonda la porta dell’appartamento dell’odiosa pattinatrice e smette di sparare solo quando sente solo il rumore del suo cuore che si calma, è finito. Tutto finito.


Stai attento quando attraversi la strada, e non ti preoccupare, che se non ti investono sulle strisce ci pensa lo zio a scannarti stanotte, queste pareti bianche sono noiose, facciamole a pois, color sangue.

mercoledì 10 gennaio 2007

mi chiamo Angelo



Era una domenica. Era una domenica pomeriggio. Una domenica pomeriggio di fine estate. Fine anni ottanta. Stavo rientrando, da solo, in città. La macchina era una Opel, dagli altoparlanti della radio accesa (nella mia macchina la radio è sempre accesa) si sentivano sicuramente i Dire Straits. O forse gli U2. Erano anni in cui tutti sentivamo gli U2, oppure i Dire Straits. Il traffico era intenso in direzione Palermo, era anche difficile sorpassare. Mancavano pochi chilometri alla fine dell’autostrada, probabilmente stavo ascoltando Tunnel of Love, o Pride, a quei tempi ascoltavo spesso Pride, la cassetta c90 aveva l’etichetta consumata. Da un lato U2 e dall’altro Dire Straits.


La spia della riserva era accesa da un po’, ed ancora non lo sapevo che c’era poco da fidarsi. Avevo quella macchina da poco; aveva il tetto apribile, ed era l’unica cosa buona. Era una vasca da bagno con le ruote, ed il tetto apribile. E Pride che suonava ( o forse era Tunnel of Love).


Mancavano veramente pochi chilometri alla fine dell’autostrada, e senza preavviso, senza nessun sussulto premonitore, senza singulti e rantoli, la macchina si spense.


“cazxx ho finito la benzina”, pensai mentre mettevo la freccia a destra e lasciavo che sull’abbrivio la vasca da bagno con ruote si andasse ad arrestare in corsia d’emergenza.


“menomale c’è una colonnina del soccorso stradale” mi dissi appena la macchina si fermò del tutto.
Scesi, ed andai ad azionare il pulsante che doveva chiamare il carro attrezzi. Azionai stupidamente più volte quel dannato pulsante, ma non successe niente. Nessuna voce gracchiante uscì dalla retina dell’altoparlante. Niente di niente. Unico rumore il traffico che scorreva con onde di piena, la radio l’avevo spenta, mi pare di ricordare.


A quei tempi non esistevano (ora direi purtroppo ) i telefoni cellulari. Sarebbe meglio che non esistessero neanche oggi, ma questa è un’altra storia.


Valutai che ci sarebbe voluta almeno un’ora per arrivare a piedi al distributore di benzina all’uscita dell’autostrada.


“ e se è chiuso?” dissi ad alta voce. Valutai anche che non avevo nessun contenitore per portare la benzina dal distributore-se fosse stato aperto -alla macchina.


Scartai l’ipotesi della marcia forzata. Di solito, la domenica pomeriggio di fine estate, qui dalle nostre parti, fa parecchio caldo ancora.


“Proverò a chiedere un passaggio.” Non avevo mai fatto l’autostop in autostrada. “proverò a chiedere un passaggio, magari passa qualcuno che mi conosce e mi può aiutare”. Ero abbastanza sicuro che potesse passare qualcuno che mi conoscesse, in quella domenica pomeriggio di fine estate.


Mi misi poco distante, un paio di metri, dalla vasca da bagno con ruote senza benzina, e stesi il braccio destro, poi feci scattare il pollice della mano destra. Con il pollice alzato, iniziai a fare un movimento di torsione del polso di circa sessanta gradi, ciclico e ripetitivo.


Un messaggio inequivocabile, datemi un passaggio diceva il mio dito.


Passarono migliaia di automobili, all’interno delle quali la gente chiacchierava, aveva i piedi sul parabrezza, era visibilmente incazzata, guidava nervosamente, due erano suore, uno aveva il cane ritto sul sedile del passeggero, e la moglie seduta dietro. Il cane mi guardò, ma non fece nulla per attirare l’attenzione del conducente.


Passarono migliaia di automobili, in un paio riconobbi le facce dei tipi che guidavano “Alfredo, Alfredooo” gridai pure, come un idiota, alla macchina che conteneva Alfredo che ovviamente non poteva sentirmi. Vidi la coda dell’Audi di Alfredo confondersi con la massa delle lamiere miste in movimento, senza fermarsi.


Il sole cominciava la sua discesa, “pomeriggio di merda” pensai, disperando che qualcuno potesse avere pietà di uno fermo vicino ad una macchina senza benzina.


Avevo appena smesso di agitare il pollice come un idiota.


Avevo smesso, mi sembrava controproducente, forse era meglio assumere un’aria estremamente sofferente, dopo avrei adottato lo sguardo disperato, per vedere che effetto faceva.


Se avessi potuto osservarmi dall’esterno avrei visto un trentenne preoccupato appoggiato ad una Opel senza benzina.


Dopo che avevo smesso di agitare il pollice mi ero appoggiato alla parte posteriore dell’Opel, e cercavo di guardare negli occhi i conducenti delle macchine che passavano. Avevano quasi tutti gli occhiali da sole, e non riuscivo a capire se mi vedevano o no.


Ero vicino, pochi minuti, a quel momento in cui solitamente un trentenne preoccupato perde la speranza di salvarsi, ero molto vicino a quel momento.


Mentre le ultime gocce di aspettativa positiva si stavano dissolvendo al caldo di quel pomeriggio tardi di una domenica di fine estate, si fermò una macchina.


Fui immediatamente euforico. Però mentre questa macchina, una Golf nera, faceva retromarcia per avvicinarsi, la mia euforia si tramutò in discreta ansia. La Golf faceva retromarcia e potevo chiaramente vedere che era piena di gente, e che il guidatore aveva la tipica faccia del ladro di macchine.


Pensai rapidamente che quello si stava fermando per fottermi la macchina o rapinarmi, e quando si arrestò vicino a me, che nel frattempo gli ero andato incontro, ne fui praticamente certo.


Il mio salvatore abbassò il finestrino lato passeggero, fui immediatamente colpito da odore di povero e di bambini che dormono. La Golf, tutta ammaccata, oltre al guidatore con la faccia da ladro di macchine ed alla donna-balena che gli sedeva accanto, era piena di bambini di età assortite che dormivano, presumibilmente esausti dopo una giornata passata a rubare macchine, a scassinare villette, a rapinare coppiette.


Mi abbassai, chiudendo le narici per fermare l’afflusso di quegli odori così sconvenienti per un trentenne piccoloborghese e preoccupatissimo.


“ho finito la benzina, non è che mi accompagna al distributore a prenderne un po’?”, dissi convinto di stare profferendo una cazzata, dove mi doveva mettere, sul tetto? O in mezzo al gregge di bambini dormienti?


“ti tiro io fino a Palermo, attacchiamo la macchina alla mia” disse il mio truce soccorritore.


La moglie-balena non disse niente, i bambini non si svegliarono, lui scese ed aprì il cofano della Golf.


Aveva mani grandi e sporche di grasso, questo lo notai.


Dentro al cofano, alcune matasse di corda grossa, un altro bambino che dormiva in una cesta di paglia, un piede di porco bello grosso, catene e pezzi di motore.


“questo attacca la macchina e scappa” pensai mentre lo aiutavo a legare il paraurti anteriore dell’Opel al gancio traino della Golf.


Controllò con la pressione del piede che la corda fosse nella giusta tensione, verificò i nodi che aveva fatto (levati i manu, aveva detto mentre cincischiavo con i capi della corda), “Sali nella macchina e accura agli stop, se freno io frena pure tu”, disse il mio truculento soccorritore.


Ripartimmo a bassa velocità e riuscimmo a trovare un posto doppio tra le maglie strette del traffico, in pochi minuti arrivammo alla pompa di benzina che si trovava proprio alla fine dell’autostrada e che era aperta.


Il mio truce soccorritore liberò rapidamente la mia Opel senza benzina dal cordone ombelicale che l’aveva unita alla sua Golf.


Misi immediatamente la mano in tasca e presi una carta da diecimilalire. “prenda questa, come ringraziamento” dissi io porgendogliela.


Lui fece quel verso che noi siciliani solitamente facciamo quando vogliamo dire di no, e che solitamente viene letterariamente tradotto con ‘nzu.


“nzù, avevi bisogno di aiuto e ti ho aiutato, non mi devi dare piccioli”, disse lui risalendo in macchina.


La moglie-cetaceo non aveva mosso un sopracciglio, i bambini dormivano ancora, mi avvicinai alla Golf “come si chiama, mi dica il suo nome” dissi con il tono sollevato di un trentenne che fino a pochi secondi prima era tragicamente preoccupato per le proprie sorti e per quelle della propria bagneruola su ruote senza benzina.


Lui mise in moto la Golf nera, una zaffata di fumo nero e carbonioso uscì dalla marmitta, lo guardai negli occhi.


“Angelo, Angelo sono”.


Ingranò la prima e andò via, lasciando un trentenne stagliarsi nel tramonto di una domenica di fine estate, mentre un benzinaio in slow-motion si avvicinava con la pistola della benzina in mano.


 


 

martedì 9 gennaio 2007

domenica 7 gennaio 2007

disarcivescovizzare


Se l'arcivescovo di Varsavia


si volesse disarcivescovovarsavizzare


vi disarcivescovovarsavizzereste anche voi?

giovedì 4 gennaio 2007

the show

bush


"noi americani avremmo gestito la cosa in maniera diversa". dichiarazione di oggi.


 La "cosa" è l'impiccagione di un dittatore, anzi di un ex-dittatore, inerme e inutile, tanto valeva lasciarlo muffire in galera.


Noi americani, avremmo effettuato l'esecuzione al caesar's palace di las vegas, vendendo a ottimo prezzo le poltrone e le poltronissime di prima fila. Avremmo messo in piedi un concorso a premi "tu, boia", con lotteria annessa, avremmo impedito dilettantesche riprese con il cellulare dell'esecuzione. Innanzi tutto il personaggio principale avrebbe avuto una mise adatta all'occasione creata dal famoso stilista ralf laren , quando si va in scena bisogna essere glittering. Pay-tv e televisioni via cavo avrebbero assicurato a chi sta a casa la fantastica diretta assicurata da una batteria di 40 telecamere, di cui una piazzata proprio sopra la testa del personaggio principale, e avremmo fatto in modo che si potessero inserire una giusta quantità di spot durante l'agonia, e sulla corda avrebbero trovato posto i banner degli sponsor interessati al ghiottissimo evento.


E poi, telefonate in diretta agli esperti dopo, e lo special a pagamento "intervista al carnefice". Peccato, 'sti iracheni del cazzo non capiscono niente di business...

martedì 2 gennaio 2007

anche se ti chiami Yusuf ti voglio bene lo stesso


Una rivelazione. Probabilmente, naturalmente è una opinione personale, il miglior cd che io abbia acquistato nel 2006. Una affermazione forte, da giustificare;  e lo faccio impadronendomi abusivamente di una frase dal disco: please, don’t let me be misunderstood.


Che qualcuno potrebbe dire “ehi ma questa frase la conosco, appartiene a qualcosa che…mi ricorda qualcosa…ma sì, la ballavamo”. Giusto. E me la ricordo pure io, anche se non la ballavo, perché (lasciamo perdere il perché).


Ora, dal libretto contenente i testi ed anche alcune citazioni di profeti e filosofi, vado a leggere i nomi degli autori del brano, tali Benjamin, Marcus &Caldwell. Sembra il nome di uno studio associato di legali dagli affilati denti.


Va bene, vi voglio mettere sulla strada giusta, forse. Qualcuno si ricorda di un disco dove c’era una hit chiamata appunto don’t let me be misunderstood? E se la memoria non mi tradisce, la sparavano in disco dei tizi piuttosto naif che si facevano chiamare Santa Esmeralda. Vedo alcune mani che si alzano “me li ricordo”: sono manine di persone dai capelli radi o grigi, just like me. A questo punto i puristi, quelli che non vogliono sentire parlare di robaccia dance hanno già cambiato pagina. E forse i più giovani, se non sono arroventati dal sacro fuoco della passione, si staranno chiedendo se vale la pena di dare ascolto al medicineman (che forse ha qualche rotella grippata, penserà qualcuno di loro).


Invece datemi ascolto: Yusuf Islam una volta, quando ero teenager si chiamava Cat Stevens. E secondo me (e non solo secondo me) era uno di quelli bravi, sensibili, una musicalità tra il pop ed il folk, insomma mi piaceva.


Per rinfrescarmi le idee vado alla cd-teca del corridoio, alla lettera S. Il greatest hits del 1975 è lì, lo prendo e lo infilo nel k-701. Per rinfrescarci le idee leggo e riporto qui le note di copertina :”Cat Stevens, greek father and swedish mother, but grew up in London, launched as a pop singer in the mid-sixties…at the height of his success, Stevens fell seriously ill with TB, when he returned, two years later, Stevens has honed a new, more direct, musical style.. Tea for Tillerman , Teaser&the Firecat, Catch Bull at Four, Buddha and the Chocolate Box and Numbers all reflected his new musical attitudes…following the release of Back to earth, in 1977, Stevens retired from music and devoted his life to religion”.


Di quel periodo continuo a canticchiare Wild World, Moonshadow, Peace Train, Morning Has Broken.


Vi vedo, cinquantenni o quasi, ritornare agli anni della rivoluzione hippy, a quando si credeva che bastasse un pò di musica , il libero amore, un trip lisergico, una vita psichedelica per arrivare all’Infinito. Ehi, svegliatevi, siamo nel 2007.


Allora, dopo trent’anni, bentornato Cat-Yusuf.


La versione di dont’t let me be misunderstood inclusa nel cd di Yusuf-Cat è soprendente, e vale l’acquisto ( o fate voi…) .


Perché: il testo, nonostante la discendenza dance è di carattere umanistico-religioso. L’arrangiamento è gotico, profondamente ispirato. Bellissimo.


Le altre tracce riportano alle atmosfere limpide, acustiche degli anni ’70. Ci sono anche un paio di poesie (brevi) recitate con delicato sottofondo orientaleggiante.


Anche se ti fai chiamare Yusuf, caro Cat, ti voglio bene lo stesso.


 


(Yusuf-another cup).