mercoledì 28 febbraio 2007

saturno contro, e contro chi?


 


Praticamente succede che uno, uno sfigato, il solito Stefano Accorsi che è l'emblema del Rimorso Originale, fa le corna alla moglie, impersonata da Margherita Buy, con una fioraia esangue e smunta, interpretata da Isabella Ferrari, la quale farà dei trucchetti da impazzire. Il fatto è che lo sfigato lo racconta alla moglie, e quella se la prende in negativo, e lo butta fuori di casa; nel frattempo ad uno dei loro amici viene un'ESA (che sarebbe una emorragia subaracnoidea, una di quelle cose da cui raramente ci si salva), e dopo un pò di psicodrammi nella dinamica del gruppo succede che muore. Inoltre il film starebbe bene nel programma del governo di centrosinistra, ci sono tutti, dico, gay, extracomunitari, drogati e plurisessuali. Però non l'ho capito se mi è piaciuto. Domani ci ripenso.

sabato 24 febbraio 2007

intervista

monoscopio2


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


La telefonata era stata singhiozzante ed incomprensibile. Colpa di wind, aveva risposto il mio interlocutore quando gli avevo detto che lo sentivo a tratti e brandelli.


Però aveva pronunciato il nome di una buona conoscenza comune, grazie ho pensato, grazie a te che ti interessi alla promozione del sottoscritto.


Ci vediamo sabato, sai dov’è la palestra Corpo Stellare? Si , si la conosco avevo risposto io. Abbiamo una sigla cantata da Peppe Baldo e Maria La Venera, sai chi sono no? I famosi presentatori, capisci, ci lanciano loro.


A sentire quei nomi che puzzavano di cadavere anche attraverso il cellulare io mi ero insospettito, ma continuavo ad ascoltare. E di che ti occupi tu, ci possiamo dare del tu vero? Io sono Pino Petrilli, mi conosci, vado spesso in tivvù, vedo pochissima tele avevo risposto io, comunque è un talksciòv aveva continuato lui, ti vedranno un sacco di persone, ah mi dice ora il mio colega qui, ma tu de che te ocupi? Io? Io mi occupo di scrittura. Si ma che scrittura? Ho scritto un libro. L’hai scritto tu? Allora porta stò libro che gli facciamo publicità.


 


Sono andato all’appuntamento, in qualche modo bisogna promuoversi, che se no l’editore brontola, e magari si vende anche qualche copia in più.


Ah non l’avevo riconosciuto, lei è lo scrittore? Meglio che si è dimenticato che al telefono ci siamo dati del tu, ho pensato io vedendo il bravo presentatore con cui avrei registrato l’intervista.


Una mezza pazza si è avvicinata, tu sei l’amico di xxxxxx, si ho detto io, ah bravo io sono la moglie del tastierista (e che me ne frega del tastierista ho pensato io), guarda qua la scaletta, ti toccano tre minuti, sei il primo. Va bene, così me ne vado subito ho pensato io. Ho pensato pure intervista culturale in tre minuti, pillole euchessina di letteratura.


Senta, me le prepari lei tre-quattro domande, così non ci incasiniamo al momento dell’intervista, ha detto il bravo presentatore, non mi incasino mai ho detto chiaro e forte affinché mi sentisse, io ci lavoro, con la parola scritta e parlata, stia tranquillo.


Nel frattempo un tizio dal sesso indefinibile e con un pronunciato strabismo schizoide stava cercando di sistemare dei pannelli sullo sfondo, con il nome della trasmissione scritto sopra, ma nonostante chili di nastro adesivo, gridolini e buona volontà, i pannelli restavano storti.


Ad un certo punto il tizio dal sesso indefinibile ha decretato che era storto il cavalletto della telecamera, ed ha tentato di raddrizzarla, però si è preso il cazziatone dell’operatore, un masculazzo grosso come un tir, che vedeva messa in grave pericolo l’integrità dell’attrezzatura. Allora vado a provare, ha detto il tizio dal sesso indefinibile, e si è messo a cantare sulla base che aveva portato lui, una voce insospettabile mi sono detto io, ma le canzoni facevano schifo, o forse sono io che non ne capisco di musica asessuale mi sono detto.


Poi sono arrivati i bambini. Nella scaletta c’era anche l’esibizione di un gruppo di bambini praticanti un tranquillo sport per niente violento, il full-contact.


Il bravo presentatore ha indottrinato i bambini su come dovevano fare per essere telegenici, simetria ce vole simetria ha detto ai piccoli lottatori marziali, corpiteve tre vorte ciascuno e guardate in camera mentre lo fate. L’istruttore di full contact ha bestemmiato ed ha abbandonato la sala, non se n’è accorto nessuno, neanche i bambini, ai quali puzzavano inequivocabilmente i piedi.


E certo, uno sport che si fa a piedi nudi, poi se non te li lavi, quelli poveretti, puzzano.


Intanto io mi sono seduto, a guardarmi tutto il movimento della preparazione del circo, pardon del talksciovv, ed ho anche preparato le domande che volevo che il bravo presentatore mi facesse.


La mezza pazza ogni tanto veniva a controllare che fossi ancora lì e poi mi ha detto sta venendo la psicologa dello sport, la conosce, fa un sacco di tv pure lei. Con la mia solita faccia di merda le ho chiesto che marca di tv producesse la pissicologa dello sport, ma la mezza pazza non ha capito.


E’ entrata nella sala della palestra, dove tutti tranne me erano sudati per il gran daffare nel creare il niente, la pissicologa dello sport, e mi sono detto ma guarda pure qua viene a battere il palcoscenico questa qui. Siccome al bravo presentatore al vederla gli si sono accelerati tutti gli ormoni è subito andato a salutarla, e quando le ha chiesto che domande voleva che le facesse quella ha detto faccia tutte le domande che vuole, tanto io parlo di pissicologia applicata allo sport.


Poi lei gli ha detto con un sospiro pornografico che aveva tanta ma tanta voglia di fare televisione, e si è capito subito che il bravo presentatore aveva tanta ma tanta voglia di farsi quella che aveva tanta voglia di fare televisione, e infatti le ha detto cara appena finiamo la registrazione fermati pure che parliamo, anzi io parto domani che fai stasera a cena. Mi veniva troppo da ridere e così ho fatto finta di non avere sentito il loro colloquio erotico, ed ho risposto ad una bambina, figlia di non so chi, che mi stava chiedendo da mezzora di chi era il libro che avevo in mano. Il libro è mio le ho risposto, ma non c’è il nome scritto dentro e nemmeno che classe fai tu mi ha detto lei. Logica fulminante. Allora le ho spiegato che il libro lo avevo scritto io e quella senza scoraggiarsi mi ha tirato un altro calcio sotto la cintura dicendomi ma come lo hai scritto tu e i numeri sulle pagine e tutte queste parole scritte a stampatello ma che hai una penna speciale per scriverle e la copertina te l’ha fatta la maestra col collage e poi l’hai incollata tu?


Non ho avuto il coraggio di mentirle ancora e le ho detto, per farle mollare la presa, che il libro l’avevo comprato in libreria. E’ parsa tranquillizzarsi e se n’è andata da qualche altra parte.


Intanto la pissicologa dello sport si è venuta a sedere vicino a me e mi sono accorto che aveva le mutande bianche, e che forse quel brandello di jeans che aveva messo sopra era di qualche misura più piccolo del necessario, oppure era una minigonna ascellare. Forse la seconda, oltretutto guardandola meglio mentre anche lei mi chiedeva se il libro che avevo in mano l’avevo fatto io mi sono accorto che aveva una magliettina probabilmente rubata alla sorellina più piccola e le sue povere tette della quinta misura la stavano strappando per quanto ci stavano strette, nella t-shirt pediatrica nera. Si il libro l’ho scritto io e che genere di libro è ha detto lei, sono racconti brevi ho risposto, minchia bellissimo ha detto la pissicologa dello sport, non li sopporto i libri che si devono leggere tutti, del tuo libro se ne legge un racconto quando se ne ha voglia, stavo per dirle quando vai al bagno per fare la cacca ma mi sono trattenuto che se solo la poverina aveva qualche difficoltà se lo poteva leggere tutto e allora non l’avrebbe sopportato.


Forse pensava anche che facendomi vedere che le mutandine erano bianche le avrei regalato il libro che lo stava carezzando e rigirando da un pezzo ma io sono materialista e mi sono ripreso il libro oltretutto dovevo parlarne durante l’intervista del bravo presentatore che l’aveva invitata a cena.


Cominciamo cominciamo hanno detto tutti ad un certo punto, e il bravo presentatore ha provato alcuni movimenti per incontrare il bravo scrittore davanti all’occhio obiettivo della telecamera ma non ne funzionava nessuno allora gli ho detto all’orecchio senta lei si fa la sua introduzione dopo io mi alzo le vengo incontro ci salutiamo e ci andiamo a sedere lì a quel tavolino, mi pare più naturale che gliene sembra e lui ha detto bravo perfetto va bene facciamo così.


Ha svalangato cazzate a profusione durante la presentazione del programma che stava iniziando incartandosi sul fatto che alle nove della sera le casalinghe romane che vedevano quel determinato canale satellitare si sarebbero divertite un casino con la cultura e con lo sport e lo spettacolo, e il tastierista marito della mezza pazza gli ha gridato ahò pino ma che cazzo stai a ddì che alle nove di sera del sabato c’è la partita in diretta e non lo dire più care amiche che sono le nove di sera dici care amiche e basta. Al bravo presentatore gli si sono avvampate le orecchie, rifacciamola allora ha detto.


 

mercoledì 21 febbraio 2007

giovedì 15 febbraio 2007

che cazzo è quello


 


“Che cazzo è quello?” disse Mario facendo un passo indietro, dopo essere entrato.


“una lucertola, non lo vedi? È una lucertola” rispose Luca, spazientito. “entra, piuttosto”.


“ma che lucertola, è enorme, cos’è…un’iguana, minchia morde?”


“non morde, è imbalsamato, comunque, testa di cazzo, è un varano di Komodo, che se fosse vivo avrebbe già piantato i denti nel tuo culo foruncoloso, per vedere che sapore ha il culo di un vigliacco” disse Luca, guardando Mario negli occhi, giusto per fargli capire che era incazzato. Anzi era molto incazzato. Incazzatissimo. E voleva che Mario lo capisse. Inutile fare troppi giri di parole.


“Mi sembra che sei strano, tenere un dinosauro impagliato a casa, cazzo perché non hai un cane, o un gatto come le persone normali?” (forse non è del tutto normale, disse mentalmente Mario, avanzando con cautela nell’appartamento di Luca. Immaginò anche che da un momento all’altro sarebbe uscito un pellerossa con regolamentare copricapo di penne e lo avrebbe scotennato, tanto per fare piacere a Luca. Mario sapeva che Luca lo detestava, e per certi versi lo temeva. Questo Luca lo sapeva, e cercava di fare valere la sua supremazia psicologica. )


In strada, passò un’auto della polizia con le sirene accese, frenò facendo stridere le gomme prima di voltare, ripartì sgommando, l’ululato si perse alcune traverse dopo, perso tra la palude urbana.


“hai portato i soldi”.  Non era una domanda, quella di Luca, era piuttosto un’affermazione.


Mario esitò. “allora li hai portati i soldi? Guarda che non ho tempo da perdere con te, ho da fare.” sibilò Luca, Mario ebbe la sensazione di vedere nella penombra una lingua biforcuta balenare tra le labbra di Luca.


“ecco si, veramente no, ma…” rispose Mario facendo un passo indietro, per sottrarsi sia al jab di Luca che alla sua lingua sibilante che, ne era sicuro, era velenosa.


Luca rimase zitto per qualche secondo, la faccia era quella di un diavolo al neon, illuminata ad intermittenza dalla luce dell’insegna del supermercato sul tetto della casa di fronte, che entrava dalla finestra.


Mario si bilanciò sulle gambe, come per parare o schivare un pugno (agile sulle ginocchia, diceva sempre il suo maestro di boxe, guardami negli occhi per capire dove ti colpirò) mise una mano nella tasca del giaccone, quello che toccò lo fece sentire più sicuro.


“me lo sentivo che non li avresti portati, lo sapevo, lo sapevo” disse allora Luca, assumendo una espressione di quelle che dovevano fare paura, la testa un po’ infossata nelle spalle, il collo rigido, teso in avanti.


“E ora come la sistemiamo la faccenda, eh pezzo d’idiota? Sono sicuro che se ti rompo le corna, qui, adesso, con le mie mani, sono sicuro che lo capisci subito che non dovevi venire qui a mani vuote, pezzo di coglione”.


Luca partì con una semirotazione del busto, guardia sinistra, piede sinistro avanti, ma il gancio si fermò a mezz’aria.


Il botto, la fiammata, l’odore della balistite bruciata, il fischio della ogiva di piombo, l’intonaco dietro Luca che si scrostò, sporcando il parquet, un fiore rosso che si allargò come un ibiscus sulla sua camicia bianca.


Mario sembrava spaventato dal risultato del suo gesto, la pistola gli cadde dalle mani contemporaneamente all’afflosciarsi del corpo di Luca, sgonfio come un pneumatico forato, da cui usciva un denso liquido rosso.


 


“stoooop! Buooona la prima!”


 


Si accesero i riflettori, la stanza di Luca ridiventò un set cinematografico a tutti gli effetti, il regista si alzò dalla sedia, dirigendosi verso Mario “che minchia di cartucce a salve usate, fanno un botto infernale” disse massaggiandosi le orecchie. Luca, rialzandosi da terra, si asciugò la salsa di pomodoro sui jeans “ e ora che il sugo è pronto se li famo due spaghi?” disse strizzando l’occhio alla ragazza della produzione. I fonici ritirarono le giraffe, Mario si avvicinò al regista, indicandogli il varano imbalsamato. “Ma dove l’avete trovato? Ve l’hanno affittato, maestro?”


“si trova di tutto, caro mio” rispose mellifluo e frocigno il regista, “proprio di tutto, basta pagare”.


(chissà perché non hanno messo il solito pitbull bavoso accanto al cattivo, pensò Mario mentre andava a cambiarsi, pregustando l’amatriciana del catering, e poi stà battuta, che cazzo è quello? Mi fa fare la figura dell’ignorante, eppoi un cane può anche essere simpatico, ma una lucertola. Uno spacciatore con lucertola gigante, che cazzo è quello? Un varano del comodino del cazzo) .


“al prossimo film se ci sono animali strani non recito” disse Mario a voce alta. “cosa? Parla con me?” disse una delle aiuto regista. “no, niente, niente, come si chiama la bestia impagliata?”


La ragazza dai capelli fuxia, l’aiuto regista raccomandata dal produttore, lo guardò senza rispondere nulla.


 

martedì 13 febbraio 2007

mare d'inverno

mare d


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


capo lilibeo, marsala (tp) . oggi.


il mare d


 


 


 


 


 


 


 


 


 


trapani, lungomare, oggi

domenica 11 febbraio 2007

doppio decimetro

 

A pà, com’è il panorama da lassù?


Due anni che te ne sei andato, avevo ancora un sacco di cose da dirti.


A pà, mi manchi.






questo racconto te lo scrissi lo stesso giorno.




doppio decimetro






La voce arrivava tonante dallo studio: “chi ha preso il mio doppio decimetro?”


Ne avevamo bisogno per fare un ponte o un guard-rail per la corsa delle macchinine, “Antoniooo, Giulianooo…dov’è la riga? E la gomma per l’inchiostro? E il portamine?”.


Ovvio, papà, le avevamo prese noi, il tavolo da lavoro e la cassettiera nel tuo studio erano fonte inesauribile di sorprese, di oggetti misteriosi, di materiali da poter impiegare nelle nostre costruzioni, o per dar sfogo alla nostra libidine grafica, quando cominciammo a disegnare.


Se qualcosa era fuori posto, e non doveva esserci, perché lui era così metodico, così ordinato, così tipicamente ingegnere, la colpa non poteva che essere di noi figli.


Dopo, la ricerca del colpevole veniva attivata per scoprire chi avesse consumato il rullo della calcolatrice elettrica, che aveva un rumore affascinante, ipnotizzante; sarei rimasto ore a sentire la rudimentale stampantina ad aghi che imprimeva numeri di fantasia sullo stretto rotolo di carta, e poi il lungo nastro che si formava poteva venir buono per farci stelle filanti da lanciare dal balcone.


Poi siamo cresciuti, ed al tecnigrafo abbiamo sudato anche noi figli, con esiti diversi, ma quando tornavo a casa dopo le mie scorribande notturne con giovani come me pieni di ormoni e voglia di trasgredire, ero sicuro che ti avrei trovato lì, al tavolo da lavoro, con la lampada a cono bassa, una matita in mano, e lo sguardo che diceva “sempre più tardi ogni sera…”.


Ieri te ne sei andato, il tuo tavolo da lavoro in casa non c’era più da tempo, la tua scrivania, sempre così piena di carte, era terribilmente ordinata da un paio di giorni, forse te la sentivi che non saresti tornato a casa, forse non hai resistito alla tentazione di mettere metodo ed ordine anche nei tuoi ultimi gesti.


Eri bellissimo, e sereno, nel tuo abito gessato blu, prima che ti portassero via per l’ultimo viaggio; però sentivo che ti mancava qualcosa.


Allora sono corso nello studio, ho cercato nei cassetti e l’ho trovato, quel doppio decimetro, quello che mi ricordo tu possedevi da sempre, tutto smozzicato e con la vite al centro, ho sentito che dovevo farlo, e te l’ho messo nella tasca della giacca, mi era sembrato necessario che dovunque tu saresti andato, con quel doppio decimetro a portata di mano avresti potuto ricordarti di chi sei stato.


Non so se succederà, ma mi piace pensare che quando ti presenterai alle porte del paradiso, chiederai al vecchio con le chiavi un tavolo da lavoro con il tecnigrafo, che tanto il doppio decimetro ce l’hai.


 


A mio padre, u’ncigneri.


 



 


giovedì 8 febbraio 2007

margini aperti


 


E' in libreria il nuovo numero di "margini". La rubrica "il pescatore nella rete" ha catturato per quest'uscita i racconti di e.l.e.n.a.  e di Farolit.


pubbliche presentazioni:


 Venerdì 9 febbraio, a Palermo, al centro sociale dell' ex Carcere, in via Mongitore, dietro l'Ospedale dei bambini, per capirci, a partire dalle 21 e 30 ci sarà la presentazione della rivista curata da Bice Agnello e Gian Mauro Costa.


Sabato 17 febbraio presso l'auditorium della Rai di Palermo alle ore 17.00. Nel corso dell'incontro verrà proiettato, in prima assoluta in Sicilia, il film della regista palermitana Costanza Quatriglio, 'Un mondo addosso', sul tema della vita dei migranti.


domenica 4 febbraio 2007

domenica

il vassoio di dolcie la domenica, si comprano i dolci.


Per chi li può mangiare...


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


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