mercoledì 31 dicembre 2008

lunedì 29 dicembre 2008

farmer & future


 


Timbah sembrava il più svitato di tutti. Però ho dovuto ricredermi. E poi, abbiamo un progetto in comune.


Lui, appena finisce di studiare, metterà su una fattoria in Massachussets, io invece, appena andrò in pensione (o sarò prepensionato, o messo in mobilità o non so cosa), metterò a profitto i tre ettari di terra che mi sono toccati in eredità. Ne abbiamo discusso, lui con il suo americano dalle parole stiracchiate, con suo padre (papà...I'm papà) Mac (ma che significa Mac? Oh niente ha risposto lui, solo che mio nonno si chiamava Mac ed a mio padre è sembrato giusto mettermi Mac) che concordava con me. Il ritorno alla terra ci salverà. Una bella passeggiata in giro per  Palermo, semideserta, Mac ed i suoi figli erano affamati e curiosi di tutte le specialità di road-food palermitano. Winnie, la sorella di Timbah, mi ha chiesto di aiutarla a preparare un itinerario in Sicilia (I love pasta&vino) che prendesse in considerazione più i ristoranti che i monumenti. E così ho fatto. Nota bene: Winnie non è la classica americanina cicciona, anzi. Mi hanno lasciato tutti, ma proprio tutti i loro recapiti. Siamo d'accordo, quando andremo a New York (sembra che ci andremo, tutta la med-famiglia, a luglio, per festeggiare un compleanno importante), ci sentiremo, e passeremo dalla loro casa in Massachussets.


20 pecore, 20 capre e 10 mucche. Una coppia di asini di Pantelleria. Questo è il mio progetto, e Timbah delle foreste che ha camminato senza scarpe nonostante il dicembre freddo umido di Palermo, è stato completamente d'accordo.


Fanculo al 2008, sembra che si usi ancora fare gli auguri per il 2009.


Beh, ve li faccio. Auguri per un 2009 meno pieno di pazzia che il precedente. Però, a sentire i notiziari alla radio, non sembrerebbe proprio.

lunedì 22 dicembre 2008

il lancio dell'anno


e vaffanculo sia a giorgino watercloset cespuglio


sia a quel vecchio maniaco di babbonatale.

sabato 20 dicembre 2008

domenica 14 dicembre 2008

porco dentro


Sala d'attesa di un ambulatorio medico.


Pomeriggio di fine primavera, la luce vira al miele, un pianoforte verticale coperto da un lenzuolo bianco ozia. Definitivamente, penso.


Donne, uomini, anziani, una suora. L'infermiera che regola l'afflusso ha da tempo superato l'età della demenza senile, si ricorda di essere sè stessa solo al momento di chiedere la mancia.


Uno con la faccia di pensionato delle ferrovie sta seduto, la schiena dritta, senza appoggiarsi alla spalliera.


I rumore del traffico, intenso nella via, irrompe nella sala dal balcone aperto, ingombrante, ma siamo al primo piano, è normale.


Però. Però quello con la faccia di ferroviere a riposo parla. Parla con sè stesso. Anzi non sta parlando, pensa ad alta voce. Non tanto alta, ma quanto basta per far sì che intorno a lui si spanda un alone di sedie vuote.


Tutte le donne della sala attraversano i suoi occhi, transitano dal cervello e fuoriescono, impegnate in frenetiche attività sessuali, dalla sua bocca.


La suora si alza, va dall'infermiera con passo zoppo.


"quello è un porco" dice sottovoce alla quadrumane che attende la mancia.


Porco dentro, penso io.


 Passa una vespa smarmittata e copre la frase indiavolata che quello sta dicendo sul conto della suora.

domenica 7 dicembre 2008

sabato pomeriggio (lirica nazionalpopolare)

sabato pomeriggio


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


foto di medicineman


Lei, ha un peluche

strapazzato

in testa.

E due gambotte

al plasmon.

Sembra un tubetto

pressato

di dentifricio

al neon

non ancora terminato.

Lui, ha la sua faccia.

Come quale?

Quella di uno

che trascina

una strizzata donna

con peluche biondo

e minigonna.

 

S’incontrano le coppie

sul marciapiede.

L’uomo saluta

graziosamente chiede:

Come stanno i figlioli?

E la vacanza?

È andata bene?

La moglie guarda oltre:

Alla vetrina

del gioielleriere.

Fossi già morta,

pensa sorridendo

mentre tende la mano

alla consorte

del ragioniere.

 

Ah questa crisi!

Mi fa star male.

Dice il negoziante

mentre legge il giornale

appoggiato alla cassa.

Sta in ozio,

la gente passa

davanti alla vetrina.

Ma di entrare a comprare

collant e reggipetto

non se ne deve parlare.

Sembra quasi un dispetto:

Deve restare vuoto,

il negozietto.

 

Ottimismo, ci vuole!

Sentenzia perfetto

 il presidente del consiglio.

Sbraitando sornione

pettinato senza un difetto

alla televisione.

C’è da rifar le suole

delle scarpe di tuo figlio

disse la moglie

al prestigiatore.

che se lo ricorda

mentre tira fuori il coniglio

durante lo spettacolo.

Gli scappa da pisciare

all’animale, e la fa.

Rovina il cilindro

è da buttare.

Rosmarino ed aglio

Virtualmente gettati

nella casseruola,

andranno sfrigolando

a rosolare

insieme all’orecchiuto

traditore.

guanti o colletto

Diventerà la pelle

dell’animaletto.

 

domenica 23 novembre 2008

blog e nuvole


sono responsabile del contenuto dei balloons.


il resto della faccenda si trova nella home page di blog&nuvole

martedì 18 novembre 2008

congelamento temporaneo

pyll bill





































Non posso restare insensibile alla sgradevole voce della coscienza. Per cui mi rimetto a scrivere,

riducendo i tempi di frequentazione sul web. E' inevitabile un congelamento del blog, temporaneo

e non definitivo.

 Hasta la vista.

domenica 16 novembre 2008

domani, ovvero la sgradevole voce della coscienza

boat















































foto di medicineman








Antonio…



Antonio!


Eh?


Non fare finta di non sentirmi.


Chi?


Cosa chi, lo sai benissimo chi sono.


Ah.


Testadiminchia, solo ah sai dire?


Effettivamente, potrei articolare fonemi più complessi.


Non è questo il punto. Non è questo il punto. E non è questo il motivo per cui ti sto chiamando.


Ah.


Ricominci? Ma ti sei visto?


Si, son un po’ in sovrappeso, ma ho ripreso ad andare in palestra, due volte a settimana.


E poi? Da quant’è che non ti metti tranquillo a leggere? Per non parlare della scrittura.


Già, ma ierisera ho ripreso il libro di Murakami, ne ho letto una ventina di pagine e poi…


Appunto, e poi?


E poi ho acceso la televisione, era tardi, stavo aspettando che rientrasse mio figlio.


E poi? E poi?


E poi e poi. E poi mi sono messo a fare zapping. Va bene, ho chiuso il libro, ma avevo…


Ma, ma, ma , cretino testadicazzo. Ma poi ti sei messo a guardare solo le signorine fruttuose, quelle decerebrate scosciate che sono messe lì in televisione apposta per spegnere i pochi barlumi di luce del tuo cervello, ammesso che quella poltiglia informe che ti sciaborda dentro il cranio possa ancora essere definita un cervello.


Non ce la fai a farmi sentire un pervertito.


Certo, lo sai benissimo che sei un maniaco, un demente pippaiolo.


Ora non esagerare, eppoi pensare un po’ a sé stessi…ma si abbandonare i pensieri, per un po’…


Ma te lo sei dimenticato di quello che dovevi fare? Te lo sei dimenticato, e il tuo comportamento mi fa pensare che tu sia molto più vicino alla demenza senile di quanto possa immaginare.


Esageri sempre, mi sono lasciato un po’ andare, ecco. Mi sono lasciato un  po’ andare, però…


Però cosa. Cosa, cosa, però. Sei un deficiente, come al solito cominci le cose e poi lasci perdere, rimandi, posterghi, archivi provvisoriamente.


Senti, sentitela come è acuta, caustica, eh signori la mia coscienza sale in cattedra, zitti tutti, la mia coscienza tiene una lectio magistralis…


Che difesa! Che difesa! Ora basta, vuoi per cortesia ripetermi quello che mi avevi promesso qualche mese fa? Ce la fai a ricordarlo o ti aiuto io?


Promesso? Io non so promettere, sono un bugiardo cronico e la maggior parte dei miei progetti restano tali, non ho le palle per portarli avanti: eccoqui. Volevi sentirmelo dire? Te l’ho detto, e ora?


Ora basta. Stai cincischiando, accampi scuse e non mi fai nessuna pena. Nessuna. E non credere che mi commuova quando ripeti le accuse che gli altri ti fanno, lo vedono bene quello che stai per diventare.


Veramente…veramente, non è perché lo vedono, ma perché lo credono.


Smentiscili. Zittiscili. A-g-i-s-c-i!


Hai ragione. Ora cerco i file. Ora li rimetto sul desktop. Si. Ricomincio a scrivere il romanzo. Anzi li riprendo tutti e due. E poi.


E poi?


E poi avrò bisogno di isolamento, di concentrazione, di produrre idee, pagine, capitoli.


Come sei pomposo, ma chi ti credi? Tolstoi? Produrre capitoli, pagine…te ne servono duecento, duecentocinquanta, te l’hanno pure detto. Finiscili questi romanzi. E poi vediamo se è il caso di lasciar perdere completamente con la scrittura.


Quindi neanche tu sei sicuro che..,


Coglione. Coglione, io sono la tua coscienza, non un critico letterario. Vai a rompere le palle all’editore, comincia ad attivare le tue conoscenze, datti un tempo, una scadenza, provaci. Provaci almeno. E concentrati. Lo sai che devi fare, vero?


Si lo so. Chiudere con internet, con i forum, con il perdere tempo davanti alla televisione, concentrazione ed isolamento, questo serve. Si questo mi serve.


Bravo. Quando comincerai?


Domani. Domani comincio. Stasera faccio le ultime cose, saluto, saluto i contatti…


Domani, domani, sei il solito, come faccio ad essere ancora la tua coscienza? Ti abbandono, uno di questi giorni. Ecco, domani ti abbandono.


Domani?


Si domani, ciao.































































giovedì 13 novembre 2008

la terra degli uomini rossi (birdwatchers)





Non avevo ben chiaro ierisera, uscendo dal cinema, che tipo di sensazioni e di emozioni mi avesse suscitato la visione del film di Marco Bechis. Poi, durante la notte, ripensandoci, ho capito.

Praticamente non c'è una storia, ma una breve sequenza di eventi, tutti abbastanza violenti. Potrebbe quasi essere uno di quei documentari in cui l'autore fa vedere anche dei retroscena, utili comunque alla comprensione delle immagini.

Facendo le debite proporzioni, in quanto la denunzia viene sentita debole e distante dallo spettatore italiano, potrebbe essere paragonato a Gomorra, per il fatto appunto di essere una non-storia ma una cruda fotografia dello stato di degrado ed abbandono in cui versano gli Indios Guarani, assediati dai latifondisti brasiliani e ridotti a fenomeni antropologici da inserire in pacchetti turistici tutto incluso per birdwatchers europei in cerca di emozioni e di contatto con gli aborigeni. Alla fine, l'urlo del giaguaro, descritto dallo sciamano come l'unico amico degli Indios.



Se l'avete perso a settembre, recuperatelo adesso.

martedì 11 novembre 2008

Blog e nuvole, si ma dove?





blognuvole.splinder.com/







Giusto, giusto, non ho indicato la giusta latitudine del racconto che va al concorso.







Lo trovate qui e si chiama Cosmodromo.







Se magari lo leggete, e ci lasciate (non qui ma ) anche un commento.







Eggrazie.

giovedì 6 novembre 2008

blog, nuvole e nuvole che corrono





qui, proprio qui, ho mandato un racconto breve.

verrà illustrato da bravi fumettisti, e poi c'è pure un 

concorso.

Insomma, andatevi a leggere i 35 brevi finalisti.

Ho scritto brevi, a scanso di equivoci, non bravi.

lunedì 3 novembre 2008

il sogno di Felipe

l'immagine è stata rimossa su richiesta del proprietario geloso.

rappresentava una mustang del 66, in giro di notte con la pioggia.























Il sogno di Felipe dura trentotto secondi.







 Lui nuota, felice, vede una bandiera.








 Poi arriva l'uomo nero e lo costringe ad un risveglio perdente.

giovedì 30 ottobre 2008

urban tales and small people from mars



Immag015



















































(foto di medicineman)





Ok, ho capito Vigile Urbano. C'è lo sciopero, il corteo, gli studenti, le maestre, i professori, i celerini, i fascisti, i comunisti, quelli che non hanno da fare e quelli della digos, perfettamente mimetizzati, tanto che si riconoscono naturalmente.


Sai che faccio, Viglie Urbano? Spengo il motore, abbasso il finestrino e mi metto a leggere il giornale.

Mentre che leggo si avvicina uno, "ho fame dammi due euro". Minchia, penso, l'inflazione corre. Due euro per mangiare, "ma vaffanculo gratis" gli rispondo, e riprendo a leggere.

Suona il telefonino, numero privato. Cominciamo bene penso io, che di solito ai numeri privati non rispondo.

Però oggi rispondo. "perchè non mi ami più, perchè non replichi ai miei messaggini? tuo marito ti controlla?"

"forse hai sbagliato numero" gli dico io. "non sei Marina?". "vaffanculo a te e all'amore" e chiudo la conversazione. Oltre a essere idiota da esserti innamorato, neanche ti rendi conto che la voce che ti ha risposto non è quella flautata e pelagica di Marina, ma quella mia, che magari non sarò basso come alberto lupo, però si capisce ca sugnu masculu, almeno credo.

Riprendo la lettura, sorvolo la politica che ormai fa vomitare, passo direttamente alla succosa cronaca locale, storie di corna e di scambi di coppie fasulli e di politicozzi che mentre si facevano massaggiare dalle signorine poco vestite si dicevano tu devi assumere a quello e tu devi sistemare mio cognato.

Il corteo ancora non è finito, qualche imbecille comincia a suonare il clakson, il Vigile Urbano effettua esercizi di stretching con le braccia verso l'alto, gli studenti e le maestre e i professori e i genitori sono accaldati, si tolgono le felpe e le giacche e si osservano le ascelle sudate.

Una piccola astronave atterra sul cofano della mia macchina, si apre uno sportellino e ne escono due pseudo puffi verdi, che cercano di dirmi qualcosa. Li mando affanculo senza neanche ascoltare quello che vogliono, non è che sono xenofobo, ma mi devo leggere il giornale.




(sessanta anni fa Orson Welles terrorizzò l'America raccontando dalla radio l'invasione dei marziani, temo che oggi non farebbe la stessa impressione, anzi ne sono certo)

domenica 26 ottobre 2008

convenzione interna

room and flowers




















































































(foto di medicineman)





Fuori, piove. Lo so, anche se non mi alzo da questo divano per andare a vedere. Sento il rumore della pioggia, una specie di suono infinito, come il piatto di una batteria colpito dalla bacchetta e che non smette più di vibrare.

Dentro, dentro la camera di questo albergo, dentro questa stanza che è un provvisorio abitacolo, piccolo per una persona sola, quasi insopportabile per due, dentro questa camera c’è una specie di nebbia stratificata, tossica.

In effetti, non c’è nessuna nuvola di gas visibile, è piuttosto un fatto mentale, un’emozione, una certezza assiomatica. C’è e basta. Anche se non si può vedere. Se stringo un po’ gli occhi, vedo gli atomi che fluttuano, fotoni che brillano e si scontrano, li vedo. Basta il respiro di due persone ad intossicare l’aria. Vedo gli atomi che fluttuano, lenti e indecisi. Forse è più corretto dire che li immagino, in fondo sono solo illusioni ottiche, fenomeni derivanti dalla circolazione sanguigna dentro i bulbi oculari, che poi vengono trasformati in informazioni false ed inviati al cervello, che nonostante abbia cose molto più importanti da fare, come mantenere in moto la macchina automatica che mi tiene ancora vivo, riproduce immagini. Immagini di particelle che fluttuano, e che si scontrano e brillano, e prima o poi si poseranno ovunque, sul letto, sui mobili, su di me. Basta muovere la mano, o sbuffare un po’ d’aria fuori dai polmoni, e questi corpuscoli si mettono in moto, vorticosamente, senza nessun rumore, spostandosi da qui a lì, dal tavolo al davanzale, e poi di nuovo sui corpi che abitano la stanza numero 45.

Che poi. Che poi, anche questo numero è solo un modo pomposo di dire. Ci sono solo cinque stanze per piano, e siamo al quarto: quarantacinque, è una convenzione interna, non un dato di fatto.

Anche il rumore della pioggia, non sono certo che stia veramente cadendo giù, potrebbe essere un meccanismo automatico che tiene in movimento l’acqua di una fontana in giardino, quattro piani più sotto. Potrebbe esserci un giardino, anche se ierinotte non l’ho visto. In quasi tutti gli alberghi c’è un giardino interno, con delle panchine coperte di foglie dove non si siederà mai nessuno. Probabilmente l’architetto che ha pensato di mettere delle panchine in un giardino nascosto dentro il cortile interno di un albergo per gente di passaggio credeva che a questa gente avrebbe fatto piacere sedersi sulle panchine, sentire il rumore dello zampillo della fontana, vedere qualche uccello bagnarsi le piume, immaginare un tramonto oltre il muro.

Probabilmente questo architetto non ha valutato il fatto che in questo motel si fermano persone di passaggio, stanche e sporche delle scorie di un viaggio che non è ancora finito, o uomini d’affari soli, a cui serve un letto ed una doccia, ed anche una cena in un ristorante con i tavoli troppo vicini, e in cui il cibo è preparato senza pensare a chi lo mangerà.

O forse il progetto è unico per tutto il territorio, la compagnia ha mandato uno che doveva contrattare il prezzo del terreno, e le convenzioni con l’amministrazione locale, e poi l’impresa di costruzioni ha riprodotto un disegno che è uguale a quello delle altre città, forse dà sicurezza agli azionisti ed ai dirigenti, gli alberghi della nostra catena sono tutti uguali, niente è lasciato alla fantasia, il rischio d’impresa derivante dalla fantasiosa interpetrazione dei direttori e delle governanti è basso, tutto è standardizzato nei dettagli, come le tende color crema, che non si ingialliranno per il fumo e per l’azione dei raggi solari, riducendo i costi.

Tutto standardizzato, un buon sistema per tranquillizzare i manager che hanno troppo da fare, e che nel tempo libero lasciato dalla riduzione delle preoccupazioni potranno andare a giocare a golf, vestiti uguali.

Mi concentro sul rumore di acqua, e di nuovo sugli atomi che fluttuano nell’aria di questa stanza cunicolare. Come ierisera, prima di venire qui, c’erano altri atomi ed altre molecole, e persone che fluttuavano. Dopo un vernissage, e dopo tutti quegli aperitivi, e il fumo, e qualcuno ridendo tira fuori qualcosa da mandare giù, e la offre e tutti dopo sembriamo fluttuare, tra i colori psichedelici delle tele, enormi, appese alle pareti.

E ora le particelle in sospensione si posano sul corpo che ancora dorme.

Ogni tanto ha una piccola scossa, muove un piede nel sonno, poi sospira, poi ritmicamente questa massa respira, facendo muovere su e giù il lenzuolo.

Provo, provo a concentrarmi sulla notte, ma è come se tento di catalogare le sensazioni di adesso, tutto sfugge. Se sono svestito adesso, seduto sul divano, forse ierinotte mi sono spogliato, o forse sono stato spogliato da qualcun altro. Si forse. Forse da quella donna che ancora dorme.

E cosa è successo, mi domando. Mani che toccano, saliva che bagna, lingue che si intrecciano. Dopo, non mi ricordo bene, forse un orgasmo, ma non saprei dire quant’è durato, se è arrivato inatteso, se il fiotto caldo e muschiato si è sprigionato dentro un altro corpo, quello che ancora dorme, se mi sono addormentato subito. Devo aspettare, che le particelle si posino, che i mediatori chimici della trasmissione delle sensazioni si rigenerino, e dovrei anche sapere a chi appartiene quel corpo nel letto, che ritmicamente si alza e si abbassa mentre respira. Per ora, l’unica cosa che mi sembra di percepire con un certo livello di sicurezza è il rumore d’acqua. Potrebbe essere pioggia, dovrò alzarmi per controllare, dopo lo farò.

 

venerdì 24 ottobre 2008

vicky cristina barcelona

 



 


Pioveva, una serata adatta per andare al cinema. Ripresa di stagione, coi soliti amici. "un musical? vuoi vedere mammamia? nooo, andiamo a vedere il film di woody allen, che sicuramente ne vale la pena". Le ultime parole famose. A parte la scelta, discutibile, di raccontare con voce fuori campo una serie di scene che per comprimere i tempi non sono state messe nel film (mio cattivo pensiero), la colonna sonora infarcita di musiche prese dalle compilation economiche di cafè del mar, il film è poco. Le cose migliori sono i dialoghi in spagnolo tra una allucinata Penelope Cruz e un polifemico Javier Bardem che in questa pellicola non sbatte mai le palpebre, sembra finto. E anche la bambolina del cine che mi è tanto piaciuta in altri film, Scarlet Johansson, mi pare che in questo film non reciti affatto. L'amore a tre, ma anche a quattro, a tre meno uno, a due più due... Ora non voglio dissuadervi, ma...

martedì 21 ottobre 2008

good news








Pecorella ritira la propria candidatura a componente della Corte Costituzionale.
Aveva paura di fare la fine del capro espiatorio.

venerdì 17 ottobre 2008

belpaese 2 (di nuovo Gomorra)


 


"voglio una vita, ecco. Voglio una casa. Voglio innamorarmi, bere una birra in pubblico, andare in libreria e scegliemi un libro leggendo la quarta di copertina. Voglio passeggiare, prendere il sole, camminare sotto la pioggia, incontrare senza paura e senza spaventarla mia madre. Voglio avere intorno i miei amici e poter ridere e non dover parlare di me, sempre di me come se fossi un malato terminale e loro fossero alle prese con una visita noiosa eppure inevitabile"


Roberto Saviano


e subito sono arrivate le frasi di circostanza del Presidente della Repubblica e del Presidente del Consiglio. Purtroppo quelle frasi non hanno l'efficacia di un giubbotto antiproiettile o di una vettura blindata. Quelle frasi potranno servire per comporre i coccodrilli.  Non capisco, non capisco perchè nonostante siano stati fatti nomi e cognomi, quella della Campania viene considerata zona franca, in cui lo stato può entrare solo con frasi di circostanza. Adesso ci vogliono i fatti. Perchè un'Italia senza Roberto Saviano è una nazione svuotata, in cui si può solamente sopravvivere e subire le arroganze di chi il potere lo ha preso con la pistola e di chi lo ha preso con il voto.

martedì 14 ottobre 2008

Belpaese

Immagine











Che non è solo quello scaduto e riciclato (accattativillo, vuol dire fiducia...), che poi non sarebbe nemmeno una novità, basta guardare alle norme salva Carnevale, al senatore condannato Totòcuffaro, alla merce di scarto che dai teleschermi strombazza le virtù del Premier.
Per esempio, Belpaese è quello che va alla partita di calcio in Bulgaria e si porta da casa le bandiere con le svastiche e i cori nazisti.
Belpaese è quello che non prenderà sul serio Saviano finchè non lo manderanno in orbita con una tonnellata di dinamite ( nel belpaese è tipico fare morire la gente che ha il coraggio e lo usa, e dopo che l'hanno accoppato intitolargli un aeroporto o un premio letterario).
Belpaese è quello che va in a'merica e si bacia con il pessimo George e gli dice che passerà alla storia: certo, ai libri di storia per avere scatenato una guerra evitabile.
Belpaese è anche quello che da quando il petrolio non costa più centotrenta dollari al barile il gasolio costa ancora un euro e quaranta al litro.
E per te, sconsolato o incazzato lettore di questo blog, qual'è il fulgido esempio di Belpaese?

domenica 12 ottobre 2008

the show must go on




Uno di famiglia, dopo avere organizzato il funerale di mio padre, di mio nonno e dello zio giovane, lo posso considerare quasi uno di famiglia. Assomiglia a Clint Eastwood, quando aveva gli occhi a fessura e teneva una paglia tra le labbra, è anche parecchio più giovane di me, per cui ha buone possibilità di organizzare anche il mio. In fondo, come Clint, questo funeral manager, è un bravo cow boy de noantri.

Un pazzo neonazista, dopo aver progettato l'eliminazione fisica delle minoranze etniche, e dopo aver terrorizzato gli austriaci per bene (ne conosco qualcuno) ha deciso di autoeliminarsi schiantandosi con la berlinona di rappresentanza, che guidava dopo una notte brava, in un night-club. Evidentemente si era fatto contagiare dal mitico Silvio, ma non c'aveva il fisico.

Dopo che l'hanno arrestato, un topastro d'auto a Palermo, e gli hanno perquisito lo scooter con cui si recava al lavoro, è saltata fuori una copia della Divina Commedia. Ha dichiarato di essere stato affascinato dalla lettura televisiva di Benigni. Meglio per lui, al fresco potrà leggersi anche Purgatorio e Paradiso.

C'è una ragazza che vorrebbe morire ma non può. L'invincibile armada ecclesiastica si barrica dietro gli alti torrioni della morale: morirai solo quando il padreterno lo deciderà. Intanto il suo corpo fa prove tecniche di trapasso, povera lei, condannata alla vita.

Buona domenica, almeno spero.

domenica 5 ottobre 2008

guardo la fotografia, ma non la vedo bene


Guardo la fotografia, lì è giovane, posso dire che somiglia al secondo dei miei figli, il dna non mente.


Lo sfondo è il muro della casa di campagna del nonno, con le persiane verdi. Lui ha una cernia bruna sulle braccia, l’animale ha le fauci spalancate, e il suo cacciatore esibisce un sorriso di circostanza, quello di un giovane pescatore subacqueo che ha sorpreso e arpionato un grande pesce nella sua tana.


Se si guarda bene la foto, ci sono pure io. Ho in mano una fetta di pane spalmato di burro, col sale sopra, e nell’altra un pomodoro rosso, raccolto dal nonno. Se la guardo bene (anche se basterebbe girare la piccola foto stampata su carta agfa per leggere la data che qualcuno ha scritto dietro a matita), riesco a ricordarmi che si tratta dell’agosto del 1968. Io indosso una t-shirt bianca, ed i miei primi blue jeans, che erano di una tela dura, forte, con le cuciture di un bel giallo oro, ed i rivetti di metallo brunito. Mi ricordo la marca, e mi ricordo che li avevo visti indosso a quel fratello di mia madre, che poi me li aveva acquistati,  lo stesso che nella fotografia mostra la grande cernia bruna al fotografo.


Erano i miei primi pantaloni lunghi, in qualche modo mi facevano sentire grande, avevo finito la terza elementare, l’estate lunga mi scaldava con i suoi raggi, l’estate di un bambino fortunato, che alla fine della scuola poteva godere di tre mesi di spiaggia e campagna, della vicinanza del nonno, dei genitori, degli zii che erano giovani. Appunto come il giovane della foto, dal quale mi separano diciotto anni. Praticamente un fratello maggiore.


Sposto la memoria più in là, all’estate del 1978: ho preso la maturità classica, un esame devastante, la solita orribile esperienza. Devo prendere la patente B.


Il ragazzo con la cernia sulle braccia è cresciuto, ha messo probabilmente la testa a  posto, mi dice che passerà a prendermi per la mia prima lezione di guida, visto che lui ha una autoscuola, anche se non è vicino casa ma in un paese della provincia. Manca poco agli esami, dico io. Non ci pensare, dice lui, del resto sono sicuro che sai guidare.


Certo, qualche volta sulle trazzere di campagna papà mi aveva messo al volante della fiat millecento color carta da zucchero, con un ostico cambio al volante, ma di sapere guidare non ne ero certo.


Passa a prendermi, scendi con qualche cambio di biancheria, dice al citofono. Ho capito, andrò a stare qualche giorno da lui, così avrò il tempo di prendere confidenza con la guida dell’automobile. Arrivo giù, lui ha le chiavi in mano, me le lancia, guida tu dice lui, va bene dico io, che penso di fare una classica prima lezione di guida di cinque minuti, e invece porto la macchina, che solo per mia tranquillità psicologica ha i doppi comandi, fino all’autoscuola, e per tutta la settimana successiva percorriamo insieme centinaia di chilometri.


Il giorno degli esami metto in atto i suggerimenti dati dallo zio, quando ti siedi avrai l’esaminatore accanto, salutalo, aggiustati il sedile alla giusta distanza dai pedali, sistema lo specchietto interno prima e quello esterno dopo, lo guardi negli occhi e gli chiedi ingegnere dove dobbiamo andare. L’esaminatore si rilassò, dopo che per tutta la mattinata aveva dovuto sopportare rustici  aspiranti automobilisti, mi disse ho già notato i movimenti che ha fatto, facciamoci un giro dove vuole lei, anzi andiamocene al bar sul lungomare che lo zio mi offre un caffè, finalmente mi posso rilassare.


Presi la patente, e dopo di me i miei fratelli ed i miei figli e tutti i cugini e i parenti.


Dieci anni dopo, è il 1988, io ho deciso di incasinarmi defintivamente, chiedo allo zio di farmi da testimone alle nozze , lui mi dice sei sicuro, io dico sono sicuro, anche se non era sicuro che ero sicuro, e dico di si.


 


Stamattina pioveva, ho preso la macchina per andare nella sua casa di campagna, quando sono arrivato mi ha ricevuto mia cugina, lei vive a Berlino, ha in braccio il suo secondo cucciolo, quello che ha la faccia da tedesco. Entriamo nella casa, al muro c’è l’ingrandimento di quella fotografia, la guardo per qualche secondo, poi vado nella sua stanza.


Lo saluto, mi prende la mano e mi chiede se ho visto le sue analisi del sangue. Devo dire una bugia, non le ho viste, io so perfettamente che le analisi e tutto quello che è stato fatto per lui ed intorno a lui è completamente inutile.


Ha la bocca spalancata, come la cernia della fotografia, cerca aria, il cancro gli ha completamente invaso i polmoni. Gli porgo la mascherina della bombola dell’ossigeno, l’appoggia sul volto. Perché non c’è il dottore, dice lui. Verrà più tardi dico io. Più tardi, troppo tardi.


 


Sono tornato a casa, pioveva ancora, guidavo piano, sull’altra corsia dell’autostrada una vecchia auto stava bruciando, la polizia aveva chiuso la corsia e la gente scesa dalle altre auto in viaggio guardava attonita da sotto l’ombrello.


Guardo di nuovo la fotografia, lui, la cernia, il muro della casa, io bambino con il pomodoro in mano.


Guardo la fotografia, ma non la vedo più bene, forse perchè sta nascendo una lacrima


 

mercoledì 1 ottobre 2008

requiem




al capitalismo creativo.
a giorgino bush.
al dollaro.
e pare che anche i petrolieri siano sulla buona strada.

mercoledì 24 settembre 2008

new trends in self-poisoning



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Dice lui, che lavora al pronto soccorso, che se potesse li riempirebbe di botte a scopo curativo. Non ha tutti i torti. E  io che ero fermo alle bevute di oro pilla per dimenticarsi di quella che t'aveva detto di no, e poi sulla panchina a smaltire. Dice che le nuove mode sono essenzialmente di due tipi, una etilica ed una farmacologica. Dice lui che quella etilica è abbastanza scontata, e che tutto sommato in un pronto soccorso di un ospedale di provincia ancora si può gestire. Sperando che nel cocktail non ci fossero anche liquidi strani tipo acquaragia, acetone o liquidi ignoti. E' successo? Si, dice lui, e non a scopo suicidario, almeno non volontario. E l'altra tendenza, dico io? Il venerdi notte comincia il bello, e fa una smorfia, si torcono i baffi bianchi. Vanno a casa di uno, fanno una specie di roulette russa e quello che deve pagare pegno va all'armadietto dei farmaci, bendato, prende il primo scatolo che capita sotto mano e butta giù tutto il contenuto.


Così si capisce l'effetto che fanno le pillole per la pressione del nonno, e tutti gli altri poi lo caricano in macchina, si gira per il paese finchè quello impasticcato non si sente male e allora lo portano al pronto soccorso. Ma che ha preso, dice lui che lavora all'ospedale, area di emergenza. E che ne sappiamo, dicono loro, solo che ci annoiavamo e abbiamo fatto la roulette rossa. Russa dice lui, no rossa dicono loro, come croce rossa, che ci divertiamo tutti.
Passatempi di paese, altro che squartare rane.

sabato 20 settembre 2008

efficenza silviatica




Non si riesce ad eleggere il presidente dell'organismo di vigilanza della Rai.

Però oggi sono state elette le due veline che sculetteranno sul desk di striscialanotizia.

Però le pulzelle erano in microgonna.
E mi sorge un dubbio.
Sono buttane-quindi multabili- quelle che portano sculettando e ancheggiando lascive la minigonna in strada, mentre non si può dire buttana a chi porta la minigonna in tv?
Ecco, la televisione SALVA.
Quello che è reato fuori, nella vita reale, si sublima nella finzione catodica.
Le buttane ora lo sanno, c'è un modo per evitare le noiose multe della buoncostume.
Basterà affittare uno studio televisivo, non un appartamento o un marciapiede, e non saranno più colpevoli di adescamento.

lunedì 15 settembre 2008

ben lubrificato














I MIRACOLI DI SANTO SILVIO




Il primo miracolo fu il lodo Alfano, tramite il quale ha stabilito per legge che non può più essere processato o condannato per nessun motivo.


Poi, Santo Silvio andò dall’amico Gheddafi, regalandogli cinque miliardi di euro (ci si comprano cinque alitalie con quei soldi) in cambio della fine degli sbarchi in Sicilia: i fatti di oggi provano che purtroppo il miracolo è leggermente difettoso.


L’Operazione Alitalia: chiamiamola così. L’Alitalia è (o era) una azienda statale, compagnia di bandiera in cui per una serie di meccanismi perversi, i manager che la hanno affondata hanno beccato liquidazioni miliardarie, in cui i fornitori di cocacola o biscottini sono stati capaci di vendere a prezzi fino a cinquanta volte il prezzo di mercato, compagnia di bandiera che nel bene e nel male ha assicurato i collegamenti lungo la nostra tormentata penisola e con il resto del mondo, riuscendo anche a trasportare milioni di turisti a scoprire quel che ancora resta dell’Italia.


Arrivato al potere, Santo Silvio decide di sdebitarsi con i Furbetti della Cordata, e decide di vendere la compagnia statale. Però compie un miracolo: i debiti resteranno allo stato, e verranno succhiati dalle tasche dei contribuenti. Ricordatevela questa parola: contribuenti. Che bisogna stare attenti a pensare che il debito pubblico derivante dal Miracolo Alitalia si riversi sulle spalle di tutti gli italiani: giammai! Verranno inculati solo quelli che le tasse le pagano, cioè i lavoratori dipendenti.


Dicevamo che i debiti li pagherò io e tutti quelli che le tasse le vedono sparire direttamente alla fonte, in busta paga, mentre la Parte Buona di Alitalia viene regalata ai Furbetti della Cordata.


Costoro però vogliono solo il malloppo, e non possono permettersi di pagare stipendi ai dipendenti e così dicono loro: i vostri stipendi sono fuori dal mercato (falso), non vogliamo pagarli, per cui se volete starci, voi che avete causato la crisi dell’azienda, voi sporchi lavoratori, dovete assoggettarvi ad un taglio minimo dello stipendio del venti per cento. Aspetta aspetta, ma non abbiamo detto che l’azienda era gestita male da manager nominati dalla politica? E che c’entrano i lavoratori?


C’entrano, e sono sicuramente agitatori e comunisti, che ostacolano il salvataggio della compagnia,


Così il fido Fantozzi minaccia: tra ventiquattrore tutti a terra per colpa dei sindacati. Aboliamoli, stì sindacati, e torniamo al Fascio dei Lavoratori; come? Persino Gianfranchino Fini ha abiurato? Fa niente, ci sono altri validi mentòri del periodo.


Quindi, il miracolo di Santo Silvio consiste nell’apparire il salvatore con la collaborazione dei Furbetti della Cordata.


Asino chi ci crede. Tutti asini.


A proposito di asini; tutti così li vuole i nostri figli, nostro Signore delle Emittenze, Santo Silvio da Arcore, tramite la mediazione della sua ministressa Gelmini: riduzione del numero delle ore scolastiche, che a scuola i bambini si annoiano e non hanno tempo di vedere tanta buona televisione da cui venire simpaticamente educati al Cafonismo Nazionale ed al Consumismo di Marca Obbligatorio. Non basta ridurre le ore? Ma sì, ragazzi miei, tagliamo anche un anno delle superiori! Basta con questi noiosi anni di scuola, il Paese ha bisogno di manodopera ignorante e manovrabile, lo studio e la cultura fanno male, anzi malissimo. Perché il più grande pericolo che corre chi ha studiato e riesce ancora a fare funzionare il cervello è che si accorga che il piffero suonato da Santo Silvio da Arcore è taroccato, e a poco a poco si trasformerà in un lubrificato fallo da piantare nel culo del contribuente (per chi non se lo ricordasse, il contribuente è quello che paga le tasse, non quello che le evade: chi le evade manderà i figliuoli alle scuole private, nelle università a  pagamento e otterrà il diritto di far parte della nuova classe dirigente, poveri noi). Tengo a precisare che questo genere di divertimento sessuale non mi divertirebbe per niente.


 


This is the end, beautiful friend


This is the end, my only friend


The end of our elaborate plans


The end of ev'rything that stands


The end


No safety or surprise


The end


I'll never look into your eyes again


(jim Morrison)

lunedì 8 settembre 2008

meglio tardi



antegatto e postgatto



 



questo lo spiego dopo.


























Madrilista



Prima parte della vacanza. Che non me lo immaginavo proprio. Temevo di andare incontro ad una città pomposa, tutta compresa nel suo ruolo di bomboniera monarchica. 



madrid 2



Invece no; dove sorgono edifici di fantasiosa architettura, spesso si legge “qui c’era la chiesa dei santi pinco e pallino” che siccome non se li filava nessuno è stata abbattuta e al suo posto c’è stò palazzone, che tanto se tra qualche decennio ai madrileni non piace più, un po’ di tritolo e lo buttano giù e ci fanno magari uno zoo o una piscina per anziani poveri convalescenti.



madrid 3



M’è piaciuta la metropolitana, le strade pulite, i ristoranti tipici, anche il caldo m’è piaciuto, che era secco e non faceva sudare. Poi, dopo qualche giorno, è caduto un aereo di potenziali bagnanti, e un po’ di dolore l’ho sentito anch’io, che di quell’enorme aeroporto mi ero beato. Tranne il fatto che l’aereo che arriva e parte da Palermo lo imbarcano da una specie di corridoio segreto, di quelli da dove possono passare solo irregolari e fantasmi.



madrid 6



Siamo entrati (e poi ci siamo tornati) in un ristorante asturiano, vicino la Puerta di Toledo, e siccome non capivamo niente della lista dei cibi uno dei camerieri ha capito la difficoltà e si è avvicinato, dicendoci che ci mandava il chico italiano, che poi ci ha spiegato: “qui si mangia in compagnia, dalla stessa padella e dalla stessa pentola, ordinate una cosa per volta, e vedrete che vi riempirete la pancia”. Infatti, con le raciones ci si mangiava in quattro, e poi restava voglia di assaggiare ancora qualcos’altro. Se passate da quelle parti una puntatina alla sidreria “la burbuja que rie” fatevela. E se proprio vi va di essere esotici, ordinate il sidro, che necessita di una mescita acrobatica, che da sola vale la spesa; altrimenti meglio la birra o il vino. Ma si, va tutto bene quando si sta tra gente accogliente. E poi, tra tutti quei Lopez e Fernandez e Rodriguez mi sentivo a casa.



 madrid 5



Trenta giorni di mare



Senza meduse, non se ne sono viste, e allora nuotate amniotiche, che ho ancora i seni paranasali pieni d’acqua salata, e bracciate sott’acqua tra le castagnole e le piccole occhiate. Però qualcuno mancava, ci sono stati dei giorni irreali, come se nulla fosse successo, come se l’equilibrio fosse ancora mantenuto. Il fatto che mi preoccupa e che comincio a conoscere un certo numero di vedovi e vedove miei coetanei, si vede che sto invecchiando.



 



Appuntamenti inevitabili



Con le persone che non si vedono per trecentotrenta giorni, fino all’agosto successivo, con quelli a cui viene voglia di dirlo, che non importa la frequenza e la presenza, siamo amici anche se ci parliamo ormai solo due o tre volte sulla spiaggia o al belvedere.



Con la casa, il giardino, gli alberi che crescono, qualcuno si dovrà tagliare per fare posto a qualcun altro che vegeta più impetuosamente, con la necessaria inevitabile manutenzione; lo scorso week-end ho finalmente riparato un avvolgi tubo cannibalizzandone un altro che si era rotto un paio d’anni fa e che-prudentemente-non avevo ancora buttato.



Con i tramonti, con i pensieri del dopo cena, con la domanda quanto durerà ancora, con le zanzare e gli uccelli notturni, e con la vendemmia, anticipata come sempre, e dimezzata da gazze e colombacci. Ho già in programma l’acquisto di una carabina a piombini per fare in modo che le cento bottiglie previste l’anno prossimo si riempiano davvero, di chardonnay e pinot grigio, torrefatti nella vigna che si calcina a sud, davanti alla casa.



Con le visite al cimitero, dalle quali ritorno sempre con l’urgente necessità di un collante emotivo, dato che a guardarli, i nomi ed i volti mi fanno sentire incolmabile e definitiva la mancanza dell’intera famiglia di mio padre. Ti porterò le rose del mio giardino, anche se so che i fiori non ti piacevano.



 



Musica, musica.



Chissà chi contatta i manager dei gruppi che si presentano all’Ypsigrock, quest’anno erano più di un paio i nomi di rilievo, a suonare nella piazzetta davanti al castello medievale.


art brut



Art Brut, rumorosi, dissacranti, la macchietta rock di Brian Ferry e compagni, e la sera dopo i DeUs, dei quali le radio FM quest’estate hanno mandato una hit in heavy rotation, facendo pensare al popolo italiano intero che loro siano dei sofisticati musicisti pop; siccome che Tangerine me li aveva amichevolmente consigliati, li conoscevo per quelli che sono, cioè dei tosti rocker di un paese dove il rock manco te l’aspetti, infatti vengono dal Belgio. Bravi, cento minuti spesi bene, che neanche loro ci credevano, e continuavano a ringraziare la Sicilia e l’Italia. Li avranno soffocati di mare, vino e sole, così imparano a vivere a Bruxelles.


DeUs



 













Ritorno alla normalità?



Praticamente, come già descritto, domenica 31 siamo tornati in città, lasciandoci dietro la sensazione di trenta giorni passati troppo velocemente, e la mattina presto dell’1 settembre ero in aeroporto, poco dopo scodellato a Firenze per una simpatica riunione tra colleghi di lavoro. Ovviamente non potevo fare a meno di fare quello che mi riesce meglio, cioè spiare il prossimo in aeroporto, o godermi le gesta dei passeggeri latitanti nello schiumoso vuoto emotivo che accompagna i viaggi aerei con risicate coincidenze.



Al ritorno da Firenze, un procione viaggiatore camuffato da magra donna presumibilmente dell’est Europa ha sgranocchiato, pescandole da un sacchetto di cellophane trasparente, un numero impressionante di mele e pesche. Forse si stava preparando al letargo, e quando è passata la hostess per il micro rinfresco che ancora Alitalia (ancora per poco, poveri i miei punti millemiglia che finiranno dissipati nel niente, come un peto di Tremonti) graziosamente somministra, la prociona non ha capito nulla, ha afferrato una bottiglia di cocacola e messo le mani nel cassettino con gli snack, e non c’era verso di farglieli restituire.



Menomale che l’hostess era di buonumore, e se l’è presa a ridere (pure io me la sono presa a ridere, per solidarietà con l’hostess) nonostante che, temo, perderà il posto. La mia vicina di posto plantigrada ha continuato a rosicchiare salatini e biscotti per tutto il viaggio, accompagnando il bolo con ampie sorsate di cocacola, e quando è ripassato il carrello-cestino ha buttato dentro pure quegli snack che non era riuscita a mangiare. Poi, ha ruttato in maniera composta, coprendosi la faccia con un fazzoletto di carta. Ecco il bello di viaggiare, si imparano usanze sempre nuove.



 



Questo lo spiego dopo


eccomi che lo spiego:



Siamo stati adottati, da lei.


gatta pollina


Grande mangiatrice di croccantini e lucertole, dispensatrice di fusa a tonnellate e strusciamenti sulle gambe, e contenitore ambulante di coccole a tempo: scaduto il tempo dissuadeva i coccolatori con precise unghiate, tipo freddy krueger, che ne portiamo ancora tutti i segni sulle mani.



Ma si sa, i gatti di campagna non vanno tanto per il sottile, e non sono avvezzi alle mollezze dei gatti cittadini.



Tanto, in città, al b&b della med-moglie, siamo stati adottati da un gatta’altra, pazza come una tempesta tropicale in scatola di montaggio, che si presenta solo se le si fischia (il muci-muci con cui si chiamano i gatti siculi con lei non funziona) e che per fare le feste preme con i cuscinetti delle zampe sulle mani e mordicchia, è di modi più urbani anche se inconsueti.



Ecco spiegato l’Al Stewart d’antan. Se proprio devo dargli un nome, questo me lo ricorderò come l’anno dei gatti.