lunedì 28 dicembre 2009

gran rottura di palle dalla russia (elena, smettila)









 Come dicono in molti, magari dallo spazio profondo qualcuno ci manda email, che sono il mezzo di comunicazione più diffuso sulla terra (grazie, amici spammers), ma sicuramente i nostri antivirus li scartano, gli antispam li cestinano, noi non li leggiamo mai. Invece, da due anni stà stronza sovietica continua a mandarmi ( e la manda a migliaia di altri stronzi dotati di posta elettronica) la stess lacrimosa lettera, che allego. Mi domando: quanto pensa di incassare, l'autore di questo natalizio raggiro?



Elena scrive:



Salve,



Il mio nome e` Elena, ho 33 anni e vivo in una provincia in Russia. Io

lavoro in una libreria e posso usare computer dopo il mio lavoro, quando

possibile. Ho trovato il vostro indirizzo in internet e ho deciso di

scrivere questa lettera.



Ho una figlia - che e` di 8 anni, suo padre ci ha lasciato e viviamo

insieme con mia madre.



Come risultato di una profonda crisi finanziaria che mia madre

improvvisamente perso il lavoro e la nostra situazione e` diventata

molto difficile.



Prezzo del gas e dell'elettricita` sono molto costosi nella nostra

citta` e non possiamo usarlo per riscaldare la nostra casa piu`.



Il clima e` molto freddo qui gia` e la radio dice che la temperatura nella nostra regione saranno fino a meno 25

gradi Celsius, alla fine di questa settimana. Siamo molto paura e non

sappiamo cosa fare.



L'unico modo possibile per noi, per riscaldare la nostra casa e` quello

di usare legna portatile forno, che forniscono il riscaldamento dal

legno che brucia. Abbiamo abbastanza legno nella nostra provincia e

questo calore del forno la nostra casa tutto l'inverno per il prezzo

minimo.



Purtroppo non possiamo comprare questo forno nel nostro mercato locale

perche' il suo prezzo e` equivalente a circa 191 Euro e non abbiamo una

tale quantita` di denaro.



Ho deciso di fare appello a voi con una preghiera nel mio cuore per un

piccolo aiuto. Se avete qualche vecchio forno a combustione portatile in

legno e se non si usa piu`, saremo molto grati se potete donare a noi e

di organizzare il trasporto di questo forno al nostro indirizzo (175 km

da Mosca). Questi forni sono diversi, hanno fatto di ghisa e peso 100

kg.



Per favore fatemi sapere se potete aiutare e scrivero` il nostro

indirizzo di casa.



Da tutto il mio cuore vi auguro un Buon Natale. Mi auguro che il Nuovo

Anno 2010 vi portera` Hapiness e tutti i tuoi sogni!



Elena e la mia famiglia.



PS. Ho tradotto questa lettera con il traduttore di computer e per favore

di rispondere in inglese, perche' 'ho studiato l'inglese a scuola

e io non conosco la lingua italiana. Se si risponde in italiano,

«Non saro` in grado di capire voi e risposta alla Sua lettera. Graz
ie.



Elena, o chi per te, non lo sai che hai rotto?

sabato 26 dicembre 2009

postnatalizio post









Eccerto,  eccerto, dopo la massima carica governativa, la massima carica religiosa. Andranno in vacanza insieme, i due feriti di stagione. Che meraviglia, che coincidenza, che partitura celestiale, che regali sotto l'albero. Meglio cambiare argomento, che questi due mi fanno venire la colite.

A qualcuno è venuta la fregola di farmi spostare da Palermo, ricca di alberi di natale di munnizza, per trascorrere tre giorni importantissimi a Modena. Che sono stato pure fortunato. Io speravo che lunedì mattina il volo Pa-Bo, dopo i caos siberiani del weekend venisse annullato, ed io me ne potessi tornare a casa. Invece no. Volo perfetto. Lo stesso al ritorno, o quasi. IIn perfetto orario siamo stati stipati, come sardine volanti, e aspettavamo solo di decollare. Invece le porte della supposta con le ali non si chiudevano, è salito un sosia di Shrek che ha detto sottovoce (ma neanche poi tanto) all'assistente di volo vicina alla cabina di pilotaggio che in quell'aereo c'era un passeggero in più. Senza autorizzazione del comandante non si sarebbe decollato, a meno di non riuscire a far scendere il passeggero in più. La stronzata l'aveva combinata la biglietteria, con un minimo overbooking, però quando hanno chiamato il passeggero in più, una mamma con due picciriddi attaccati al collo, il marito, fieramente terrone come me, ha detto che piuttosto di far scendere la moglie, provvista di regolare biglietto ed efficace carta d'imbarco, avrebbe spaccato tutto. Io mi sentivo combattuto tra la voglia di aiutare il conterraneo nella sua intenzione devastatoria e tra il desiderio di arrivare presto a casa ed amen. Alla fine si è trovata una soluzione, in una trattativa diplomatica ad alta tensione si è individuato un padre con figlio piccolo che aveva comprato due biglietti, gli è stato offerto il rimborso del biglietto del cucciolo in cambio della possibilità di far sedere il passeggero in più, che in piedi non poteva volare. Se lei tiene il bambino in braccio, ha detto il caposcalo, le rimborsiamo il biglietto, e questa dannata diligenza volante potrà partire per Palermo. Miracolosamente, ha funzionato. Arrivato in vista delle coste siciliane, lo scirocco ha shakerato un pò i passeggeri, però siamo arrivati, in africa con 24 gradi.

Che ho trovato sotto l'albero? Libri, ho chiesto libri, a tutti. E libri sono arrivati, così non dovrò neanche esercitarmi nella nobile e proficua arte del riciclaggio del regalo sbagliato. Buon postnatale a tutti.

lunedì 14 dicembre 2009

schifoso dietrologo







Ecco, qualcuno penserà che sono appassionato di sesso anale. Ma non è così. Sono uno schifoso dietrologo, nel senso che quando vedo sangue e gesti barbari, mi viene da pensare sempre "cui prodest?".

Il dietrologo allora sale, anzi salta, in cattedra. a quattro mani, che il dietrologo è sempre curioso e dannoso come una scimmia. Come un gorilla di stazza media, nel mio caso. (a proposito, che facevano ieri i corrucciati gorilla auricolarizzati del premier? sorbivano una cioccolata calda al Bar Motta?)

Secondo me, e chi perdona i peccati di pensiero mi perdoni (o no, me ne frego), il souvenir non è una via d'entrata nella spirale di violenza anti mister B, ma la via d'uscita. Ecco, la via d'uscita. Che siccome si capisce da un pezzo che le rotelle non gli girano più col turbo come una volta, qualcuno gli avrà detto: non ti dimettere, faresti una figura del menga, ma. Ma, se si tratta di sicurezza personale, puoi farti da parte. C'è un grande centro pronto a raccogliere quello che Mr. F sta zappettando da un bel pò. Quindi, Mr. B torna ad occuparsi solo (magari...) degli affaracci suoi, segnato irreparabilmente dal vulnus facialis, mentre Mr. F con Mr. C e Mr. R si fanno un bel grande centro biancogrigio, e amen.

E la lega,se lo piglia nel c. Ah, maniaco che non sono altro! Dietrologo!

domenica 6 dicembre 2009

no b day, no c day e no t day









                                                              















che mr. B non mi sia simpatico, lo sanno pure i miei gatti. Ecco perchè da un pò di tempo evito di citarlo.







Anzi se cominciassimo a dimenticarcene tutti, calerebbe una specie di sipario (o sudario) mediatico. Invece no, il parlapartito parademocratico non perde occasione per nominarlo, l'antipatico mr. B. E basta, invecchierà pure lui, e già si vede, che buchi in faccia che ha.







aggiornamento: uno è stato condannato e l'altro no, indovinate chi . Detestano però entrambi i giudici. Poveretti. Loro, non i giudici ovviamente.

martedì 17 novembre 2009

figghia di buttana (V parte)



Nella mezzorata successiva venni a conoscenza del fatto che Mimma era rimasta incinta dieci anni prima, che aveva partorito a casa sua, nella via Montegrotte, che l’aveva aiutata la madre e la negra della porta accanto “stà zafara niura, si mise d’accordo con una strega per rubarmi la picciridda, ma l’acchiappai e ci stoccai le gambe” aggiunse Mimma.

Scoprii anche che Rosalia non era stata registrata all’anagrafe, non era mai stata vaccinata, non aveva preso nessuna malattia, non andava a scuola che tanto era tempo perso e che mangiava quello che capitava “io travagghio, non ho tempo, mia madre è quello che è, non dava a mangiare a me e a mia sorella poteva dare mai a mangiare a mia figlia?”.

La madre russava come un cinghiale asmatico, per svincolarmi promisi a Mimma che sarei tornato nel pomeriggio a cercare Rosalia, e le domandai a chi potevo chiedere informazioni su dove rintracciarla. “ e che ne so, a casa torna, per dormire”.

Mi appuntai mentalmente il fatto che avrei dovuto richiamare l’assistente sociale ed incaricarla di cercare la sorella di Mimma, che faceva la bidella a Partanna, era maritata con un gommista e non si vedevano da prima che nascesse Rosalia. “quella si scurdò di noi, si chiama Mezzacasa Franca, ditecelo voi che sua sorella sta morendo in un tinto letto d’ospedale”.

mercoledì 4 novembre 2009

figghia di buttana (IV parte)

La porta del basso era semiaperta, ma l’interno del locale era buio. “Scendi con me, entriamo”gli dissi, e Michele ribestemmiò qualcosaltro in bagherese, ma mise la Vespa sul cavalletto, inserì il bloccasterzo, mi seguì strascicando i piedoni.

Il fondaco era deserto, c’era un bazar di rottami accatastati, brande sfatte, un tavolo ingombro di residui alimentari, dietro una tendina qualcosa la cui funzione poteva essere assimilabile ad un cesso.

Dalla porta si affacciò Michele, “Mario, qua ci sono due che ti vogliono parlare”. Minchia, guai, pensai subito. I due che mi volevano parlare più che altro volevano sapere che schifio facevo nella casa di Mimma. Inspirai profondamente, e parlai guardando negli occhi quello corto, che mi pareva più disposto ad ascoltare, mentre il lungo tentava di tenere Michele per il braccio, e Michele tentava di scuotere via la presa del lungo.

“quindi Mimma ce l’avete ricoverata voi all’ospedale” disse il corto, che sembrava avere capito il mio racconto. Approfittai del calo di tensione per chiedere dove fosse la figlia di Mimma. “la figlia? Ah Rosalia vuole dire, Rosalia è qui in giro, ora torna sicuro, chista è a sò casa”. Il lungo perse l’interesse al braccio di Michele e se ne tornò fuori nella strada, ed io domandai al corto se lui fosse un amico, un parente “e che sono parente di una buttana, io?” rispose schifiato il corto. Uscimmo tutti sulla via, dove l’aria gravida degli scappamenti degli autobus piantati nel traffico impazzito delle due e mezza era sicuramente più respirabile di quella del catojo di Mimma.

Restammo ad aspettare un’orata sana, poi Michele mi comunicò che si era rotto i cabbasisi di stare sul marciapiedi.

“io me ne vado, tu che fai, torni con me che ti lascio al parcheggio dell’ospedale oppure resti qui a sorvegliare questa tana?”  

Siccome avevo un sacco di cose da fare, mi rimisi la scodella in testa e salii sulla sella della vespa, Michele partì staccando la frizione in quel modo che significa “passeggero indesiderato”.

L’indomani arrivai prima del solito in ospedale, strisciai il badge sotto lo sguardo liquido del portiere di notte, che dormiva con gli occhi aperti, entrai in reparto, indossai il camice e mi diressi nella stanza dove avevamo ricoverato Mimma. La madre era sempre lì, spalmata sulla sdraio, con un filone mezzo mangiato in grembo, e la testa appoggiata al muro. Mi avvicinai al letto, Mimma era sveglia, aveva la febbre di sicuro, tremava e sudava.

“a truvò a picciridda?” mi disse subito, non appena entrai nel suo campo visivo. “Signora, dobbiamo parlare cinque minuti” e mi piantai ai piedi del letto, in modo che capisse che di lì non me ne andavo se non mi avesse detto tutto.

venerdì 30 ottobre 2009

figghia di buttana (III parte)

Mimma mi strinse il polso con una forza che non pensavo potesse esprimere, dopo una settimana di coma. “mia figlia, dov’è mia figlia”, disse con un rantolo roco. Guardai la vecchia accanto al letto, che continuò impassibilmente a rosicchiare grissini.

“Ora mi informo”, risposi con evidente imbarazzo. Mimma sembrò accontentarsi della risposta, liberò il mio polso dalla stretta, e si abbandonò sul cuscino, lamentandosi piano.

Telefonai all’assistente sociale. “Te la ricordi quella che abbiamo ricoverato in coma, Mimma, Mimma la buttana? Ma ci siete andati a casa? Vi siete informati bene all’anagrafe?”

Enza, l’assistente sociale era una che bastava poco a farla irritare, e mi rispose con voce acida che tutto quello che c’era da fare era stato fatto, e non risultava niente, nè a casa nè all’anagrafe.

“Mimma mi disse che ha una bambina, sì una figlia, e ora vuole sapere da noi dov’è”.

“Quella è pazza” sentenziò Enza “la malattia le ha squagliato il cervello”.

Chiusi la comunicazione, restai a guardare il telefono e la finestra, poi decisi che dovevo fare qualcosa, anche per evitare che quella si rimettesse a fare casino in reparto. Se però avessi avuto Enza tra le mani, l’avrei strangolata.

Alle due meno dieci arpionai Michele, un collega appena arrivato, che sapevo possessore e conducente di una vespa rallye, e gli intimai “accompagnami da una parte”, sfruttando il carisma inevitabile del collega anziano.

Michele bestemmiò qualcosa in bagherese stretto, ma non riuscì a sottrarsi; del resto non gli conveniva, mi doveva almeno un paio di favori, avendolo sottratto alle ire del primario dopo alcune sue non proprio felici intuizioni diagnostiche.

Timbrammo il cartellino alle quattordici precise, per non correre il rischio di regalare qualche prezioso minuto all’ingrata amministrazione dell’ospedale, e poi Michele serpeggiò nel traffico fino alla via Montegrotte.

“Ferma, ferma, è qui” gli urlai da sotto il casco, Michele inchiodò, la vespa si arrestò cigolando.

venerdì 23 ottobre 2009

figghia di buttana (seconda parte)





(immagine di Aapo Rapi)



Una settimana in coma era rimasta, e la madre non si era mai allontanata dal letto della figlia, consumava il pasto lì, nonostante i rimbrotti delle infermiere, che però a poco a poco smisero, tanto la vecchia non parlava, non si muoveva, non chiedeva niente.Poi, dopo una settimana, la donna si risvegliò dal suo stato di incoscienza, le infermiere le sistemarono meglio il letto, le tolsero i sondini per l’alimentazione artificiale, le diedero da mangiare.Mentre inghiottiva voracemente la pastina, Mimma si fermò col cucchiaio a mezz’aria.

 “La picciridda”.

La madre restò impassibile sulla sua sdraio.

“La picciridda”, disse di nuovo Mimma. La parente di una paziente ricoverata nel letto accanto a quello di Mimma si voltò, facendo una smorfia con la bocca sibilò “ma quale picciridda, qui picciridde un sinni vittiru”.

Mimma fece cadere il piatto con la pastina a terra, alzò le mani al cielo e poi buttò una voce acutissima “la picciriddaaa!”. La madre restò di legno, i parenti degli altri pazienti si murmuriarono, una più battezzata degli altri si avvicinò, le prese una mano tra le sue, le disse “non gridare, che gli altri malati si scantano, capace che ne muore qualcuno, ma di quale picciridda parla, qui picciridde non se ne sono viste”.

Mimma sembrò non sentire quelle parole, e continuò a urlare, finchè il trambusto non richiamò le infermiere ed il medico di guardia. Il medico di guardia ero io, e per evitare che quella facesse ancora bordello e invitasse pure gli altri ricoverati a gridare per qualche motivo, presi una siringa contenente un sonnifero ad azione rapida e mi avvicinai al letto per iniettarglielo nel catetere che collegava la flebo al braccio.

“dottore, dottore”, Mimma mi artigliò la mano, “dottore mi facissi parlare, ci devo dire una cosa”. Mimma era rauca, le guance incendiate. Mi misi la faccia del medico severo: “parli subito, ma l’avviso, che se si mette di nuovo a gridare, l’addormento finchè non la dimettiamo”.



(2-continua)

domenica 18 ottobre 2009

figghia di buttana



(immagine di aapo rapi)



Era arrivata in reparto in condizioni disperate, affetta da  insufficienza renale acuta, causata da una infezione non curata. L’accompagnava una vecchia, dai capelli color ruggine tutti arruffati, lo sguardo perso, rispondeva solo sì e no. Scoprimmo presto che la vecchia era la madre della donna ricoverata. Si piazzò sulla sedia a sdraio lurida che si era trascinata dietro e non si mosse più dal letto della figlia.

Avevo domandato al tipo che l’aveva portata, praticamente trascinandola, in ospedale, se lui fosse un parente, ma quello aveva risposto no, e poi, schifato, aveva detto “e che sono parente di una buttana io?”.

Come si chiama, gli avevo chiesto. Mimma, aveva risposto quello. Mimma come? Mimma la buttana aveva ribattuto il tizio. Ma non ce l’ha un cognome, avevo insistito. Non lo so, nel rione la conosciamo tutti così, Mimma la buttana.

Una buttana. Alla via Montegrotte la conoscevano tutti, andava via appena il sole tramontava e tornava a casa, se ci tornava, a giorno fatto, si chiudeva in un magazzino lurido, la madre metteva una sedia davanti alla porta e restava lì tutto il giorno, ad intossicarsi di smog e sigarette. Avevo provato a chiedere alla vecchia altre informazioni, ma era inutile, quella il cervello se l’era fottuto molto tempo prima, rispondeva sì se le si chiedeva se aveva sete o fame, rispondeva no a tutte le altre domande, non rispondeva per nulla se la si interrogava sulla vita della figlia, o su dove abitassero, o su cosa facessero per sostentarsi. Allertammo i servizi sociali, Mimma non aveva parenti in città, una sorella conduceva una vita normale in un’altra regione e non fu sorpresa di sapere che Mimma si trovava ricoverata in gravi condizioni. “Non ci sentiamo da vent’anni” mi disse al telefono, “lo sapevo che faceva una malafine”.



(1-continua)

lunedì 12 ottobre 2009

linee aeree puffe e gli occhi di vent'anni (che non ho più)



Linee aeree Puffe



Me lo dovevo proprio immaginare. Appena ho visto quell’aereo dipinto di blu, ho capito. Infatti, il signore seduto. Anzi, meglio dire incastrato, nel sedile. Dunque, il signore incastrato nel sedile accanto a me ha cominciato subito a lamentarsi. E aveva ragione, l’aereo era blu perchè era quello delle linee aeree Puffe.



Sissignore, i Puffi avrebbero viaggiato benissimo , ma esseri umani di taglia normale sarebbero stati in grandi difficoltà, proprio come il signore seduto accanto a me, dall’alto dei suoi 197 cm, ed anch’io, dal basso dei miei 175 cm di statura.



Il signore accanto a me era un giornalista tedesco, uno di quelli che ha studiato in italia, affascinato dalla romanità, ma che mi ha dovuto confessare che, dopo essere tornato in Italia per lavorare come corrispondente della televisione tedesca, “più tempo passo in Italia, meno la capisco...”.



Petit France a Strasburgo e il figlio lontano.



sera a strasburgo

























































(foto di medicineman)



Strasburgo, molto meglio di quanto mi fossi immaginato. Piccola, ma non provinciale, un gran numero di giovani in giro, anche la sera, quando solitamente nelle città di provincia, specialmente se il clima non aiuta, tutti restano tappati a casa. A Strasburgo sabato sera, dopo l’impegno del congresso (non parlo ai congressi, semplicemente mi piazzo allo stand della società per cui lavoro e alleno il sorriso e l’inglese, oltr a fornire spiegazioni rilassanti su come siano buoni i farmaci che stiamo propagandando) mi ha raggiunto mio figlio. Già, a fine agosto, quasi a tradimento, è partito per fare l’Erasmus in Francia. Non sapevo che avesse queste intenzioni finchè non ci ha comunicato che era stato accettato nel programma e che sarebbe venuto a vivere in Francia per qualche mese. Sabato sera siamo stati insieme, siamo andati a cenare in un ristorante carino, non eravamo soli, lui ha dato a tutti l’idea di essere uno con le idee chiare, un bravo ragazzo studioso insomma. Non è solo un’idea, corrisponde abbastanza alla realtà.



Ho noleggiato una macchina in aeroporto, appena arrivato, avevamo concordato, col figlio, che lo avrei riportato in auto nella cittadina della regione remota in cui si trova la sua università. E così abbiamo fatto.



Il giro è stato un pò lungo, abbiamo attraversato quattro nazioni, sperimentando panorami differenti tra Francia, Belgio, Germania, Lussemburgo. Arrivati in Lussemburgo (la visita della capitale è un pò deludente, in meno di un’ora si vede tutto il centro) siamo stati accolti dal granduca che è arrivato con la sua macchinona ed un autista a presenziare ad una cerimonia militare; la banda era un pò scalcinata, non quello che ti aspetti di vedere in una delle capitali dell’esportazione di valuta, ma tant’è.







arriva il granduca

































(foto di medicineman)



colori autunnali









































(foto di medicineman)



Poi finalmente, dopo un lungo viaggio piovoso, siamo arrivati a destinazione. Ho sentito una strana sensazione di disagio, e non era il clima. Dopo che ho visto l’alloggio cubicolare in cui passerà i prossimi mesi, il cuore mi si è ristretto, come dopo un lavaggio in lavatrice col programma sbagliato. Mi sono chiesto perchè ha voluto punirsi abbandonando le comodità domestiche, le amicizie consolidate, l’uso di tutto quello che può servire ad un ragazzo di vent’anni , trasferendosi in un posto triste, alloggiando in una tana triste, condividendo con altri ragazzi uno spazio comune che sembra la sala d’aspetto di una stazione ferroviaria periferica, in cui l’unico conforto è indossare un auricolare e connettersi con skype agli affetti rimasti altrove. Da una parte i ragazzi e le ragazze europei, dall’altra quelli con problemi religiosi. Si, ho scritto bene, quelli con il problema di essere musulmani.



Forse, è colpa mia, che non ho più gli occhi di quando avevo vent’anni. Sicuramente è colpa mia.



Nel frattempo non ha smesso di piovere, avevo un lungo viaggio di ritorno, per reimmettermi nella routine delle mie attività paracongressuali, mi sono rimesso in auto, il mio viso si è bagnato, e non era pioggia.







a proposito di pioggia, oggi mentre aspettavo di decollare è passata una tromba d'aria sull'aeroporto di Fiumicino. Ho immortalato l'arcobaleno smagliante spuntato subito dopo.



dopo la tromba d





















































(foto di medicineman)



martedì 6 ottobre 2009

sabato 3 ottobre 2009

confesso, ebbene sì





Ebbene, confesso di avere abboccato pure io. Finora, mi pare che non serva a nulla. Ho rovistato negli scatoloni della memoria ed ho tirato fuori persone che di me non si ricordano. Meglio così. E'un pò tossico? Forse, vedremo. Intanto la mia faccia è qui .

martedì 29 settembre 2009

la merica e lo psicoshop





brooklyn bridge bn

































(foto di medicineman)



Dunque, lo psicoshop. Che secondo me ci hanno studiato insieme psichiatri, psicologi del comportamento giovanile, esperti di qualcosa e grandi figli di b*.

I miei pargoli mi avevano avvisato "sulla quinta c'è stò posto, ci dobbiamo andare per forza".

Vabbè, mi sono detto, ci andremo.

Arrivati nei pressi noto una fila, una lunga fila di teenager, molti accompagnati dai rispettivi portatori di portafoglio. Una cosa che mi ha colpito è stata il fatto che chi era in fila aveva già pacchetti al polso con il nome di codesto negozio, "sono recidivi" ho pensato subito.

Da fuori, non si vedeva un accidente, le vetrine sono perennemente sprangate da assi di legno che danno l'idea che stai per entrare in un baraccone. Man mano che ti avvicini senti prima la musica ; non semplice musica da discoteca bum=bum, ma un certo sound sofisticato, a volume sostenuto, però si capiva che lì dentro non ci saremmo assordati.

La seconda cosa che ho notato, anzi che ho percepito, è stata il profumo. Dall'ingresso del negozio promanavano ettolitri di
fragranza della casa, per cui già la testa cominciava a girare un pò.

Dunque siamo arrivati nei pressi della soglia, siamo entrati e la terza cosa che ho notato è stata che tutti ti salutavano come se ti conoscessero da tempo, molti ti toccavano anche, le braccia, il torace, le spalle.

"cominciamo bene" ho pensato, ed ho notato una quarta cosa; tra il personale del negozio non c'erano adulti, erano tutti più o meno teenager, i ragazzi boni con la camicia aperta sui pettorali, le ragazze miaumiau che sbattevano le ciglia come se avessero il parkinson alle palpebre. La quinta cosa che ho notato è stata che alle casse, dove si pagava, e ce n'era una ogni piano, non sostava nessuno; se però ti avvicinavi con della merce in braccio, anelante di strisciare voluttuosamente la carta di credito per concretizzare l'acquisto della ambita merce, subito spuntava un bel giovane o una bella giovane che sorridendo amabilmente ti conducevano per mano verso la dannazione del conto corrente. La sesta cosa che ho notato è che dentro era tutto un gioco di luci e penombre, poche luci per la verità, per cui se ti andavi a provare qualcosa nei camerini, non avresti capito come ti stava. Non è vero, non è che non avresti capito, perchè appena uscivi dal camerino con la t-shirt indosso subito si avvicinavano un paio di angioletti o angiolette che ti dicevano ma quanto sei carino ma come ti sta bene ma come sei fico. Ovviamente in nuiorchese, ma si capiva benissimo. La settima cosa che ho notato è che nonostante ovunque a niuiorc ci fossero sconti, là non ti scontavano proprio nulla. Dovevi essere felice di pagare il prezzo pieno. E poi tutti a sorridere, e a sfiorarti, una specie di microeden dello sciopping.

Alla fine ho comprato una t-shirt blu con una testa di pellerossa disegnata pure io, e la ottava cosa che ho capito è che mi sta proprio a pennello.



(lo psicoshop è quello dell'ultima foto del post precedente, non lo nomino per non fare pubblicità, che tanto non gli serve).

*i grandi figli di b ovviamente si capisce benissimo chi sono.

mercoledì 23 settembre 2009

la merica III (e forse smetto)

Non nel senso che smetto col blog. Non ora, magari dopo, forse quando il contatore arriverà al numero centomila.



Allora, lo stupore. Tirato, giustamente, in ballo, da qualcuno nei commenti. Evvabbè, lo stupore, la curiosità, il divertimento, menomale, che ancora mi stupisco.



strani animali a ny















































(foto di medicineman)



Strani animali a NYC, buttando un occhio dentro ad un giardinetto privato.







skyscraperin the mirror















































(foto di medicineman)



Che anche se guardi altrove, i grattacieli ti saltano sempre negli occhi, e nell'obbiettivo.







pesci fuordacqua a ny









































(foto di medicineman)



Un posto dove, anche a volerci provare, sarà difficile sentirsi pesce fuor d'acqua.







circolo dei fantini



































(foto di medicineman)



E se cerchi il circolo dei fantini, basta guardare poco sopra il giardino.







dispenser



















































(foto di medicineman)

Hai una grande sete? Niente di meglio di un grande distributore di bevande. Del resto sono tutti belli grandi e grossi, oppure belle magre e scattanti, oppure bianchi, nere, gialli e centoottanta lingue e dialetti diversi. M'è venuta sete.






tasce a central park















































(foto di medicineman)



A Central Park, si può andare a fare jogging vestiti da carnevale anche se non è carnevale, con dei bellissimi calzoncini color tovaglia da tavola, che li ho cercati ma non li ho trovati!







gatto a mollafuori i biscotticanoa urbana 2































































(foto di medicineman)



Uno scoiattolo ladro, un gatto gigante a molla, una canoa a spasso al centro della città, basta guardarsi in giro per vederli.







gonzo!italian cafe

































(foto di medicineman)



Gonzo? un dollaro per la foto, dai scendi dal bus che ce la facciamo, un caffè italiano modello lambretta, solo un dollaro e venticinque.







pirata a bostondrunk in boston

























(foto di medicineman)



Un pirata a spasso, e non era un fantasma, un homeless coreograficamente addormentato, come se fosse stato messo lì dall'agenzia del turismo. Basta guardarsi in giro.







psico shop















































(foto di medicineman)



questo è uno psicoshop, ma ve lo racconto alla prossima.







(segue)

mercoledì 16 settembre 2009

la merica parte II

autobotte di cambridge


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


(foto di medicineman)


Opere d’arte ambulanti.


I camion dei pompieri, enormi, lunghi e tirati a lustro, con delle grandi bandiere attaccate in coda, erano onnipresenti, dovunque siamo andati. Gli interventi delle ambulanze venivano accompagnati da questi incrociatori di terra rossi, che fendevano il traffico rumorosamente. Queste autobotti sono meglio di quelle di latta a frizione (i fortunati le avevano telecomandate a batteria) con la scritta fire dept con cui tutti abbiamo giocato da piccoli.


pranzo a  greenwich













(foto di medicineman)


11 sett a greenwich village 3













(foto di medicineman)


Come andiamo al Greenwich Village? Abbiamo chiesto ad un passante. E lui ha detto che avremmo capito di essere lì non appena si arrivava in un quartiere dove le strade non avevano la struttura classica di New York, tutta di rette parallele, ma che formavano un reticolo confuso, disordinato. Vi accompagno, ha detto lui, tanto sono due passi e vado anch'io da quella parte. E'successo spesso, che le persone si fermassero a chiederci se avevamo bisogno, vedendoci con una cartina in mano. Al Greenwich Village, ad un certo punto su di una recinzione abbiamo visto una collezione di piastrelle decorate. Come ex-voto. Solo che avvicinandoci  è venuto fuori che si trattava di dipinti e decorazioni fatte da amici e parenti di gente morta l’undici settembre di otto anni fa.  Il tema principale è la pace, e la coesione del popolo americano, molte sembrano fatte da bambini, o da gente che non ha dimestichezza con la pittura, ma vederle lì, fa un certo effetto. A me ha fatto molto più di un certo effetto. Alla trattoria irlandese, sottopiatti letterari, tutti diversi, ma pensa un pò, proprio a me.


(II-segue)


giovedì 10 settembre 2009

la merica, il gatto dai d.a.s., l'estate bella (parte 1)

il gatto a sciabola


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


(foto di medicineman)


L’estate è cominciata il 24 luglio, con la nostra partenza per gli stati uniti, il nostro primo viaggio in direzione della merica, dove nessuno di noi era stato prima d’allora. Avevamo tanti timori e tante aspettative, possiamo dire che la maggior parte dei timori è stata dissipata, e che le aspettative sono state realizzate appieno. Però prima parliamo del gatto nella foto.



Dal cofano della zafira nera usciva uno strano rumore. “giuliana, hai i gatti nel cofano?”. Eppure, aprendolo, nel cofano si vedevano due minuscoli occhietti azzurri. “ tu chi sei?” ho chiesto agli occhietti azzurri. Tutti quelli intorno al cofano hanno infilato la mano per tirare fuori quella pallina di pelo nero, ma lui non era tanto d’accordo, si è dimenato come una biscia, ha graffiato e soffiato come una tigre, infine è riuscito a scappare a rotta di collo nella campagna, perdendosi chissà dove.


Però la notte successiva, il vigliacco è venuto a piagnucolare sotto le finestre di casa; sono uscito un paio di volte per prenderlo, ma non appena sentiva che ero fuori a cercarlo, smetteva di piangere.


L’indomani mattina lo abbiamo chiamato, facendo il verso della mamma gatta, e lui rispondeva, perso chissà dove nella fitta macchia mediterranea. Al pomeriggio si è organizzata una vera e propria battuta di caccia. Alla fina l’abbiamo individuato, nascosto sotto un cespuglio di rovi. Uno ha fatto da battitore, l’altro si è appostatp dall’altro lato del cespuglio, sperando che uscisse proprio di lì. Ho fatto tanto di quel casino che alla fine è stato costretto ad uscire, proprio dal lato in cui c’era Fabrizio ad aspettarlo. L’ha achiappato, e di nuovo la palla di pelo nero ha tirato fuori il suo armamentario da tigre per tentare di fuggire, ma ha finito la sua sceneggiata dentro una scatola di cartone; una siringa piena di latte prima, e dei croccantini junior poi lo hanno covninto che poteva essere una solizione valida, quella di restare con noi per farsi svezzare. Guardandolo bene, qualcosa di tigresco gli è rimasto; i denti di sopra non collimano perfettamente con la mascella inferiore, cosicchè sembra proprio un...gatto dai denti a sciabola!



la merica




il primo sterotipo che voglio demolire è quello relativo al fatto che i viasggi in auto attraverso gli stati uniti rischiassero di trasformarsi spesso in orrende odissee tipo "un tranquillo weekend di paura”. nessun inseguimento da parte di autobotti assassine, nè pattuglie di poliziotti zombie dalla pistola facile. il tragittto tra washington e boston, circa mille chilometri, è stato facile, non faticoso, ed è bastato seguire l'onda del traffico per arrivare a destinazione.


highway

















(foto di medicineman)


Precisazione: l'auto che ho noleggiato aveva in dotazione il navigatore satellitare, altrimenti non saremmo arrivati da nessuna parte: le indicazioni stradali sono in effetti accurate per quel che riguarda i numeri di autostrade ed interstatali , ma non danno alcun supporto nel caso si conosca la destinazione ma non la strada per arrivarci. Dicevo che basta seguire l'onda del traffico, per cui anche se il limite di velocità era quasi ovunque compreso tra 50 e 60 miglia all'ora, che corrispondono ai nostri 80-100 kmh, le altre auto sulle strade a quattro corsie andavano tra le 6 e le 75, così mi sono adeguato, anche per evitare di essere di ostacolo.


Gli autogrill sono di due tipi, quelli dove c'è starbucks, mcdonald ed altri ristoranti di questo tipo e quelli in cui invece ci sono ristpranti di catene più economiche, in cui il livello di servizio e qualità dei cibi e delle bevande servite è veramente pietoso.


refugium peccatorum















(foto di medicineman)



Che bello fare mille chilometri con trentaciqnue dollari di benzina...ecco perchè molti americani preferiscono l’auto all’aereo per i viaggi interni. Tutto chiaro.


Poi, una sera che la magia ci aveva avvolti del tutto, su una piccola isola collegata alla terra con un ponte, in una villa dove aveva soggiornato persino greta garbo, un bicchiere rotto ha lacerato il polpastrello di uno dei miei figli.


Corsa in ospedale, ricovero al pronto soccorso, cinque punti di sutura. Dopo un mese è arrivato il conto, 2448 dollari. Avete letto bene, 500 dollari a punto. Si capisce perchè le lobbies non vogliono che la sanità diventi pubblica, perchè altrimenti questa fonte di ricchezza verrebbe dirottata dalle ricche tasche dei privati.


Ho stipulato-per eccesso di prudenza-una polizza assicurativa sanitaria prima di partire. Ora mi accorgo di aver fatto bene. Ne sarò sicuro quando arriverà il rimborso.


Faccio un paragone con la vita in italia: mangiare è più facile e costa meno, vestirsi costa meno (le lacoste in saldo a 28 euro...), viaggiare in auto costa meno. Sanità e case costano di più, le case in muratura al centro delle città, ovviamente, che quelle in legno sono in svendita.


Com’è per ora l’america? Con le infradito ed i piedi pittati, il 90% delle donne indossava infradito di plastica, di gomma, economiche. Scomparse le orrende crocs coi calzini, per fortuna. Il numero di saloon per manicure e pedicure era realmente impressionante, e con prezzi accessibili a tutti.



zoccoli tinti


 




















(foto di medicineman)



(fine parte 1)


mercoledì 9 settembre 2009

santo subito

Subito, portera' di sicuro un po' di allegria in paradiso.

(Arrivederci al rischiatutto celeste, michael bongiorno)

martedì 21 luglio 2009

edizione straordinaria


 


Papà mi aveva mandato a dormire "sarà tardi, vai a letto". Ma io non riuscivo a prender sonno, Tito Stagno brontolava. Ad un certo punto non sentii più nessuno parlare in cucina, dove c'era un massiccio telefunken con stabilizzatore di corrente. Mi alzai e posai i miei piedi di bambino sulla ceramica  , i grandi erano seduti, come ipnotizzati, io feci in tempo a vedere una specie di orso bianco che posava la grossa zampa. Sulla Luna.

martedì 7 luglio 2009

pure se la giri sottosopra

la riconosci, anche se ti metti a testa sotto a guardarla.


paris 8


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


ci sono gargoyles ad ogni angolo


paris 1


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


spuntano gatti dai posti più imprevisti


paris 5


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


c'è chi spara palle gigantesche


paris 4













e c'è chi manifesta rumorosamente, anche se nessuno capiva un'acca


paris 3











ci si trovano angoli inaspettati


paris 6


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


e ragazze che aspettano qualcuno per regalargli delle spine colorate


paris 7











infine, anche i cani si danno un'aria intellettuale, a Parigi.


paris 91


paris 9











tutte le foto sono di medicineman





colgo l'occasione per sospendere la pubblicazione di questo notiziario rarefatto. Il suo domatore manda in vacanza quei pochi neuroni ancora funzionanti. Prima di riprendere da Palermo passerà per New York, Washington, Boston, Pollina, Bruxelles, Valenciennes e Napoli.


Si ricomincia il 10 settembre, sicuramente con alcune cose da raccontare ed altre da commentare.


Ciau.





venerdì 26 giugno 2009

il suonatore Michael

E poi se la gente sa,

e la gente lo sa che sai suonare,

suonare ti tocca

per tutta la vita

e ti piace lasciarti ascoltare


(f.de andrè, il suonatore jones). 




         


domenica 21 giugno 2009

colpo di maestrale

dalla finestra


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


(foto di medicineman)


 


Il caldo durava da giorni. La notte, se si dormiva era un'agonia, e se si sognava, si sognava di essere in guerra, o arrostiti vivi in un terribile incendio. Poi, svegliandosi, la camiciola del pigiama era zuppa di sudore. Magari nelle mattinate si richiudevano le persiane per provare a fermare la luce, che infuocava  tutto già dall'albeggiare. Quella notte i sogni erano stati più inquietanti; la scuola  e il terribile maestro Pizzuto che lo minacciava con la verga di bambù (anche se l'aveva lasciata da un pezzo,) i lanci col paracadute (ma quando mai lui si sarebbe lanciato col paracadute, aveva paura pure della corriera, altro che aereoplano), il libri contabili della putìa che si smarrivano tra gli scogli della marina e bisognava cercarle anche di notte tra topi e granchi neri e minacciosi. Però verso le quattro del mattino, che ancora neanche una spruzzata di rosa e azzurro annunciava la giornata, cominciò a ventilare. Saverio cercò il lenzuolo con il piede, se lo tirò sopra, fino al ventre. Poi, visto che il venticello stava rinfrescando la casa, si cummugghiò fino al collo. Abbracciò il cuscino e si riaddormentò. Alla mattina dopo, si sentiva meglio. I mali sogni l'avevano abbandonato, e s'era potuto fare una dormita di sette ore, come un picciriddo. S'alzò dal letto, spalancò le persiane sulla strada dove sacchetti e foglie s'assicutavano, soffiati dal maestrale. S'affacciò nel balconcino che guardava la piazza, ancora era presto, c'erano solo un cani vecchiu appoggiato al muro della chiesa che pareva morto, ma per come russava si capiva che era vivo, e due manovali che aspettavano la chiamata per la giornata di lavoro in campagna. Saverio resipirò profondamente, l'aria fresca gli squagliò l'angoscia e il catarro che aveva nel petto. Nella piazza passò la signorina Sara, la figlia di Don Ciccio, che andava ad aprire l'ufficio postale. "No", c'aveva detto Sara a Saverio qualche anno prima, "no, e se non te ne vai chiamo a mio padre". E così Saverio se n'era andato. Un colpo di vento nella piazza alzò la munnizza in  aria. La signorina Sara si mise la mano sul foulard, che voleva scappare via, premendolo sulla testa. Però il vento vastaso ci alzò la gonna di voile a fiori, e ci si videro per qualche istante le cosce e le mutande.  Saverio rientrò in casa, che l'effetto del vento fresco gli era già passato; angoscia e catarro ammuttavano lo sterno, forte. Sentì caldo, caldo da crepare.