giovedì 30 dicembre 2010

duemilaundici


Potrebbe essere un anno sensibilmente migliore del 2010, se...

Potrebbe essere invece drammaticamente peggiore di tutti quelli che abbiamo vissuto finora, se...

Sarebbe bello ringiovanire, arricchire, vedere enfatizzato il proprio fascino, tanto da diventare insopportabilmente affascinanti, se...

Sarebbe carino che il vicino rompipalle, il collega nocivo, il padrone del cane che vi caca davanti al portone si trasferissero su altro pianeta, se...

Vi auguro una ampia dose di culo, pazienza, fortuna, miglioramento della vista e dell'udito, potenziamento delle capacità sessuali, forza di persuasione, senso di orientamento, amore, dimagrimento o ingrassamento a scelta, che il vostro compagno o la vostra compagna acquisiscano la caratteristica di anticipare sempre i vostri desideri, anche quelli insulsi o capricciosi, così imparate ad essere capricciosi o capricciose.

Insomma, auguri.

Antonio


sabato 4 dicembre 2010

basso volume


Girò per i viali tristi di Pineta Marittima per più di mezz’ora, poi finalmente trovò la stradina, dove c’era la villetta di Giulio.

La sera prima aveva sentito Giulio, e l’amico gli aveva chiesto se, giacché tornava a Genova in macchina, avrebbe fatto una deviazione per lui. C’era da recuperare una valigetta, niente d’importante diceva Giulio, solo che la moglie lo stressava dicendogli che serviva a casa.


E ora aveva appena finito di esplorare la triste geografia invernale di un paesino di villette e stabilimenti balneari, privo di vita, come un cetaceo spiaggiato.

Parcheggiò l’auto sotto un platano, dal quale pendevano poche foglie di un marrone stecchito, spense l’autoradio, che aveva tenuto a basso volume tutto il tempo del viaggio, piovigginava e non voleva andare più veloce di quanto necessario, del resto il blues lento di Eric Clapton non invitava certo a premere il pedale sull’acceleratore.

Frugò nel cassettino portaoggetti, trovò le chiavi che gli aveva dato Giulio, rimpianse il comodo e tiepido abitacolo dell’auto, prese l’ombrello e s’infilò tra le gocce di pioggia nell’umida mattinata di Pineta Marittima.

Il catenaccio che chiudeva il cancello fece un po’ di resistenza, prima di scattare, gli fecero male le dita, quasi si bloccarono, per il contatto con il metallo bagnato e freddo, pochi passi sul vialetto di brecciale biancastro, ricoperto di foglie accartocciate, e fu sulla soglia.

Si sentiva a disagio, estraneo, osservato, con una strana eccitazione; si voltò “mi sento osservato da quello stupido nano da giardino”, fece una risatina isterica e aprì la porta.

“L’interruttore generale lo trovi a destra della porta d’ingresso” aveva detto Giulio, “non ti scordare di staccarla, la luce, quando te ne vai, altrimenti ti addebito le bollette” aveva aggiunto sogghignando.

Si accese un lampadario al centro della stanza, una misera lampada da venticinque candele, poi si sentì anche il compressore del frigorifero che si avviava con una specie di brivido metallico, l’aria era quella greve di una casa chiusa da cinque mesi, alcuni pesciolini d’argento scapparono a rintanarsi dietro i mobili.

“Devi aprire l’armadio della stanza da letto, la valigetta la trovi lì, appoggiata sul ripiano centrale”.

Ripassò mentalmente le indicazioni fornite da Giulio, aggirò il letto matrimoniale che era stato coperto da un foglio di cellophane, aprì l’armadio e vide la valigetta.

Vide anche un costume da bagno rosa, che sicuramente era di Nora, la moglie di Giulio, e se la immaginò per un istante, abbronzata, sfilarsi lo slip e mostrare la forma bianca del costume, in contrasto con il resto della pelle dorata.

Aveva spesso posato lo sguardo sui quarti posteriori di Nora, ma la libidine era mitigata dal fatto che si era imposto di non elaborare fantasie fornicatorie sulle mogli degli amici, almeno su quelle che l’avevano mai provocato; come invece era successo con quella stronza della donna di Sergio, il suo collega d’ufficio, che un giorno, in quella stessa villetta si era tolta la parte di sopra del bikini e gli aveva sfacciatamente chiesto se gli piacevano le sue tette nuove. Certo che gli piacevano, e le avrebbe anche volentieri toccate, e già sentiva movimenti sussultori dentro il boxer da bagno a fiori, quando Sergio dal giardino aveva gridato “ Elena, vieni fuori, che sono arrivate le pizze!”.

Scacciò con un gesto della mano il film fastidioso che scorreva davanti agli occhi della mente, allungò il braccio e prese la valigetta, una di quelle da fotografo in alluminio goffrato, massiccia ma leggera allo stesso tempo.

Ritornò all’ingresso, fece scattare l’interruttore generale sulla posizione di off, la pompa del gas del frigorifero emise un rantolo, l’oscurità si riappropriò della villetta, fino all’estate successiva.

 

Il nano da giardino lo guardava con il suo sorriso deforme, “ che cazzo ridi, che sei pure nano, e condannato a startene fuori con questo freddo che prima o poi ti spaccherà la vernice” pensò mentre si avviava verso la macchina.

Chiuse il cancello, il catenaccio scattò, aprì lo sportello lato passeggero posando la valigetta, girò attorno alla macchina, mise l’ombrello sul sedile posteriore, si sedette.

Allacciando la cintura lanciò uno sguardo alla valigetta metallica “Chissà che cosa c’è di così importante dentro” si disse “sarà sicuramente chiusa a chiave…”.

Riaccese l’autoradio, sentì il cd che ripartiva dentro il lettore, infilò la chiave nel blocchetto di accensione, mise in moto, spense subito dopo.

“Chissà che cosa può esserci di tanto importante qui dentro, da spingere Giulio a chiedermi di fare questa deviazione”, e sfiorò con la mano il coperchio di alluminio.

Sentì di nuovo la strana eccitazione di prima, “Ora la apro” disse ad alta voce.

Alzò istintivamente il volume dell’autoradio, mentre Tori Amos cantava elettrica “I’m not your senorita… I’m not from your tribe…”, provò le serrature, che scattarono immediatamente, “Cazzo, allora non siete chiuse a chiave…”.

Sollevò piano il coperchio, all’interno la gommapiuma color antracite era stata sagomata per contenere alcuni oggetti, che non riconobbe subito.

Un arsenale di falli di gomma in diversi colori e misure, un paio di manette, una pistola, alcuni altri piccoli affari, per i quali era per lui difficile decifrarne il possibile impiego.

Restò alcuni secondi con il fiato sospeso, poi allungò la mano.

“Ecco, come si diverte quel perbenista di Giulio con quella santarellina di Nora”.

Prese le manette, erano di vero metallo, fredde e minacciose. Le rimise subito nella valigetta.

Intanto aveva ricominciato a piovere.

Guardò la pistola, coricata sul fianco, sembrava finta, “sarà sicuramente una pistola giocattolo”, la estrasse dal vano, dove era incastonata, la sentì subito pesante e molto reale.

“Una pistola vera, gioca pesante il mio amico Giulio”, sfilò il caricatore da sotto il calcio, l’ogiva del primo proiettile occhieggiava cattiva, rimise il caricatore a posto.

L’eccitazione di prima aveva avuto un deciso incremento dopo l’esame del contenuto della valigetta.

Guardò l’orologio, “Ho ancora tempo, magari riesco anche a divertirmi con questa roba, a Genova arriverò lo stesso se proseguo sulla statale, invece di prendere subito l’autostrada”.

Chiuse il coperchio della valigetta, rimise in moto la macchina, guardò nello specchietto il ghigno gelido del nano nel giardino che si allontanava, accelerò e si diresse verso la statale.

Per un tratto la strada seguiva la costa, con il nastro grigio della spiaggia deserta, e le onde che si frangevano annoiate, un panorama di mare d’inverno, in assoluto contrasto con il suo stato d’animo attuale.

Arrivò all’incrocio, dove la provinciale s’immetteva nella statale, si fermò allo stop, lasciò transitare un furgone con un grande pennello dipinto sulla fiancata, ripartì sgommando.

“Tra qualche chilometro, vediamo chi incontro” pensò mentre guidava sulla statale semideserta, continuava a piovere piano, e le spazzole del tergicristallo battevano una cadenza lenta, accordata con il ritmo della musica che usciva, di nuovo a basso volume, dagli altoparlanti sugli sportelli.

A sinistra il mare lontano, a destra la campagna bagnata, i cartelloni pubblicitari sbiaditi, superò un distributore di benzina chiuso, proseguì costeggiando adesso la pineta.

Mise la freccia a destra, rallentò e si fermò in una piazzola di sosta. Attivò l’alzacristalli elettrico lato passeggero, una testa bionda s’introdusse nell’abitacolo, “ciao bello, scopare in macchina 30 euro, se andiamo al motel, ti faccio divertire e mi dai 60 euro più la camera”.

“Sali” disse lui scostando la valigetta sul sedile posteriore della Mondeo, “facciamo presto, niente motel”, la ragazza si accomodò sul sedile e abbozzò una specie di sorriso.

Puzza di fumo e di sperma, pensò lui rimettendo in moto.

“Di qua, gira di qua” disse la ragazza, “poi ti fermi vicino a quella baracca, è tranquillo”.

Seguì le indicazioni, spense il motore dell’auto, slacciò la cintura di sicurezza.

La ragazza si stava sfilando il collant e gli slip, poi allungò le mani verso di lui.

“aspetta”, disse, “aspetta, voglio che facciamo una cosa diversa”.

Lei lo guardò, con gli occhi pieni di sospetto, mentre lui rovistava con le mani dentro la valigetta, da cui estrasse un cazzo oversize di gomma trasparente.

“Voglio guardarti mentre giochi con questo, ti pago lo stesso, non voglio scopare adesso”.

La ragazza lo guardò schifata, non prese l’oggetto che lui le tendeva, la situazione si stava cristallizzando in una specie di natura morta con cazzo di gomma.

“Con quello ci fai giocare tua moglie, io non ci sto, dammi i soldi, ti faccio un pompino che te lo ricordi per un anno”.

Lei non ebbe il tempo di aggiungere altro, perché vide l’occhietto nero e crudele della pistola che la scrutava.

“Non fare tante storie, ti pago, fammi vedere come fai e poi ti lascio andare”, disse lui mentre in una mano teneva la pistola e nell’altra il cazzo di gomma.

Una goccia di sudore gli colò lentamente dalla fronte sulla guancia poi sul collo della camicia.

Lei tentò di scendere dalla macchina, con le mutande ancora abbassate, ma non fu sufficientemente veloce, non tanto da scansare i due colpi di pistola che la raggiunsero alla spalla, e tra le costole, non tanto da evitare di sentire lui che diceva “hai fatto male, carina, a dirmi di no, non dovevi dirmi di no”.

Lui scese dalla macchina, girò da dietro per andare ad aprire lo sportello lato passeggero, ancora rintronato dal botto dei colpi nel chiuso dell’abitacolo.

Scostò lo sportello, la ragazza cadde sulla sabbia con tutto il tronco, lui la tirò dal collant che era rimasto semiabbassato, divincolò le gambe dall’abitacolo, la trascinò per un paio di metri fino alla baracca, la striscia lasciata dal corpo sulla sabbia era venata da un segno rosso vivo.

Le orecchie gli fischiavano, la strana eccitazione stava sbollendo, risalì in macchina, rimise a posto la pistola e il cazzo di gomma, chiuse la valigetta, innestò la retromarcia, ritornò sulla statale.

Prese il telefono cellulare, quando Giulio rispose, mise la radio a basso volume.