mercoledì 23 novembre 2005

gli scrittori sono magri



“gli scrittori sono magri, questo è il motivo per cui non pubblicano i nostri romanzi”.
Ho guardato Nunzio in faccia, è vero lui ha il doppio mento e la pancetta debordante, poi ho provato ad immaginare me nella foto di controcopertina, sopra alle note scritte da un famoso critico famoso, e mi sono ricordato che sono senza capelli.
“e gli scrittori hanno lunghe chiome fluenti” ho aggiunto io, rincarando la dose di veleno esalata da Nunzio.
Stavamo provando a immaginare la prossima lettera in cui l’editore avrebbe informato il caro amico che le sue cose sono sì variamente interessanti, ma purtroppo, caro amico, la nostra casa editrice non ha spazio per la narrativa italiana, tranne poi pubblicare i balbettii dei divi ,della grande fratella o le barzellette vane del teleimbonitore.
“allora cosa proponi?” mi ha chiesto subito dopo.
“potresti cominciare a fare una bella dieta” ho ringhiato “ e magari mettere la foto di Bran Pitz al posto della tua quando invierai il plico con manoscritto e sinossi d’ordinanza al prossimo editore”.
Nunzio ha riflettuto un attimo, appoggiandosi le mani sul ventre, e poi “certo, lo farò di certo, e ti regalerò anche una parrucca con l’anticipo che riceverò sul romanzo”.
Abbiamo continuato per un pezzo, durante la presentazione di una rivista che ci aveva prima promesso la pubblicazione dei capitoli iniziali dei nostri romanzi, ancora inediti, tranne scoprire dopo, parlandone con la direttora, e osservandone i denti sporchi di rossetto scoprirsi durante le sibilanti, che la pubblicazione era rinviata al prossimo numero “sapete ragazzi, abbiamo ricevuto veramente un mucchio di racconti di giovani esordienti, che assolutamente vale la pena pubblicare…”
Poi abbiamo dovuto anche acquistare una copia della rivista “serve a sostenerci” ha soffiato viperina la direttora, e scoprire sfogliandola che i racconti che valevano la pena passavano per il pene di certi giovanetti che al corso di scrittura si erano sicuramente ripassati la vecchia topa della direttora.
“gli scrittori sono giovani e magri” ha ribadito allora Nunzio, dopo avere sborsato i sette euri e cinquanta della rivista “e noi non abbiamo chances”.
“usciamo a fumare” ho detto allora.
Fuori, gli ambulanti cinesi stavano smontando i loro baracchini, con un pigolio di fondo che mi ricordava un pollaio industriale, abbiamo acceso le sigarette e camminato fino all’angolo dell’edificio, poi abbiamo svoltato in una piazzetta dove un colonnato in tufo giallo ornava la facciata laterale.
Sotto al colonnato un baccanale di spazzature assortite, ed un tizio con uno spago in mano, attaccato a qualcosa.
Nunzio gli ha chiesto cosa stesse facendo lì con lo spago in mano, ma il tizio non ha risposto, ha scosso un po’ il laccetto e da dietro una colonna è uscito un gatto bianco legato alla cima, solo che l’animale era semiparalitico, e camminava a scatti, come un cartone animato difettoso; il tizio lo ha preso in braccio, ha ficcato la lenza in tasca e se ne è andato.
Ho detto a Nunzio “rientriamo a vedere che dicono?”, lui però ha alzato le spalle “andiamocene invece”.
Aveva la faccia triste, volevo proporgli un cinema, o una birra, invece gli ho detto “vedrai che entro l’anno riceverai una risposta favorevole, un editore di importanza nazionale, ne sono sicuro” anche se ero certo di dire una bugia.
Ce ne siamo bevute cinque o sei di birre, in un pub dove un giovane pittore giovane esponeva le sue opere, una sfilata di santi nudi, visti dal lato del loro culo triste di santo, e poi l’ho caricato nella Panda e l’ho accompagnato a casa.
“coraggio Nunzio, vedrai che entro l’anno…”
“vaffanculo” ha risposto, e si è trascinato fino al portoncino decorato da cazzi bombolettati con spray verde fluo.
Sono tornato a casa, ho telefonato a Rosy:
“l’utente desiderato non è al momento raggiungibile “ ha detto una troia dalla voce di plastica, ho preso la busta che avevo trovato nella buca delle lettere, una busta il cui mittente era un noto editore, la ho aperta con un piccolo bisturi, letto le frasi di circostanza, appallottolata e tirata nel lavello.
“caro amico”, diceva la lettera “gli scrittori che noi pubblichiamo sono magri, hanno i capelli, sono giovani e maledetti”.
“merda” ho pensato “non sono più né giovane né maledetto”.
Mi sono addormentato mentre la compressa di antiulcera calmava le vampe nel mio stomaco.

venerdì 18 novembre 2005

ospedaliera



Stavo aspettando dietro la porta di un luminare della cardiologia locale. In effetti non è che sia così tanto luminare, ma ci stimiamo con reciproca comprensione e simpatia, anche oggi quando mi ha visto e gli ho fatto cenno di far sparire la sigaretta che gli fa male lui mi ha detto "sono le mogli che fanno male all'uomo, non le sigarette" ed ha tirato una voluttuosa boccata.
Il fatto però è successo prima: un gruppo assortito di popolani spingeva una carrozzina in cui giaceva, apparentemente moribonda, una vecchina minuta, probabilmente per un consulto da un professore.
Mentre i familiari parlavano, e parlavano di eredità, ero seduto vicino e li ho sentiti, una coppia giovane si è avvicinata furtiva all'orecchio delle vecchina, e lei le ha sussurrato: "zia, zia, me la lasci la casa prima che muori?". A queste parole la zia si è risvegliata dalla sua catatonia ed ha gridato "buttana buttana a tia ca tinni fuisti nenti ti lassu" . Traduco per i non palermitani: oh ragazza di malaffare, a te che hai fatto la fuitina (procedura che evita il matrimonio ufficiale, decisamente costoso) non lascio niente. Inevitabilmente è scoppiata una mezza rissa tra i parenti, ma la vecchina si è nuovamente ritirata nel suo mondo privato. Allora è vero quello che dicono, cioè che bisogna parlare agli anziani per mantenerli vivi.

la seconda notte di nozze



La seconda notte di nozze è uno di quei film che apparentemente non hanno trama, hanno una storia debole, ma divertono lo spettatore.
Sono una serie di scene abbastanza brevi  in cui la particolare abilità degli attori chiamati da Pupi Avati a interpretare personaggi strani nella normalità fa si che tutto sembri straordinario.
La trama si dipana in una Italia appena uscita dalla seconda guerra mondiale, in cui tutto è precario o manca .
Katia Ricciarelli impersona perfettamente una vedova bolognese , Liliana, tendenzialmente zoccola, che è ospitata insieme al figlio Nino, Neri Marcorè, dalla olimpica faccia tosta,
in una chiesa che accoglie un certo numero di sfollati e di gente che dopo la guerra ha perso tutto.
Lei per procurarsi da mangiare soggiace alle lubriche voglie di un cameriere di ristorante, che la rifocilla in cambio di prestazioni sessuali.
Il figlio è un buono a nulla, con una particolare inclinazione al furto ed alla truffa, e con la capacità di tenersi un lavoro, per quanto precario, per non più di tre giorni, giusto il tempo che i datori scoprano di che stoffa è il giovanotto.
In una allucinata Puglia vive invece il cognato della vedova, Giordano, interpretato da Antonio Albanese, che viene gestito dalle vecchie zie nella grande casa patriarcale, ormai deserta, e che si occupa di disinnescare mine e fare brillare ordigni inesplosi che riemergono copiosamente tra aratri e reti da pesca.
Giordano è stato rinchiuso in manicomio alcune volte, e svolge il mestiere di artificiere perché ritiene che la propria vita sia priva di valore in quanto malato di mente, e questo crede anche la gente che lo circonda.
Accade che la vedova, sull’orlo della disperazione, scriva una lettera al cognato in Puglia, cosa che fa per cercare di risvegliare in lui una certa passione morbosa coltivata durante le vacanze pugliesi con la di lei famiglia. Durante una di queste vacanze la ragazza si fece ingravidare dal fratello di Giordano, e costretta a maritarselo, con l’aggravio dell’ostracismo perenne della famiglia di lui,
Giordano riceve la missiva e risponde a Liliana, invitandola a venire in Puglia: il nipote Nino ruba una macchina e inizia un periglioso viaggio attraverso l’Italia appena liberata per andare insieme alla madre a conoscere lo zio e riempirsi pancia e tasche. Ma avevo detto che il film è senza trama, e invece ve la sto raccontando? Allora smetto, che vi tolgo il piacere: inutile sprecare aggettivi (che io sono uno che ci spara, agli aggettivi), andatevelo a vedere, che ne vale la pena. Un film indovinato, dosato bene in tutto e che rende tutti i soldi del biglietto che costa.
Ah il titolo si riferisce al fatto che Liliana è vedova ed ha avuto la sua prima notte.

lunedì 14 novembre 2005

requiem per i giocattoli



Su un quotidiano, oggi ho letto un articolo che era una specie di requiem per i giochi che hanno accompagnato l’infanzia di quelli che-come me- sono nati negli anni ’60, in un periodo in cui l’Italia e l’Europa uscivano dalla depressione post-bellica, e dopo la ricostruzione qualcuno trovava anche il tempo di pensare ai giochi dei bambini, che non fossero le classiche trottole o palloni o bambole.
L’autore del pezzo dice che autopiste elettriche e trenini sono praticamente scomparsi dagli armadi dei giochi dei bambini del 2000, ma perché? Perché, provo a ipotizzare, i nostri nonni erano ferrovieri e muratori e meccanici, quindi portati ad interessarsi a giochi che riproducevano il loro mondo in piccolo, perché negli appartamenti ( o a casa della zia zitella) c’era spesso la stanza vuota dove montare in tutta la sua regale estensione la pista Policar a 4 corsie ( mi vengono in mente anche Dromocar e Scaletrix, chi ricorda altre marche di autopiste?) o stendere il foglio di compensato su cui avvitare i binari del trenino (Marklin per i ricchi, Rivarossi per i sofisticati, Lima per i proletari) e sognare trasporti merci e passeggeri su e giù per una Italia di cartone e balsa.
E le raccolte di modellini? Bambini e adolescenti manipolavano carrozzerie di metallo con portiere apribili e sterzo funzionante, immedesimandosi nei libidinosi desideri degli adulti; questo aveva un senso quando cambiare l’auto era un evento epocale, che coinvolgeva tutta la famiglia, anche per via dei sacrifici economici che bisognava affrontare per passare dalla seicento alla millecento, e poi alla centoventiquattro special. I ragazzini contemporanei non si appassionano più di tanto all’automodello reale, in scala, casomai pretenderà dal genitore o dal nonno una spider replica in scala con motore a scoppio, una micromoto che fa i settanta all’ora, il miniquad per scorrazzare in spiaggia. Ma quando?
Quando, raramente, la domenica il mal di schiena di papi e le paturnie mestruali di mami consentiranno ai regali cuccioli di casa di essere trasportati, con i loro aggeggi meccanici, in qualche giardino pubblico o nel parcheggio vuoto dell’ipermercato e lì dare sfogo alle libidini corsaiole in miniatura.
Perché anche tra i genitori moderni i videogames portatili e le consolle per videogiochi riscuotono tanto successo? Perché il pupo resta in silenzio, si sente solo il rumore frenetico delle dita che muovono i tasti del joystick, ipnotizzato davanti alla tv, giocando per ore senza spaccare le palle al pater familias che nel frattempo può dedicarsi alla chat, al giardinaggio, al telefono, perché non c’è bisogno che esca di casa, il pargolo, e non sta in giro a triturare i marroni della mamma, e dopo è in stato comatoso, deglutisce la cena liofilizzata e fila a letto.
Le costruzioni: migliaia di mattoncini da rimettere a posto sono un duro test per i fragili sistemi nervosi delle mamme moderne, e capita sempre che il pezzetto da uno vada disperso, e venga ritrovato perché è finito sotto le scarpe di qualcuno, ed ha scavato un canyon nel parquet.
Il gioco deve essere inodore, non sporcare, non richiedere la collaborazione degli adulti, non invadere gli spazi di necessario edonismo di padri e madri, possibilmente poco rumoroso e costoso, in modo da lenire i sensi di colpa.
Addio, castello dei fantasmi di Lego, addio, collezione dei modellini delle autobotti dei pompieri in scala 1/43, ritengo che non verrete riesumati dai miei nipoti; io vi conservo in uno scatolone nel sottotetto della casa di campagna, almeno mia nuora o i miei nipoti avranno un buon motivo per imprecare contro di me quando decideranno che quelle scatole sono di troppo e vanno eliminate.

giovedì 10 novembre 2005

mediamorfosi



Il circolo virtuoso si chiude: la scrittura digitale trova ospitalità estesa, transitando prima per i byte di sacripante!, finendo quindi sulle pagine di carta di Margini. Contemporaneamente avviene il passaggio inverso, cosicché due delle storie che compaiono sul numero 2 di Margini, sono germogliate in uno apposito spazio innestato, come farebbe un giardiniere paziente, nel corpo virtuale di sacripante!. Questa è mediamorfosi.

mercoledì 9 novembre 2005

mercoledì 2 novembre 2005