domenica 26 ottobre 2008

convenzione interna

room and flowers




















































































(foto di medicineman)





Fuori, piove. Lo so, anche se non mi alzo da questo divano per andare a vedere. Sento il rumore della pioggia, una specie di suono infinito, come il piatto di una batteria colpito dalla bacchetta e che non smette più di vibrare.

Dentro, dentro la camera di questo albergo, dentro questa stanza che è un provvisorio abitacolo, piccolo per una persona sola, quasi insopportabile per due, dentro questa camera c’è una specie di nebbia stratificata, tossica.

In effetti, non c’è nessuna nuvola di gas visibile, è piuttosto un fatto mentale, un’emozione, una certezza assiomatica. C’è e basta. Anche se non si può vedere. Se stringo un po’ gli occhi, vedo gli atomi che fluttuano, fotoni che brillano e si scontrano, li vedo. Basta il respiro di due persone ad intossicare l’aria. Vedo gli atomi che fluttuano, lenti e indecisi. Forse è più corretto dire che li immagino, in fondo sono solo illusioni ottiche, fenomeni derivanti dalla circolazione sanguigna dentro i bulbi oculari, che poi vengono trasformati in informazioni false ed inviati al cervello, che nonostante abbia cose molto più importanti da fare, come mantenere in moto la macchina automatica che mi tiene ancora vivo, riproduce immagini. Immagini di particelle che fluttuano, e che si scontrano e brillano, e prima o poi si poseranno ovunque, sul letto, sui mobili, su di me. Basta muovere la mano, o sbuffare un po’ d’aria fuori dai polmoni, e questi corpuscoli si mettono in moto, vorticosamente, senza nessun rumore, spostandosi da qui a lì, dal tavolo al davanzale, e poi di nuovo sui corpi che abitano la stanza numero 45.

Che poi. Che poi, anche questo numero è solo un modo pomposo di dire. Ci sono solo cinque stanze per piano, e siamo al quarto: quarantacinque, è una convenzione interna, non un dato di fatto.

Anche il rumore della pioggia, non sono certo che stia veramente cadendo giù, potrebbe essere un meccanismo automatico che tiene in movimento l’acqua di una fontana in giardino, quattro piani più sotto. Potrebbe esserci un giardino, anche se ierinotte non l’ho visto. In quasi tutti gli alberghi c’è un giardino interno, con delle panchine coperte di foglie dove non si siederà mai nessuno. Probabilmente l’architetto che ha pensato di mettere delle panchine in un giardino nascosto dentro il cortile interno di un albergo per gente di passaggio credeva che a questa gente avrebbe fatto piacere sedersi sulle panchine, sentire il rumore dello zampillo della fontana, vedere qualche uccello bagnarsi le piume, immaginare un tramonto oltre il muro.

Probabilmente questo architetto non ha valutato il fatto che in questo motel si fermano persone di passaggio, stanche e sporche delle scorie di un viaggio che non è ancora finito, o uomini d’affari soli, a cui serve un letto ed una doccia, ed anche una cena in un ristorante con i tavoli troppo vicini, e in cui il cibo è preparato senza pensare a chi lo mangerà.

O forse il progetto è unico per tutto il territorio, la compagnia ha mandato uno che doveva contrattare il prezzo del terreno, e le convenzioni con l’amministrazione locale, e poi l’impresa di costruzioni ha riprodotto un disegno che è uguale a quello delle altre città, forse dà sicurezza agli azionisti ed ai dirigenti, gli alberghi della nostra catena sono tutti uguali, niente è lasciato alla fantasia, il rischio d’impresa derivante dalla fantasiosa interpetrazione dei direttori e delle governanti è basso, tutto è standardizzato nei dettagli, come le tende color crema, che non si ingialliranno per il fumo e per l’azione dei raggi solari, riducendo i costi.

Tutto standardizzato, un buon sistema per tranquillizzare i manager che hanno troppo da fare, e che nel tempo libero lasciato dalla riduzione delle preoccupazioni potranno andare a giocare a golf, vestiti uguali.

Mi concentro sul rumore di acqua, e di nuovo sugli atomi che fluttuano nell’aria di questa stanza cunicolare. Come ierisera, prima di venire qui, c’erano altri atomi ed altre molecole, e persone che fluttuavano. Dopo un vernissage, e dopo tutti quegli aperitivi, e il fumo, e qualcuno ridendo tira fuori qualcosa da mandare giù, e la offre e tutti dopo sembriamo fluttuare, tra i colori psichedelici delle tele, enormi, appese alle pareti.

E ora le particelle in sospensione si posano sul corpo che ancora dorme.

Ogni tanto ha una piccola scossa, muove un piede nel sonno, poi sospira, poi ritmicamente questa massa respira, facendo muovere su e giù il lenzuolo.

Provo, provo a concentrarmi sulla notte, ma è come se tento di catalogare le sensazioni di adesso, tutto sfugge. Se sono svestito adesso, seduto sul divano, forse ierinotte mi sono spogliato, o forse sono stato spogliato da qualcun altro. Si forse. Forse da quella donna che ancora dorme.

E cosa è successo, mi domando. Mani che toccano, saliva che bagna, lingue che si intrecciano. Dopo, non mi ricordo bene, forse un orgasmo, ma non saprei dire quant’è durato, se è arrivato inatteso, se il fiotto caldo e muschiato si è sprigionato dentro un altro corpo, quello che ancora dorme, se mi sono addormentato subito. Devo aspettare, che le particelle si posino, che i mediatori chimici della trasmissione delle sensazioni si rigenerino, e dovrei anche sapere a chi appartiene quel corpo nel letto, che ritmicamente si alza e si abbassa mentre respira. Per ora, l’unica cosa che mi sembra di percepire con un certo livello di sicurezza è il rumore d’acqua. Potrebbe essere pioggia, dovrò alzarmi per controllare, dopo lo farò.

 

6 commenti:

amoilmare ha detto...

il rumore della pioggia è una specie di mantra che rende ovattato tutto quello che c'è intorno. sono questi i momenti in cui si tende a dare un senso alle cose, a sentirsi più soli.

matilde61 ha detto...

ecco questi sono i racconti che preferisco....buonanotte med...

e.l.e.n.a. ha detto...

mentre leggevo c'era il rumore dell'acqua. c'è.

non devo controllare, so che è pioggia.

hai reso perfettamente lo straniamento di un luogo non luogo.

terra di passaggio. che ci impone il farsene carico molto più che altrove.

setteparole ha detto...

E fuori piove. Davvero, dopo tanti giorni di sole e di caldo. E' sera ed è bello starsene qui a leggere di questi atomi sospesi, di questo strano pulviscolo fluttuante (a proposito, ma che vernissage frequenti?)

E' sempre un piacere leggere i tuoi racconti.Capita di rado, ma è un piacere.

PS.Hai letto cosa scriviamo Matilde e io sulle frequentazioni del blog?. Un caro saluto.

PS.

RedPasion ha detto...

spero ti sia alzato per controllare...


o quanto meno che tu ti sia alzato...


a prescindere...


(sei molto bravo...)

sherazade2005 ha detto...

spesso, anche in alcuni miei passaggi (scusami se ho l'ardire di inserirmi in questo tuo magnifico scritto) lìacqua che scorre segna un punto concreto per ri-emergere.


sheragraziemolte