martedì 23 maggio 2006

parliamo di mia madre


 

Parliamo di mia madre

 

La scena prevede una automobile tagliata a metà sul sedile del passeggero un manichino, e più distante, illuminato da un occhio di bue, un divano chester.

La luce punta dritto dentro l’abitacolo della vettura, dove si svolge il dialogo, che in fondo è un monologo, visto che il manichino non parla.

Nell’alternativa della recitazione a due, gli attori saranno affiancati, sui sedili anteriori della macchina, che guardano avanti, evitando di toccarsi.

 

Ora, il fatto di trovarmi qui in macchina con te, che tu non te l’aspettassi affatto che io mi sarei spinto a chiederti di salire da me, e la tua reazione.

 

Lei: no, non ti preoccupare, non è niente.

 

Ho capito subito, hai drizzato la schiena, come un animale che si mette all’erta, che sente un pericolo.

 

Lei: non ho detto che ho paura di te, non ho avvertito un pericolo particolare, mi sono solo sentita a disagio, in fondo è da poco che ti conosco, e a me piace poco affrontare situazioni di potenziale disagio.

 

No, non volevo dire che hai paura di me, lo so che non hai paura di me, lo percepisco, altrimenti non ti saresti fidata ad uscire con me stasera.

 

E’ vero, ti conosco da poco, ma quando ti ho vista arrivare in ufficio l’altro giorno, ho subito pensato che saresti stata il tipo di donna con cui uscire, non tipo una cena romantica, una mostra di pittura invece, una cosa come la presentazione di un libro.

 

Lei: si certo, ma…ma…

 

Ti sembra che abbia preso una iniziativa inattesa? Ho tradito la fiducia che stavi riponendo in me? Ho fatto male a venire alla tua scrivania per dirti mi piacerebbe che domanisera venissi con me alla presentazione del libro di un mio amico?

 

Lei: di solito vado con piacere alle serate culturali, lo faccio spesso anche con le mie amiche, ho solo sottovalutato il fatto che tu non mi avessi detto di che tipo di riunione si trattasse:

tutti quegli psicologi, e psichiatri, ed il tuo amico, quello che ha scritto il libro, mi ha messo in forte imbarazzo quando mi guardava in quel modo, credo di essere arrossita almeno un paio di volte. Non lo tollero, quello sguardo da onesto intellettuale che ti spoglia con lo sguardo, che cerca di capire se una ha il seno rifatto e se quella sera andrà a letto con l’uomo che l’accompagna. Questi tipi mi hanno sempre fatto paura, perché mi guardava in quel modo…

 

Si lo so, lo so, lui è un sessuologo, ho capito che ti metteva in imbarazzo quando guardava te e poi guardava me, ho capito che ti sei sentita in qualche modo giudicata, che hai pensato che lui potesse valutarti come mia potenziale partner.

 

Lui prende in mano il libro, ha la copertina rossa lucida, lo gira tra le mani, come se fosse un oggetto caldo, fa il gesto di porgerlo verso di lei, poi lo nasconde di nuovo sotto al sedile.

 

Ho capito, lo percepisco sai , quando le donne sono in imbarazzo accanto a me, ti sei irrigidita, hai lasciato subito andare il mio braccio, come a volere segnalare che la tua presenza accanto a me non implicasse niente di personale,

assolutamente niente di sessuale, niente, che noi eravamo lì solo perché ti avevo chiesto di uscire con me, senza che ci fossero coinvolgimenti di altro tipo.

 

Lei: si ho capito che te ne sei accorto, sono fatta così, la tensione che esprimo in quei momenti si sente sul mio corpo, divento dura, lo so, emano sfiducia, sono fatta così, e me ne volevo andare, anche da sola, ma tu non mi hai lasciato andare, hai tenuto il mio braccio sotto il tuo, mi sono sentita una specie di bambola che tu portavi in giro, mi è sembrato ad un certo punto che tu mi avessi portato lì per certificare a quella gente il fatto che hai una donna con cui uscire, una ragazza che esce con te, si ho pensato proprio che volessi dare l’idea a loro che stiamo insieme, che non sei un uomo solo, che hai una donna, non una amica che ti accompagna, una donna che viene con te alla festa, che ci guardano e pensano che siamo una coppia, e non ti devono commiserare.

 

Infatti non ti ho neanche detto restiamo ancora un po’, c’è il cocktail, ho capito che eri turbata, mi sono detto forse adesso è il momento di riaccompagnarla a casa.

Detto fra noi, e non pensare che io sia irritato adesso, ho pensato che la tua reazione era stata eccessiva, e che io non avevo fatto nulla per provocarla, forse la combinazione di ambiente e persone di quel tipo ha scatenato la catena di ragionamenti che ti ha messo a disagio, scusami, si adesso ti chiedo di scusarmi…

 

Lei: non chiedermi scusa adesso, sono sufficientemente adulta per capire che l’atmosfera si è incrinata per colpa mia, anche se adesso non penso di…

 

E’ che anch’io ho un grande imbarazzo a parlarti di queste cose. Ho un grande imbarazzo anche se sembra che riesco a trovare le parole, ma mi sento davvero in difficoltà.

 

C’entra mia madre...Cosa c’entra mia madre? Non sono sicuro di volertene parlare, potresti pensare che sto cercando di raccontarti cose di me che possano in qualche modo coinvolgerti.

 

Lei: tua madre? Cosa c’entra tua madre? Parlamene, sono curiosa di sapere che ruolo possa avere avuto la figura di tua madre, che neanche conosco, nella serata di oggi.

E, detto per inciso, non ho intenzione di conoscere le madri di tutti gli uomini con cui esco.

Proprio non voglio conoscere le mie teoriche suocere, non riesco a tollerare lo sguardo poliziesco ed inquisitorio sotto cui mi scuoiano viva quando gli uomini mi presentano alle loro vecchie streghe…scusami…volevo dire alle loro mamme. Parlamene, credo che mi aiuti a capire…(ride) forse un giorno sarò anch’io madre, magari mi aiuta a non fare le stesse cazzate con mio figlio…

 

Dici che posso parlartene, ok, forse posso parlartene, cerco di farlo in maniera distaccata, nella maniera che meno possa coinvolgerti.

 

Lei: ti ascolto…raccontami pure.

 

Mia madre ci ha allevati in modo rigido, si occupava di noi con metodi razionali diceva lei. Aveva una enorme fiducia in un manuale di pedagogia tedesco, seguiva quasi alla lettera le indicazioni di questo manuale.

 

Lui prende da sotto il sedile un volume con la copertina bianca, con un biberon rosso e titoli rossi e lo agita davanti a sé, stando bene attento a non farlo arrivare dove lei possa prenderlo

 

Eccolo, lo porto sempre con me, anche in macchina. Sono sicuro che vedendolo, chiunque mi conosca non si faccia una impressione sbagliata di me, perché il titolo del manuale ed il nome dell’autore sono incontrovertibili, devono dare sicurezza.

 

Anche se a me in effetti non è che ne abbiano data così tanta, ma sono cresciuto sano, nessuna malattia grave, solo qualche banale influenza, e poi tutto a posto, dalle ossa al fegato, dagli occhi ai piedi. Posso camminare per ore sai, non ho i piedi piatti e non rovino le scarpe, di questo mia madre andava orgogliosa, e le mie scarpe usate andavano sempre a mio fratello minore. Come se fossero nuove.

 

Lui non si fa più sentire da me, ha aperto un negozio, di scarpe in centro; scarpe costosissime, io non potrei comprarle. Penso che…penso che non mi voglia bene.

 

Lei: davvero? Un negozio di scarpe? Io adoro le scarpe costose…

 

Io forse avevo bisogno di più affetto, di un contatto più diretto con lei, non ti sto dicendo queste cose per cercare di apparire debole o in cerca di affetto o di farti sentire in colpa verso di me.

 

Adesso però mi sento in difficoltà a parlarti così di queste cose così in macchina, chiusi qui dentro, con i vetri che si stanno appannando, forse ora è meglio che ti accompagni a casa, si è fatto veramente tardi e non vorrei che avessi difficoltà , non so tipo la sveglia di domani mattina.

 

Lei: voglio salire, voglio venire a vedere com’è la tua casa, sono curiosa di vedere com’è la casa di un uomo ordinato e preciso come te (ride). Ho trentanove anni, posso decidere se mi va di salire da un uomo, e se mi va ci salgo, e poi come ti ho detto sono curiosa (fa per aprire lo sportello ma resta a metà).

 

Vuoi salire allora? Sei sicura? Va bene saliamo, poi ti riaccompagno a casa, non ti preoccupare, ti accompagno fino davanti alla porta, e aspetterò che ti accerti che non ci sia nessuno dentro.

 

A questo punto viene abbandonata la macchina, il protagonista gira attorno alla vettura, apre lo sportello, accompagna la donna, al divano. Poi torna all’auto, prende i manichini, li sistema al posto guida, ritorna al divano e si siede; la luce sulla vettura viene attenuata, restano accese solo le lucette di cortesia interne.

 

Ecco questo divano ti piace? E’ comodo, ti assicuro, ci consentirà di parlare senza che la postura sia condizionata, non troverai difficoltà perché il diaframma è impedito nei suoi movimenti, è un divano ergonomico, speciale, potremo parlare tranquillamente.

 

Lei: (inspira profondamente, poi espira rumorosamente, ride) in effetti questo divano è veramente comodo, il classico divano da conversazione.

(si avvicina a lui, lui si scosta un po’, lei si riavvicina, lui assume un atteggiamento rigido).

 

Ti stavo dicendo di mia madre, del fatto che con i miei fratelli non ho avuto la possibilità di accedere alla sorgente del suo amore materno, che crescendo ho sentito questa mancanza.

 

Lei: offrimi qualcosa da bere, e abbassa un po’ la luce, anzi metti per favore un disco di jazz in sottofondo, a volume basso, il jazz mi rilassa, mi aiuta a lasciare da parte i pensieri, a fare in modo che io sia più sincera…

 

Va bene, cosa preferisci? Un liquore dolce o uno secco? Con ghiaccio? Metto un disco di Coltrane, ti piace Coltrane? Questa è una rara registrazione dal vivo in Giappone…

 

Lei: (si toglie la giacca e lancia via le scarpe non appena lui si siede di nuovo sul divano, con i bicchieri in mano) e’ giusto che io te lo dica, quando conosco un uomo nuovo devo essere sicura che lui prenda certi provvedimenti igienici…hai dei preservativi? Nel caso in cui la serata prenda una certa piega…mi capisci no? (ride)

 

Cosa dici? se ho dei profilattici? Ho capito che non ti va che io ti parli di mia madre. Ti verso ancora qualcosa da bere? No?

 

Lei: non parlarmi mai più di tua madre, adesso voglio che tu mi dica delle cose carine all’orecchio…anzi per favore, ho bisogno del bagno…

 

Il bagno? Ti accompagno io, ti do delle tovaglie pulite, stai tranquilla è in ordine, mia madre mi ha insegnato a tenere sempre tutto pulito.








avevo scritto un monologo, poi diventò un dialogo perchè pareva che si potesse portare in teatro; non se ne fece più nulla, c'è però un motivo per cui lo pubblico oggi.

 

 

 

 

11 commenti:

pispa ha detto...

io la scena del biberon rosso sventolato, a teatro non me la perderei per niente al mondo :)

lei è bravissimo, complimenti, bella pièce, ironica, contemporanea, sottilmente psicologica, le fa un baffo Strindberg, a lei..

ranafatata ha detto...

Indubbiamente bello e raffinato, il tuo ex-monologo diventato dialogo. Ma... il motivo per cui lo pubblichi oggi?!

matilde61 ha detto...

preferisco il dialogo al monologo... e questo è splendido! peccato non se ne sia fatto nulla......(del dialogo) il motivo per cui lo hai scritto oggi? hai regalato a tua madre un paio di scarpe costose... non credo, hai invitato una signorina alla presentazione di un libro...no, guarda non voglio mica dire che non avevi in casa dei preservativi! dai scherzo :-) un abbraccio

pispa ha detto...

è che io non capisco se, in questo dialogo, lei è più l'uomo, la donna o il biberon?

tutti e tre, probabilmente..

Medicineman ha detto...

ranafatata: lo pubblicai il 23 maggio poichè è il compleanno di mia madre, ovviamente.


matilde: leggi sopra.


pispa: spero ormai nessuno dei tre. ormai prendo l'iniziativa.

matilde61 ha detto...

... e le hai almeno regalato un paio di scarpe costose?

matilde61 ha detto...

dimenticavo.. auguri alla mamma!

Medicineman ha detto...

oh matilde: niente scarpe...

farolit ha detto...

io questo bel dialogo-monologo lo segnalo al mio amico regista pluripremiato e blogger


http://rosarioarena.splinder.com


hai visto mai?

;-)

Medicineman ha detto...

farolit: grazie della segnalazione, vale come raccomandazione? :-)

anonimo ha detto...

Stupendo dialogo-monologo!

Certo che se lui,nella mia situazione, avesse introdotto la figura della madre in maniera così dolce, e non ammorbante, le cose sarebbero andate in maniera diversa. Trovo la "lei" della tua situazione, comunque,leggermente incoerente.

Buona domenica anche a te.