domenica 28 maggio 2006

estate del '69


Era l’estate del ’69. papà dormiva nel pomeriggio, accanto alla lavastoviglie. Diceva che era un rumore che conciliava il sonno. Dopo, gli diedi ragione, avendo ascoltato quei dischi che servono a far addormentare i bambini e che riproducono il ciclico liquido pulsare del cuore materno.

Era appunto l’estate del ’69, la zia aveva appena partorito, il cuginetto era nella sua culla, inutile e piagnucolante. Non ci si poteva giocare, e non si poteva toccare.

Mi piacevano le navi, e in quella città di mare se ne vedevano tante entrare e uscire dal porto, spesso chiedevo di essere portato sul lungomare, a vedere il punto, proprio quel punto preciso, da dove era partita la nave di Garibaldi. Che eroe, avevo nove anni, e il suo ritratto sul sussidiario mi aveva proprio impressionato.

Mi piacevano anche gli aerei, i missili, cominciavo ad avere la vaga idea che non fossimo soli, che da qualche parte, nell’universo, magari nella costellazione di Andromeda, ci fossero altre forme di vita. Vita simile all’uomo, il telefilm lo faceva capire.

Poi seppi dal telegiornale della sera che, proprio quella notte, una navicella spaziale avrebbe portato il primo uomo a calpestare il suolo lunare. Volevo restare sveglio a vedere cosa sarebbe successo, mamma mi disse che sarebbe stato tardi, veramente tardi nella notte per permettere di restare sveglio. Era l’estate del ’69, avevo solo nove anni, un bambino ero.

Passai il pomeriggio ad ascoltare la musicassetta di contrabbando che avevamo comprato in mattinata da un napoletano nei carruggi, consumando le orecchie alla zia con la Canzone del Sole.

La porta della stanza dove dormivo restò aperta, e ad un certo punto della notte vidi dei bagliori provenire dalla cucina, e la voce di un giornalista con gli occhiali che parlava in un linguaggio da astronauta.

Mi alzai, raggiunsi papà e lo zio che in silenzio sul divano della cucina guardavano fisso dentro al televisore, dove delle immagini piene di disturbi lasciavano intuire che un uomo infagottato dentro la sua tuta spaziale bianca scendeva la scaletta del modulo lunare.

Pensavo che sarebbero venuti fuori dall’oscurità dei Lunatici a dargli il benvenuto, o a mangiarselo, ma non successe niente.

L’astronauta scese l’ultimo scalino, ballonzolò goffamente intorno alla scaletta, poi papà mi disse di tornarmene a letto.

Era l’estate del ’69, papà dormiva nel pomeriggio, accanto alla lavastoviglie, io ero un bambino.

 

 

6 commenti:

farolit ha detto...

Che bello... io non c'ero, non posso raccontare, perchè non c'ero nel 69 però posso ascoltare racconti belli come questi.

E posso aggiungere che anche a me le navi piacciono, e che nella mia città, dalla mia finestra, anche adesso le vedo entrare e uscire dal porto... e penso che non ci sia un'altro posto così bello.

:-)

SiciliaL ha detto...

per me fu in incubo un telegiornale con l'astronauta volando attorno alla nave solo legato con una spezie di corda. Pensavo, madonna se rompe la corda resta galleggiando tutta l'eternità.Peggio, lo penso ancora adesso

ciao a.

:)

SiciliaL ha detto...

Qua c'è un belvedere magnifico: paseo di Alfonso XIII, si chiama. Chi ti dice che "Oceania" e "Aida" e il "Queen Mary" e il "Sea- non ricordo- il- resto" quando se ne vanno non passano anche da voi, prima o poi)

setteparole ha detto...

Invece io non ero già più una bambina, ma quella notte ero emozionata come se lo fossi.

matilde61 ha detto...

io me la ricordo questa cosa, vagamente , vivere le emozioni da bambino non sempre è bello, non sempre riesci a godere degli eventi come dovresti..e soprattutto a dargli la giusta importanza

opi ha detto...

vero, indimenticabile.