martedì 17 maggio 2005

passaggio di jet sulla campagna siciliana

Un giorno sei in bicicletta, pedali lungo una strada di campagna, dritta.
All’improvviso senti un rumore, una specie di rombo lontano: guardi il cielo, non ci sono nuvole, non può piovere.
Ti fermi, metti i piedi a terra, ed il fremito di prima diventa un tuono, un urlo profondo, un sibilo e due folgori argentee nel cielo, con le scie attaccate dietro.
Guardi le   strisce di aria combusta, si sfilacciano, perdono consistenza, sono solo una macchia bianca nella memoria della retina.
Ecco come sono i ricordi.
Un fragore improvviso, pochi secondi di vivido flash back, gambette di bambini, mamme giovani con vestiti larghi a fiori, padri che cominciano a perdere i capelli, mangiadischi accesi, un tavolo sotto una pergola.
Anche oggi mi è successo.
Percorrevo una rovente strada statale, costeggiata da campi ormai falciati, gialli nel colore triste delle ristoppie, un tappeto sonoro a tenermi compagnia e l’aria condizionata per isolarmi dal mondo esterno.
Un bivio, un cartello con un nome noto, una indicazione che innesca il botto supersonico del ricordo che arriva, della memoria che libera con violenza il suo film .
Mi sono risvegliato dal torpore in cui cadono gli automobilisti sulla via del ritorno, mentre il sole cuoce i tetti di latta delle automobili che ti riportano a casa.
Ho frenato, ho fatto retromarcia guardando nello specchietto le prospettive deformate dalla vampa del caldo, ho arrestato la station wagon   davanti al segnale stradale.
Nessun dubbio  rileggendo l’indicazione bianca su fondo blu, il posto è quello.
Ci vado. Arriverò un po’ dopo, non fa nulla, ho sete di ricordo.
Imbocco la strada comunale, è stretta e piena di buche, non ne ricordo il tracciato, ma ero piccolo, non guidavo io.
35 anni fa, ne percorsi un pezzo correndo a piedi, inseguendo l’automobile del padre che provava uno scherzo cattivo.
Ancora sette chilometri, niente di rilevante oltre l’asfalto e i paracarri, campagna, case coloniche, qualche vacca nei recinti, montagne sullo sfondo.
Non ho accelerato la marcia, mi sono bevuto il paesaggio cercando punti noti a cui collegare le coordinate della memoria, niente fino alle porte del borgo.
Poche case, nessun edificio recente, erbacce agli angoli, un cane appisolato sotto la pensilina della corriera.
Cerco, so cosa cercare, la chiesa, con annessa la scuola elementare.
Altre detonazioni nella mente, i nidi delle rondini nei cassettoni degli avvolgibili, ed il casino che facevano quando si aprivano le uova, un programma di cartoni animati americani la domenica pomeriggio, un go-kart a pedali difficile da spingere sul sagrato di brecciale, un paio di mocassini bordò portati dalla zia, il pancione di mamma che vomitava sempre, una sveglia all’alba per andare a fare gli esami di seconda elementare in un paese dal nome terribile.
I serpenti arrotolati sotto le pietre vicino al torrente, i campi di papaveri e di foraggio, quanto rosso e verde, i gattini neonati, ed i loro fratelli più grandi da sottoporre a giochi crudeli, l’uomo col trattore che portava il latte, il freddo ed il vento che entrava dentro dalle finestre tutte spifferi.
Arrivo ad un incrocio, riconosco le case dai tetti spioventi, cerco di immaginare se siano ancora vivi gli uomini e le donne che le abitavano.
A giudicare dallo stato dei giardinetti sembrerebbe di no.
Ripeto altre due volte il giro del borgo, in attesa di altre “madeleinettes”, ma l’unico evento che suscito è la comparsa di una vettura dei carabinieri che si accoda alla mia, automobile arrogante di forestiero presumibilmente molesto.
Ad un incrocio mi affiancano, ed il brigadiere mi fa cenno di fermarmi.
Accosto e scendo dalla macchina tentando di ostentare disinvoltura metropolitana.
Provo a citare, mentre mi controllano i documenti,  i cognomi che mi vengono in mente, di quelle famiglie che ebbi modo di conoscere.
Il giovane carabiniere, a giudicare dall’accento, forse viene da un paesotto della bassa padana, e le mie domande lo irritano quasi.
Mi lasciano andare continuando a guardarmi con sospetto mentre mi allontano.
Basta coi ricordi per oggi, mi rimetto sulla statale in direzione casa.
Un rombo, due tuoni vicini.
Sfrecciano sopra di me due argentei cacciabombardieri, virano a destra e si infilano nel varco tra due montagne, scomparendo subito alla vista.
Seguo le due scie di aria combusta, si sfilacciano, perdono consistenza, sono poco dopo solo un alone bianco nella memoria della retina.

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