venerdì 6 maggio 2005

ma io la conosco

“ma io a lei la conosco”, mi sono sentito dire mentre una mano artigliava il mio braccio sinistro.
Stavo per immergermi nella musicale e capiente pancia sotterranea del negozio Ricordi a Milano, quello dentro la galleria, a fare una overdose di musica e spartiti per i miei figli, quando sono stato bloccato proprio sull’ingresso.
“cazzo” ho pensato, “neanche a Milano posso stare tranquillo”, e subito dopo ho guardato in viso chi mi aveva placcato.
Lui mi scrutava, cercando di trovare un file nella memoria che fosse compatibile con la mia faccia, io lo guardavo, rassegnato a dovergli chiedere “scusi, forse ci conosciamo ma non mi ricordo, non se la prenda, mi dica il suo nome”, ma miracolosamente il mio cervello ha sputato un nome ed un luogo, cosa che raramente gli riesce in quei pochi secondi in cui chi mi incontra, dopo il saluto, è sicuro di essere riconosciuto, ed amabilmente intrattenuto in futili affettuose chiacchiere.
Mi sono quasi meravigliato di me stesso, anche se a dire il vero due indizi nella persona che si ostinava a pinzarmi l’avambraccio avevano aperto la cartella dei ricordi.
“lei lavora all’ospedale di p…, ed è il dottore r….” ho sparato a colpo sicuro.
Lui si è illuminato, la geografia delle rughe sul suo viso descriveva rughe profonde come canyon, più profonde dall’ultima volta che lo avevo incontrato, almeno dieci anni fa.
Sarò sincero, la matassa intricata dei capelli, e l’ostinata abitudine di indossare scarpe da basket marca Converse mi hanno aiutato a dargli un nome.
“mi ha riconosciuto allora…” ha detto lui, ma mi sono accorto che la mia fisionomia, sebbene familiare, non lasciava affiorare un nome, una situazione, un contesto.
“sono Antonio M…di P…” ho scandito allora per toglierlo dall’imbarazzo, “ e la venivo a trovare alcuni anni fa, nel reparto di o…”.
l’espressione si è aperta in un largo sorriso, lo stesso sorriso semitossico di un decennio prima, probabilmente causato dalla lunga permanenza in sala operatoria aspirando gas anestetici, e finalmente mi ha lasciato andare il braccio.
“sono in pensione adesso” ha aggiunto lui “ e dopo una vita passata in un ospedale di provincia mi sono messo in viaggio per conoscere l’Italia”.
“le scarpe adatte le ha sempre avute”, ho pensato io.
Mi ha guardato ancora una volta, “che mondo piccolo” ha aggiunto, e se ne è andato.

2 commenti:

setteparole ha detto...

Gli incontri occasionali mettono sempre una strana malinconia. Vuoi per il tempo che passa e rende meno riconoscibili volti e storie. Vuoi perché della persona incontrata molte volte non ci importa assolutamente niente.E soprattutto perchè a volte ci ricordano un tempo che non vorremmo ricordare...

matilde61 ha detto...

il caso, due persone che non si vedono da anni, si incontrano casulamente in due città che non sono le loro, affascinante e inquietante no? ciao med