martedì 4 ottobre 2005

salire e scendere dal Monte Pellegrino



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Ultimamente ho deciso di perdere peso, di dimagrire insomma. Molto spesso, negli ultimi mesi, ho preso questa decisione; prima però si è messa di mezzo la Pasqua, e lo stillicidio di feste e festini che la seguono, poi è arrivata l’estate.


L’estate, con i suoi riti e le sue cerimonie accelerate.


Sarà che sto invecchiando, ma con gli amici con i quali ci si vede solo in spiaggia,   perché durante l’anno loro vivono lontani o per qualche motivo sono troppo impegnati, insomma va a finire che ogni scusa è buona per organizzare un pranzo o una cena : il mese di agosto è stato un rallye enogastronomico dal quale sono uscito pesantemente segnato.


Quindi, tornato in città, ho nuovamente deciso di dimagrire. Mi sono un po’ messo a dieta, solo un poco però, senza privazioni da campo di sterminio, ed ho rimesso a posto la bicicletta da corsa, che necessitava di qualche intervento di manutenzione: in palestra non mi sono iscritto, i miei istruttori preferiti sono emigrati in un nuovo centro ipermoderno ma tragicamente lontano da casa mia, ed io che per anni sono andato in palestra a piedi, adesso faccio fatica a pensare di dover prendere la macchina o la moto, ma questa è un’altra storia.


Ho cominciato ad uscire il pomeriggio, tanto fa ancora buio abbastanza tardi, alla fine del lavoro (ho un orario molto flessibile, sono un dipendente esterno, e questo ha i suoi vantaggi), facendo prima dei giri in pianura, poi cimentandomi con la montagna che sovrasta Palermo.


Che in fondo è orograficamente una montagna  solo per poche decine di metri, altrimenti sarebbe un colle, ma la strada che si inerpica, circa dieci chilometri, è decisamente ripida.


La pista che porta alla cima del Monte Pellegrino, dove si trova anche il santuario della Patrona della città,

la famosissima Santuzza ,  Santa Rosalia, si presta ad usi diversi a seconda della stagione, dell’orario, delle intenzioni di chi la percorre.


Può essere scalata a piedi, magari scalzi, per sciogliere il voto fatto alla Santuzza, fermandosi ogni tanto per sbucciare qualche ficodindia strappato alle enormi piante che costeggiano tutta la carreggiata, oppure in automobile, per verificarne la tenuta di strada e lo scatto in montagna, o in moto, o in bicicletta per testare la propria efficienza motoria, come faccio io.


Comunque è una strada che non collega due punti della città: si sale per andare al santuario, o per godere della vista, o per altro.


C’è da dire che lungo i quasi dieci chilometri di percorso si trovano numerose piazzole e traverse cieche che sono adeguatamente sfruttate dalle coppiette in cerca di intimità.


La solita commistione tipicamente meridionale tra sacro e profana carnalità dirà qualcuno, e credo che abbia ragione.


Mi succede, mentre sto arrancando sui pedali spingendo un rapporto duro, duro per me che sono in soprappeso ovviamente, dicevo che mi succede di guardare, per i pochi secondi in cui le incrocio, le coppie dentro gli abitacoli delle auto che salgono o scendono, e di sorprendermi a pensare quanto siano disomogenee, lui così vecchio e lei cosi giovane; è probabile che si tratti di padre e figlia che sono andati a pregare, ma il mio spirito guardone gli affibbia l’etichetta di amanti che hanno appena finito di copulare.


Oppure di pensare che in quella cabriolet accostata al guard-rail, dove lui sta scrutando l’infinito con occhi semichiusi, lei sia ripiegata, intenta ad eseguire una amorevole fellatio.


Comunque la cosa migliore da guardare, per evitare di controllare sempre il trip computer della bici e scoprire che nell’ultimo minuto ho percorso solo cento metri, è il panorama.


Dopo pochi tornanti la città si offre tutta, con la sua forma a clessidra, da un lato il porto, il Cassaro e tutti i quartieri che si affacciano sul golfo di Palermo, dall’altro, dopo la strozzatura della Favorita e la piana dei Colli, l’ampolla sabbiosa di Mondello, chiusa dalla mole severa di Capo Gallo e dell’Addaura dall’altra parte.


Ci sono sempre attraccate alle banchine navi enormi con fantasiosi fumaioli colorati, che eruttano sulla terraferma turisti da crociera con gli occhi ancora incispati dal sonno, gonfi di cibo e bevande che obbligatoriamente vengono consumate durante la navigazione, ché se non mangi viene il Capitano e ti scruta come se fossi un sovversivo, o un terrorista: il principale divertimento di questo tipo di viaggio è mangiare a tutte le ore, a ciclo continuo, come in un allevamento industriale.


Quando si vede la spiaggia di Mondello, col suo golfo che sfuma le diverse tonalità dell’azzurro prima e del blu dopo, significa che sono arrivato in cima, che la faticaccia è finita e che posso controllare il cronometro per scoprire se ho impiegato meno tempo della volta precedente, e complimentarmi da solo.


Stappo la bottiglia di integratore salino che mi sono portato appresso, aspetto che le pulsazioni riprendano un ritmo regolare, e mi accosto al muretto per guardare giù.


Contemplando il litorale dorato mi viene il desiderio di fare un tuffo, e contemporaneamente penso a mio padre, la cui assenza quest’anno in spiaggia è stata evidente: la spiaggia di Santa Maria non è la stessa senza di lui, “eh si vede che manca papà” mi dicevano i conoscenti dopo che qualcuno li aveva informati che lui se n’era andato in silenzio in una stellata e crudele notte di febbraio.


“già, si vede che manca, te lo ricordi, siamo stati i primi a piantare un ombrellone su questo arenile”.


Sto divagando, mentre in discesa dovrò stare attento a frenare con decisione, la pendenza è forte e si raggiungono velocità impensabili per un mezzo a trazione umana.


Mentre la strada si riavvicina alla pianura si attraversano anche un paio di gallerie non illuminate, scavate nella roccia viva che, quando i costumi sessuali erano più rigidi, e portarsi la fidanzata a casa per certe pratiche era severamente proibito, erano piene di utilitarie parcheggiate a destra e sinistra con i vetri ricoperti dai giornali, e la puzza di sperma rancido e il cigolio delle sospensioni delle macchinette che si muovevano al ritmo dei lombi dei passeggeri non lasciavano nulla all’immaginazione.


Ricordo che una volta, mentre attraversavamo questi luoghi viscidi in auto con i miei genitori, ebbi a chiedere a mia madre, di ritorno da una funzione religiosa al santuario, (ero piccolo, uno stupido scolaro di scuola elementare) “mamma perché queste macchine sono qui al buio con i vetri coperti?”, e lei con un guizzo di fantasia istantaneamente rispose “sono operai che sono stanchi del lavoro, non possono tornare a casa e vengono qui a dormire al buio”. Per molti anni la spiegazione  fu sufficiente, adesso appartarsi dentro questi tunnel bui  e umidi non si usa più, sia per il pericolo di essere assaliti da malintenzionati, sia perché ci sono posti più comodi.


Prima di ritornare al livello del mare, dentro il viale che corre nel parco della Favorita, e riaffrontare un chilometro di salita leggera, si passa davanti ad un filotto di ville abusive in stile Hollywood dei poveri; alcune non sono state completate, forse per il tempestivo ed improbabile intervento dei Vigili Urbani, forse per l’esaurimento delle finanze, spesso illecite, di chi le stava costruendo, e sembrano scheletri di balene adagiate sul calcare grigio della montagna.


Oggi un pallone evaso dal cancello di una di queste ville mi ha tagliato la strada, ed ha preso velocità lungo la discesa, subito dopo un bambino abbigliato come un piccolo calciatore è sbucato da un cancello, e vedendo il super santos che accelerava verso l’ignoto si è messo le mani nei capelli: ho mollato i freni e raggiunto la sfera rotolante, facendola fermare poi contro la ruota anteriore, opportunamente sterzata. Nel frattempo è arrivato il ragazzino, il cui sguardo si è riempito di gratitudine, ha ripreso la palla  di gomma rossa ed è scappato via: mi sono sentito autore di una ottima buona azione .


Poi mi sono ricordato che se volevo, facevo ancora in tempo per vedere la partita di calcio in televisione ed ho ripreso a scendere per tornare a casa, smoviolando pensieri vari( a papà non piaceva il calcio       e mi faceva rabbia non potere vedere le poche partite che negli anni sessanta-settanta venivano trasmesse alla televisione, ma anche se non mi facevi tifare davanti al vecchio Brionvega mi manchi lo stesso papà) .


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

2 commenti:

notimetolose ha detto...

Ci devo tornare. Non fosse altro per vedere i vetri appannati delle auto. Sui croceristi avrei dei commenti da fare ma mi astengo per buona decenza. Rido.

setteparole ha detto...

Una bella passeggiata, utile per la linea non so, ma dolce per la memoria.Un saluto.