L’aeroporto è uno qualunque del centro Italia, sto aspettando come al solito il mio volo in ritardo, sono solo ma in compagnia di un libro e del lettore mp3. Uno che sembra un dinosauro sta facendo sentire a tutta la sala d’aspetto che lui quei milleduecento euro non li ha fatti sparire per cattiveria ma perché la merce che ha ricevuto era cinese e che molti avrebbero avuto problemi di corna rotte.
Sto leggendo l’ultimo romanzo (più che un romanzo credo sia un racconto lungo) di Philip Roth (everyman); il buon uomo sente il fiato rancido della morte sul collo, e ne parla con disinvoltura, in effetti fino a pagina ottanta mi fa rabbrividire con il suo memento mori.
Altri rumori mi fanno alzare lo sguardo, un gruppuscolo di teppistelli, indolentemente sorvegliati da madri troppo ciccione per intervenire, sparpaglia cartacce sul linoleum della sala d’aspetto; un signore, presumibilmente straniero, li rimbrotta (non sento quello che dice perché ho aumentato il volume nelle senheiser), e per tutta risposta quelli lo sommergono di pezzetti di quotidiano; il signore presumibilmente straniero si arrende e cambia sala d’aspetto.
Sento vibrare il cellulare nella giacca (non potrei percepire la suoneria perché sono perso appresso agli Arcade Fire), guardo il display, vabbene rispondo.
Che stai facendo, il purè mi dice lei. Me la immagino con un candido grembiule e la cucchiaia di legno che mescola la poltiglia ricavata dal passapatate.
Che mi racconti, domando ancora io, che sono pentita, dice lei, hai messo il sale e il parmigiano le chiedo prima di entrare nell’argomento pentimento, si l’ho messo, metti anche un po’ di noce moscata, ora vedo se ce l’ho dice lei.
Arrivano imperturbabili manager con confezione di polistirolo contenente mozzarella; la deve imbarcare in stiva, non può portarla in cabina, dice l’inflessibile vigilante bionda che poco prima mi ha fatto quasi denudare perché al controllo avevo suonato, e non contenta mi aveva fatto palpeggiare da un aitante maschione riccioluto; peccato che non mi piacciono i maschi, o meno male, non saprei.
Però dopo il controllo, nei negozietti ex-dutyfree, le mozzarelle le vendono e si possono portare a bordo, anche se da quella parte costano quasi quanto il caviale. All’andata i vassoi di dolci erano passati tranquillamente al controllo, poi nelle cappelliere a bordo un computer era stato posato su un vassoio di cannoli e si era accesa una sanguinosa rissa nell’angusto corridoio del fokker 100; il rubizzo cannolifero voleva strozzare, strattonandola per la tracolla, la business girl che aveva fatto planare silicio e metallo su ricotta e sfoglia.
Poi è intervenuto uno con la faccia autorevole ed ha zittito l’orfano dei cannoli; peccato però, il rumore che hanno fatto quando si sono rotti era simile a quello di una frattura ossea.
Sto divagando; torno alla telefonata di prima.
Immagino il gorgo tiepido in cui si sta sciogliendo il burro, e immagino la sua faccia da pentita; però ride, e allora sarà cosa leggera, mica bisogna essere innamorati ho detto dopo, hai ragione ha risposto lei.
Poi siamo stati catapultati dentro il cilindro d’alluminio, dentro il quale nonostante gli striduli avvisi delle hostess qualcuno continuava a tenere acceso il telefonino e a sparare cazzate alla zita o alla mamma durante la manovra di avvicinamento alla pista di decollo.
Il purè era buono? Il dubbio mi è rimasto, se qualcuno lo sa, me lo faccia sapere.