venerdì 29 luglio 2005

cinque giorni a barcelona


La prima cosa che ho visto, dopo essere stato partorito dall’asettica sala arrivi dell’aeroporto, è stato il faccione di Ronaldinho, eroe della locale squadra di calcio, con i suoi dentoni storti, che pubblicizzava triste una marca di chewing-gum; ho sperato che abbia reinvestito il budget ottenuto in un buon ortodontista.
Poi, dal frigobus che mi portava verso il centro, sull’inizio della Diagonal, appoggiato al muro di un ipermercato, un transessuale che sembrava una statua iperrealista, immobile, si lasciava guardare senza alcun sentimento negli occhi.
E poi Barcelona, ordinata, facile al visitatore, incredibilmente pulita, una città di cui racconto le mie impressioni epidermiche, per usare termini tecnici a me congeniali, impressioni che forzatamente, per il breve periodo di soggiorno non possono essere né intramuscolari né endovenose, per cui sono da prendersi per quello che sono, impressioni appunto, in attesa di conferme.
La gente con cui ho avuto a che fare, prima con il mio italiano che piano piano diventava ita-gnolo e poi spagno-liano, la gente non si irrigidiva sentendo la mia voce incerta; gli interlocutori aprivano gli occhi e le orecchie e ci si capiva perfettamente, o quasi.
Non ho scambiato strada, non ho preso la metropolitana sbagliata, quando sono andato a mangiare non ho ordinato sedia e chiodi, in definitiva mi sono adattato presto, e sono stato accettato presto da Barcelona.
Non si muore di fame, e non si rischia di patire la sete: ad ogni angolo, anche nelle vie meno centrali, una orxateria, una cerveseria, un negozio di tapas o un ristorante etnico; aperti praticamente tutto il giorno e la notte, l’unica precauzione da adottare è quella di evitare i locali che offrono tavoli sulle strade principali: è inevitabile che il conto sia decisamente maggiore di quello del ristorantino nella traversa, dove magari rifocillarsi con una paella memorabile.
Dal punto di vista monumentale, la città sfrutta furbamente i pochi siti di cui dispone: la stessa Sagrada Famiglia, la cui fabbrica sembra interminabile, viene tenuta in perenne lavorazione per calcolata scelta propagandistica; credo che un paio d’anni di lavoro con squadre rinforzate di operai basterebbero a finire i lavori, che durano da più di un secolo, ma la conclusione degli stessi priverebbe la città di una delle curiosità più attraenti: il mito dell’incompiuta, della conclusione irraggiungibile serve ad alimentare la fantasia dei visitatori.
Esplorandola, sembra di attraversare le pagine dei fumetti dei metal hurlant , così pieni di forme gotiche postmoderne, e si intuisce che i lavori vengono rallentati ad arte; poco male, Anton Gaudì sicuramente dall’alto della sua nuvola si compiace dello stupore dei visitatori.
Nelle ore che ho avuto a disposizione per le visite alle installazioni museali, momenti particolarmente suggestivi li ho vissuti al Museo di Picasso, dove mi ha commosso il ritratto della madre del famoso Pablo, e la visita, inaspettatamente interessante, al Museu Maritim, ( www.diba.es/mmaritim ) che mi ha preso circa tre ore, travolgendomi di notizie sulla storia e sull’evoluzione della marineria.
In fondo, il blogger è il capitano di una nave, più o meno grande, che compie viaggi nell’oceano virtuale, e questa visita mi pare doverosa!


(continua)


 



2 commenti:

setteparole ha detto...

Che ci facciamo di questi tempi ancora in giro per blog? 1) Siamo aspettando di andare in vacanza 2) Siamo in vacanza, ma non ci piace 3)Non andiamo in vacanza 4) Stiamo aspettando che ci venga sonno...PS. Aspetto il seguito del resoconto del viaggio a Barcelona.

matilde61 ha detto...

bentornato.... anche io aspetto il seguito