giovedì 16 febbraio 2006

quello fuori dalla foto















il passo veloce del figlioil passo veloce del figlio


























Nella mia vita ho ricevuto numerose lettere di rifiuto da parte degli editori: ammetto che la maggior parte erano scritte molto bene, dei piccoli capolavori di teoria del cortese diniego.
Quando queste missive, generalmente prestampate, erano firmate da donne, contenevano anche una forte carica erotica, quella che viene dal no, quella che lascia aperta una remota ipotesi di seduzione, quella di chi ti dice “oggi non te la do, non te la darò mai, ma forse, un giorno, chissà, in una remota stazione ferroviaria aspettando un treno che non arriva a causa di una tormenta di neve, se  saremo casualmente seduti vicini, e dopo due ore ci guarderemo negli occhi e tu, timido scrittore inespresso, troverai il titanico coraggio di alzarti e chiedermi una informazione, forse, quel giorno, ti darò un bacio. Ma uno solo, e poi ti lascerò a roderti di nostalgia per tutta la tua noiosa esistenza di scrittore inespresso”.
Una di quelle prospettive che fanno venire l’emicrania, e mi costringono a cercare un cachet, una aspirina, una bustina di antinfiammatorio, un martello per colpire omeopaticamente un’altra parte del corpo, un dito ad esempio, e trasferire lì il dolore. Ma se mi faccio male al dito, non potrò scrivere: dovrò cercare un’altra parte da colpire.
E ieri, dopo l’ultima raffinata lettera di rifiuto, firmata da una donna dal nome esotico “Chantal Mazzettelli”, per via del ragionamento che è automaticamente partito subito dopo, si è manifestata una spettacolare emicrania.
Ho aperto l’ultimo cassetto della scrivania, quello dove conservo tutte quelle cose che non si sa mai un giorno potrebbero servire, e dove tengo anche le confezioni iniziate di analgesici, che solitamente galleggiano sul marasma sottostante.
Ieri, nonostante fossi sicuro che a prima occhiata avrei individuato la scatoletta verde e bianca, ho dovuto rovistare per qualche minuto prima di trovarla.
E causa della posizione giaculatoria, il dolore si è trasferito dalla testa alle ginocchia. Ma non ho pensato di martellarmi le rotule.
Ieri è tornata alla luce una fotografia: una di quelle dei tempi del liceo. L’ho guardata come se fosse la prima volta, come lo scopritore della tomba di Tutankhamon, l’ho guardata per la miliardesima volta in questi anni trascorsi dal 1977.
E sono fuori dalla foto. Non ci sono. Ci sono tutti, c’è anche la professoressa che ci aveva accompagnato in quella gita, ma io non ci sono.
Dietro la fotografia, in un bianco e nero ben contrastato, ottimo fissaggio, dietro la fotografia ho disegnato a pennarello la sagoma delle persone e ho scritto dentro il contorno il nome di ciascuno.
La professoressa di italiano, lei è un po’ in disparte, ha la guida rossa del touring aperta , una borsetta appesa al braccio che sembra uno di quegli affari con cui si pratica il curling, gli occhiali da lettura scivolati sul naso , lo sguardo fisso sulla pagina.
Alcuni di noi erano stati sequestrati da lei mentre ci attardavamo a salire sul pullman noleggiato dalla scuola, artigliati e trascinati fino alla sua fiat ottocentocinquanta special bianco sporco. Molto sporco, di nicotina,   di cenere, di residui umani organici, dentro.
Ho vivo il ricordo del puro terrore che mi attanagliò per tutto il viaggio, mentre lei declamava Catullo togliendo le mani dal volante e lasciando serpeggiare sulla statale la macchina priva di controllo, riprendendola poco prima che si andasse ad accartocciare sui muretti, e del fatto che quel giorno si fosse spalmata il rossetto anche sui denti, rendendo il suo ghigno ancora più vampiresco del solito.
Arrivammo salvi a destinazione, ma quel viaggio mi segnò a lungo, non ebbi il coraggio di salire come passeggero di conducenti donne per molto tempo ancora.
Riguardo la fotografia: c’è Filippo, che un giorno si masturbò in classe, durante la lezione di chimica che si svolgeva nell’aula a forma di anfiteatro. Aveva sotto il piano del banco un giornaletto a fumetti di quelli soft-porno, forse era Lando, o forse era Caballero, adesso non ricordo bene, e lasciò le tracce del suo personale godimento sul cappotto di Anna, che era seduta nella fila sotto di lui.
Dopo questo avvenimento Anna, probabilmente immaginando che lo zampillo fosse stato causato dalla visione della sua treccia, si fidanzò con Filippo. Anna aveva una sorella enorme, che sembrava una lottatrice di sumo, e riusciva a comprimersi dentro una fiat seicento dalle portiere controventate irridendosi delle leggi fisiche che sanciscono l’incomprimibilità dei corpi.
La sorella di Anna era più grande di lei, ma non incuteva timore, cosa che invece faceva il padre, un omino piccolo e secco, ma dallo sguardo lucido di nazista. Nessuno della classe avrebbe voluto averci a che fare, solo Filippo rischiò, e gli andò bene, visto che è ancora vivo, e passeggia la domenica con il suo sorriso stentato da joker, abbarbicato al braccio della moglie. Che è titanica almeno quanto la sorella di Anna.
Poi c’è Pasquale, a destra di Filippo: la stessa postura anche adesso, sbandato di dieci gradi a destra, come una nave in cui si sia spostato il carico nelle stive a causa dei marosi.
Pasquale era di poca compagnia, di poche idee, di scarsi successi scolastici, fu promosso sempre con una aritmetica media del sei. Ho rivisto Pasquale qualche anno fa, stessa inclinazione a destra e passo da comico dei film muti, gli ho chiesto cosa facesse, visto che sapevo che era riuscito a laurearsi.
Mi ha raccontato con la sua parlata da bradipo oscillante che si era proposto di insegnare, ma che riteneva troppo faticoso e moralmente scorretto andare a prendere una cattedra al nord, come quella che gli avevano offerto.
Perché moralmente scorretto chiesi io. Eh, la mamma, la fidanzata, gli amici, non posso abbandonarli per andare ad insegnare al nord mi rispose lui. Lo lasciai sotto un platano, storto quanto lui, sperando di non reincontrarlo mai più.
E poi ci sono gli altri, probabilmente la elevata qualità della carta su cui è stampata la foto farà sì che questa sopravviverà alla maggior parte di loro.
Io non ci sono, sono fuori dalla foto.

 

5 commenti:

e.l.e.n.a. ha detto...

il vissuto comune, tale lo diventa per alcuni particolari che si potrebbero quasi sovrapporre, a distanze di tempi e luoghi. io avevo un compagno di classe che non si masturbava, ma, spesso, si tirava giù pantaloni e mutande (rimanendo seduto al banco). dopo le prime volte, nessuna di noi ragazze ci faceva più caso. uno spettacolo triste. (nessuna, infatti, si fidanzò mai con lui).

e mi ricordo la foto di terza media. tutti i compagni di classe sorridenti a fissare l'obiettivo. io sono in posa tipo egizi: il busto frontale e il viso voltato a destra, ruotato di circa novanta gradi.

io non guardo, nella foto, sono di profilo, nella foto.

come spesso mi accade, anche nelle foto, mi soffermo a guardare gli altri, o qualcosa, che, inspiegabilmente, mi distraggono dall'obiettivo.

missy_ ha detto...

oggi ero al mercato con mia mamma che mi fa: ieri ho rivisto le tue foto di quando avevi 13 anni ed eri in cortile con lucilla. Come eri bella con quella maglietta anni '70. Io le ho risposto: ma perchè guardi quelle foto?

e lei: perchè quella maglietta era la più bella che hai avuto.

anonimo ha detto...

Antç, ma a quella Chantal là gliel'hai fatta leggere sta storia? Guarda, se non le è piaciuta mi sa che non ti merita.

Mauro

Ps. Ciao, Missy

Ps2 Questa me la rubincollo per pds

anonimo ha detto...

Mi resta in gola la domada? Dove cazzo eri? Con chi ti eri infrattato? Poi la risposta: ma certo, eri tu quello sfigato che alle feste metteva i dischi, se si andava a ballare metteva la macchina e se si faceva la foto di fruppo ti sceglievano come fotografo. Geniale. Molto riso. Baci sparpagliati.

anonimo ha detto...

Piacere di aver letto ciò che scrivi..piazzese pubblicò il suo primo romanzo alla tua età. Non demordere.

Saluta Palermo, ho il cuore lì...


E.


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