Le ruspe stavano spianando la sabbia che un autocarro aveva appena scaricato sul piazzale, dove fino a pochi giorni prima si trovava il parcheggio interno dell’Ospedale Civico.
Un piccolo trattore provvedeva, muovendosi come uno scarabeo stercorario, a distribuire uniformemente la ghiaia , e subito dopo intervenivano alcuni operai che, armati di rastrelli, rendevano uniformemente ondulata la superficie sabbiosa.
“stendetela bene da quella parte” dissi, indicando alla squadra la zona del parcheggio che doveva essere sistemata.
Sull’altro parcheggio, quello che si trovava dietro l’edificio della radiologia, un altro gruppo di lavoratori, in tuta verde e mascherina, stava finendo di recuperare ciò che era stato prodotto durante la notte; sarebbe stato ammassato nell’essiccatore, e dopo qualche giorno trasferito alla centrale termica.
Da quando erano cominciati quegli strani fenomeni, e da quando avevo intuito come volgere a nostro favore, a vantaggio dell’azienda ospedaliera cioè, gli imbarazzanti residui che venivano abbandonati dagli ospiti notturni dei parcheggi, la spesa per il combustibile dei generatori termici era diminuita del 70%.
Inizialmente avevamo ritenuto che i malesseri e le dimissioni dei guardiani notturni, che arrivavano stravolti al pronto soccorso, bianchi come lenzuoli, balbettando frasi incomprensibili, fossero dovute ad allucinazioni collettive, a vertenze sindacali sommerse, alla droga tagliata male che gli spacciatori locali facevano viaggiare in abbondanza nei corridoi dei reparti.
Dopo alcune settimane di strani avvistamenti, e dato che la notizia, incontrollata, cominciava a girare anche sui giornali e sulle televisioni locali, il consiglio di amministrazione decise di installare un sistema di vigilanza dotato di telecamere speciali, con visori notturni, e di illuminare alcuni dei luoghi in cui erano stati fatti gli spiacevoli incontri.
Visionammo i nastri registrati ogni mattina, ma per qualche incomprensibile motivo non rimase traccia di movimenti animali all’interno dell’ospedale, solo tracce del loro passaggio, ma in quantità ridotte, come se fossero state lasciate di fretta, con la paura di essere visti.
Intanto, ad uno ad uno, sparirono i cigni del laghetto, e le floride colonie di cani e gatti che si abboffavano del contenuto dei cassonetti, nei pressi dell’area rifiuti, si erano ridotte a pochi sparuti elementi; dopo poco anche i grandi sacchi in attesa di essere bruciati cominciarono a scomparire.
Quello che comparve in abbondanza furono mucchi di sterco, di notevoli dimensioni, che venivano abbandonati negli angoli più bui dei parcheggi.
Cominciai allora a dare peso alle allucinate dichiarazioni dei guardiani notturni.
Durante le ore di buio, dai sotterranei abbandonati, dove neanche di giorno avrei avuto il coraggio di scendere, uscivano degli animali, non i soliti topi o scarafaggi, ma degli enormi carnivori, tigri dai denti a sciabola, sentenziò il veterinario dopo avere visionato le ombre registrate dalle telecamere della sorveglianza, e dopo avere confrontato le orme lasciate sul cemento fresco.
Inviai una circolare in cui invitavo il personale che faceva la notte nei reparti a non uscire se non in caso di assoluta necessità, e a chiudere porte e finestre a partire dalle ventidue.
Ciò che volevo assolutamente evitare era che qualche paziente o infermiere venisse sorpreso da solo dai grandi felini che, ormai era noto, perlustravano l’ospedale in branchi numerosi.
Un paziente ricoverato in chirurgia, che faceva il domestico a casa del primario, mi sentì discutere con i medici del reparto di queste strane apparizioni notturne; era originario dell’India settentrionale, e mi volle informare che le feci di questi animali, opportunamente raccolte ed essiccate, erano usate al suo paese come combustibile per usi domestici.
Ma come convincere le tigri a fare i loro bisogni in un unico punto, in modo da evitare che la raccolta del materiale organico fosse troppo dispersiva.
Un pomeriggio, tornando a casa, mia figlia mi chiamò al cellulare: “papà, passa dal supermarket, ho dimenticato di comprare la lettiera per i gatti, visto che più tardi tu e mamma passate da me, me ne porteresti due sacchi?”.
“I felini sono istintivamente portati a fare i loro bisogni sempre nello stesso posto, e la lettiera esercita un richiamo irresistibile”, disse Renata, mia figlia.
Contattai le imprese che si erano aggiudicate i lavori di manutenzione dei parcheggi e spiegai loro che le aree dovevano essere riconvertite, non più asfalto, ma uno strato sabbioso, ripassato a mano coi rastrelli, “come fate a casa vostra quando preparate la cassetta del gatto” dissi per essere più chiaro.
La strategia funzionò, le apparizioni notturne, sempre inafferrabili e praticamente invisibili continuarono, eliminai le guardie giurate del turno notturno, cominciarono a scomparire anche scooter e piccole utilitarie, che venivano ritrovate masticate, quasi come aperte da apriscatole giganti ai margini dei parcheggi, la produzione di sterco felino mi consentì di rendere indipendente la centrale termica dell’ospedale dalla rete elettrica, in quanto la caldaia veniva alimentata dal combustibile naturale.
A fine anno ottenni il premio di rendimento, per avere raggiunto il budget previsto nell’azienda ospedaliera, ne investii una buona parte per acquistare un fuoristrada blindato ed una carabina, potrebbe capitare di fare tardi in ufficio e vorrei evitare di conoscerli, questi fornitori dai denti a sciabola.
5 commenti:
devo rileggerlo perchè mi è sfuggito qualche cosa...... intanto ti auguro un buonissimo fine settimana
_di passaggio
..."fornitori dai denti a sciabola..." Non è che hai usato una metafora, tra l'altro fantasiosa, o meglio fantascientifica?
Se la mia chiave di lettura è errata, mi piacerebbe saperlo.
Un caro saluto e buon week end. Ilia
Antonio, telefonami (hai ricevuto posta).
Bello sto raccontino. Mauro
Ma che bello questo racconto! Bravo.
:-*
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